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Sentenza CEDU “nonne svizzere”: quali implicazioni per i diritti dei cittadini UE

di Bruno Borin

“Pronuncia storica che conferma la responsabilità dello Stato in materia di ambiente e diritto alla salute”

24 APR -

La recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) rappresenta un importante passo avanti nella lotta al cambiamento climatico e nella tutela dei diritti umani. In questa storica pronuncia, non solo per la prima volta la CEDU conferma il legame diretto tra diritto alla salute e ambiente, ma riconosce la responsabilità delle autorità statali nell’agire in modo efficace per mitigare gli impatti del cambiamento climatico.

Nel caso denominato «Association of Senior Women for Climate Protection contro Svizzera» (n. 53600/20), un gruppo di oltre duemila donne svizzere hanno accusato il governo elvetico di non aver tutelato adeguatamente il loro diritto alla vita e alla salute di fronte alle ondate di calore estreme causate dal riscaldamento globale.

La CEDU, in una sentenza storica emanata il 9 aprile scorso, si è pronunciata a favore delle donne, stabilendo che il mancato raggiungimento da parte di Berna degli obiettivi di riduzione dei gas serra in passato ha violato alcuni dei loro diritti umani.

L’importanza di questa pronuncia risiede proprio nel fatto che la CEDU ha riconosciuto il Paese inadempiente per non aver preso sufficienti misure per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici, violando due articoli della Convenzione europea dei diritti umani.

Attraverso la sua pronuncia, la CEDU per la prima volta riconosce una correlazione diretta tra la protezione del diritto alla vita e alla salute e l’azione, o meglio l’inazione, degli Stati in materia di cambiamento climatico.

I diritti umani violati

Nella recente sentenza, la CEDU riconosce la violazione degli articoli 6 ed 8, che riguardano il diritto ad un equo processo e il diritto al rispetto della vita privata e familiare. In particolare l’articolo 8, come ribadito anche dalla stessa Corte, prevede il diritto per gli individui alla protezione da parte delle autorità dello Stato della loro vita e della loro salute.

Nella pronuncia, la CEDU conferma la piena autonomia degli Stati nel perseguimento degli obiettivi climatici, quindi la discrezionalità nell’adottare, implementare e far rispettare le misure volte a contrastare il cambiamento climatico e i suoi effetti (e nel caso specifico il riscaldamento globale), riconoscendo tuttavia anche la responsabilità degli Stati nell’agire efficacemente.

Traducendo ancora per i non addetti ai lavori quanto si legge nella sentenza, la CEDU ritiene che allo stato attuale, la ricerca scientifica dimostra ampiamente che è in atto un cambiamento climatico, e che questo cambiamento climatico rappresenta di fatto una minaccia per il godimento di tutti i diritti umani garantiti dalla Convenzione.

Non solo, la Corte aggiunge che gli Stati devono essere consapevoli di questa minaccia e soprattutto devono essere in grado, si devono mettere nella condizione, di adottare misure per affrontarlo efficacemente.

La Corte conclude quindi che a fronte di quanto fatto, delle istanze delle donne svizzere, e di tutte le informazioni di cui la Corte dispone, è indubbio che le istituzioni nazionali non hanno agito in modo tempestivo e appropriato per elaborare ed attuare una legislazione adatta e misure sufficienti a mitigare gli effetti del cambiamento climatico, andando a ledere il diritto alla vita e alla salute delle ricorrenti.

Con questa pronuncia quindi, la CEDU riconosce che l’inazione degli Stati, comporta responsabilità e che questi hanno l’obbligo non solo di agire, ma di farlo in modo tempestivo, appropriato e costruttivo per perseguire gli obiettivi climatici.

Per gli Stati non basta più quindi “fare qualcosa”, ma devono intervenire con misure efficaci, in grado di contribuire effettivamente alla mitigazione del cambiamento climatico e delle sue cause.

