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Osservasalute 2014. La sintesi del Rapporto


30 MAR - Invecchiamento inarrestabile, oltre un italiano su 5 ha più di 65 anni
I “giovani anziani” (ossia i 65-74enni) sono oltre 6 milioni, pari al 10,6% della popolazione residente. I valori regionali variano da un minimo dell’8,9% della Campania a un massimo di 13,1% della Liguria. Vi è un’opposta struttura per età tra residenti con cittadinanza italiana e residenti stranieri: infatti, per la componente italiana i 65-74enni rappresentano l’11,3% della popolazione residente contro l’1,9% registrato per gli stranieri.
 
Gli “anziani” (75-84 anni) sono più di 4 milioni e rappresentano ben il 7,6% del totale della popolazione ma, anche in questo caso, è possibile notare differenze geografiche. In Liguria tale contingente rappresenta ben il 10,2% del totale, mentre in Campania è “solo” il 6,0%. Le differenze nella struttura per età della popolazione per cittadinanza si fanno, in questo caso, ancora più marcate: gli “anziani” sono l’8,1% degli italiani contro lo 0,6% dei residenti stranieri.
La popolazione dei “grandi vecchi” è pari a oltre 1 milione e 700 mila unita, pari al 3,0% del totale della popolazione residente: anche tale indicatore mostra i valori maggiori in Liguria (4,4%), i valori inferiori in Campania (2,1%). La quota di popolazione straniera, in questa fascia di età, è del tutto irrisoria e rappresenta solo lo 0,1% rispetto alla quota di cittadinanza italiana che è il 3,2%.
Si registra, inoltre, l’aumento del peso della componente femminile sul totale dei residenti all’aumentare dell’età: la quota di donne e del 53,2% tra i giovani anziani, sale a 58,6% tra gli anziani e arriva al 69,4% tra i grandi vecchi.
È importante per lo sviluppo stesso del paese prendersi cura degli anziani: “giovani anziani” e “anziani”sono infatti dei segmenti di popolazione sui quali si potrebbe agire per limitare gli interventi di assistenza socio-sanitaria più impegnativi e onerosi da un punto di vista economico. In effetti, soprattutto la popolazione della classe di età 65-74 anni ha davanti a sé ancora una parte di vita in cui essere attiva, potenzialmente autonoma e di aiuto per il paese.
 
Si conferma il boom degli ultracentenari– Sono molto più che raddoppiati nel periodo 2002-2013, passando da poco più di 6.100 nel 2002 a oltre 16.390 nel 2013. In termini relativi, nel 2002, ogni 10.000 residenti uno era ultracentenario, mentre nel 2013 quasi tre. Se si considera il solo contingente femminile, negli stessi anni si è passati da 1,8 a 4,4 ultracentenarie ogni 10.000 residenti. Gli ultracentenari uomini sono passati da 0,4 a 1,0 ogni 10.000 residenti.
Si noti che, nell’ultimo anno di calendario, considerando sia gli uomini sia le donne, si è registrato un incremento di ben 1.361 unità, incremento annuo pari a più del 9%.
Infine, la componente femminile è più numerosa: nel 2013, infatti, le donne rappresentano l’83,2% del totale degli ultracentenari.
 
Speranza di vita in crescita- Nel 2012 la speranza di vita alla nascita è di 79,6 anni per gli uomini e 84,4 anni per le donne.
Nei 10 anni trascorsi dal 2002 al 2012, gli uomini hanno guadagnato 2,4 anni, mentre le donne 1,4 anni.
È da alcuni anni che si assiste al riavvicinamento della durata media della vita di donne ed uomini.
Rimane, comunque, ancora consistente la distanza tra i due generi (+4,8 anni a favore delle donne nel 2012 contro i +5,8 anni nel 2002).
Permangono le differenze a livello territoriale: per entrambi i generi la PA di Trento registra la speranza di vita alla nascita più alta, la Campania quella più bassa.
 
Si riduce la mortalità infantile ma il Sud resta indietro - Nel 2011, il tasso di mortalità infantile tra i residenti in Italia è di 3,1 morti (per 1.000 nati vivi), in diminuzione rispetto al 2006 in cui era di 3,4 (per 1.000).
Tale diminuzione è da attribuire, unicamente, alla riduzione della mortalità neonatale.
La principale causa di morte nel primo anno di vita è rappresentata dalle condizioni morbose che hanno origine nel periodo perinatale.
Nel triennio 2009-2011 tutte le regioni meridionali presentano un tasso superiore al dato nazionale: un nato residente nel Meridione ha una probabilità di morire entro il primo anno di vita 1,3 volte superiore rispetto a un nato residente al Centro e 1,4 volte superiore rispetto a uno residente al Nord.
Dal 2006 a oggi i tassi di mortalità infantile degli italiani sono stati sempre più bassi di quelli degli stranieri, anche se per entrambi il trend è in discesa: il tasso degli italiani è sceso da 3,23 decessi (per 1.000 nati vivi) nel 2006 a 2,99 (per 1.000) nel 2011, quello degli stranieri da 4,99 a 4,16 decessi (per 1.000 nati vivi).
Si può con sicurezza affermare che nella maggioranza delle regioni esiste un divario tra italiani e stranieri: bambini stranieri sotto l’anno di vita muoiono di più di quelli italiani e in base al valore nazionale circa 1,5 volte.
 
STILI DI VITA DEL BEL PAESE RESTANO IL TALLONE D’ACHILLE DELLA NOSTRA SALUTE
Si conferma elevata la quota di italiani sovrappeso e obesi, problema in crescita anche al Nord– Si conferma elevata la percentuale di italiani che ha problemi con la bilancia: complessivamente, il 45,8% dei soggetti di età ≥18 anni è in eccesso ponderale (era il 45,4% nel 2009, il 45,9 nel 2010, il 45,8 nel 2011). In Italia, nel periodo 2001-2012, è aumentata la percentuale delle persone in sovrappeso (33,9% vs 35,6%), soprattutto è aumentata la quota degli obesi (8,5% vs 10,4%).  Nel 2012, oltre un terzo della popolazione adulta risulta in sovrappeso (35,6%). Il sovrappeso si riferisce a un Indice di Massa Corporea – IMC – tra 25 e 30. Mentre è obesa (IMC>30) oltre una persona su dieci (10,4%, contro il 10% nel 2011). Livelli molto simili nel 2013: più di un terzo della popolazione adulta (35,5%) è in sovrappeso, e una persona su dieci è obesa (10,3%): complessivamente, il 45,8% dei soggetti di età >=18 anni è in eccesso ponderale.
 
Pur mantenendosi il gradiente Nord-Sud, il problema dell’eccesso di peso è cresciuto molto nelle regioni settentrionali: Nel confronto interregionale, si conferma il gradiente Nord-Sud ed Isole: le regioni meridionali presentano la prevalenza più alta di persone di 18 anni ed oltre, obese (Basilicata 14,2%, Molise 12,7%, Abruzzo 12,1% e Puglia 12,0%) ed in sovrappeso (Campania 41,6%, Puglia 39,2% e Sicilia 39,1%) rispetto alle regioni settentrionali (obesità: PA di Bolzano 6,8%, Piemonte 8,3% e PA di Trento 8,8%; sovrappeso: Liguria e Valle d’Aosta 31,6% e Lombardia 31,8%).
Tuttavia, si osserva che dal 2001 nel Nord-Ovest si è registrato il maggior aumento (circa 5 punti percentuali) di persone con eccesso ponderale.