Oltre la sentenza CEDU: il diritto ad un ambiente salubre e all’aria pulita

I principi e i diritti riconosciuti dalla CEDU attraverso questa pronuncia, possono e dovrebbero trovare applicazione su altre questioni ambientali che, al pari e anzi prima del cambiamento climatico, minacciano il diritto alla salute di milioni di persone.

Basti pensare all’inquinamento ambientale e in particolare allo smog. Come raccontano i dati pubblicati in questi giorni da Legambiente, in Italia si continua a respirare un’aria insalubre che espone la popolazione a gravi rischi di salute.

La concentrazione di inquinanti nell’aria, come ormai si registra negli ultimi anni, per molte città italiane è ben oltre le soglie limite attuali e ancora molto lontane dagli obiettivi europei.

Sulle altre due pronunce della CEDU del 9 aprile 2024

Rispetto agli altri due casi su cui si è espressa la CEDU nello stesso giorno della pronuncia a favore delle “nonne per il clima” contro la Svizzera, vale la pena notare che non si tratta, come molti hanno scritto, di una “bocciatura” delle istanze portate avanti dai ricorrenti contro gli Stati.

Nel primo caso, che vede sei giovani portoghesi contro il proprio Paese ed altri 31 Stati europei per non aver protetto adeguatamente i loro diritti umani di fronte ai pericoli del cambiamento climatico, la Corte ha dichiarato l’azione “irricevibile per mancato esperimento dei mezzi di ricorso interni”.

La Corte quindi agisce sostanzialmente da filtro, dichiarando che i ricorrenti devono prima cercare giustizia attraverso gli organi interni, quindi la Corte d’appello e la Cassazione. Solo davanti al rigetto da parte di tutte queste parti, allora i ragazzi possono rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Non solo, nella pronuncia, la Corte conferma il diritto dei giovani portoghesi ad agire, dichiarando che l'ordinamento giuridico portoghese prevede un'azione di responsabilità civile extracontrattuale nei confronti dello Stato, con la quale si può ottenere il risarcimento di danni causati da un'azione illecita o da un'inerzia dello Stato.

Per quanto riguarda il respingimento della terza azione, “Carême contro Francia“, promossa da Damien Carême, eurodeputato verde nonché ex sindaco del paese transalpino Grande-Synthe, la Corte ha ritenuto il ricorrente “carente di legittimazione attiva”.

La Corte ha deciso che il ricorrente non poteva essere considerato una "vittima" ai sensi degli articoli 34 e 2, perché non viveva in Francia al momento del ricorso e non aveva legami importanti con il Comune coinvolto. Quindi, non poteva dire di essere danneggiato dai presunti pericoli legati ai cambiamenti climatici che minacciavano quel Comune.

In entrambi i casi, la Corte non entra nel merito della contestazione e dunque non si può, o meglio non si dovrebbe, parlare di rigetto o bocciatura delle istanze.

Al netto della difficoltà giuridica esistente nei diversi casi che tentano di provarlo, è dunque evidente che il cambiamento climatico e le sue fonti, prima fra tutte l’inquinamento dell’aria, stanno danneggiando la salute delle persone, ledendo il diritto alla vita.

Le istituzioni ad ogni livello hanno la responsabilità di intervenire affinché soluzioni più efficaci vengano adottate, come ci conferma la CEDU con la recente sentenza a favore delle “nonne per il clima”.

Gli stessi Stati membri UE d’altronde, con l’accordo di Parigi ma non solo, hanno più volte dichiarato il loro impegno nella lotta al cambiamento climatico e a sostegno dei diritti umani e ambientali.

Sarà sufficiente questa sentenza della CEDU a far agire, finalmente in modo adeguato, gli Stati UE contro l’inquinamento dell’aria e le altre problematiche ambientali che continuano a mettere a rischio la nostra salute?

Bruno Borin
Capo del team legale Consulcesi



24 aprile 2024
© Riproduzione riservata


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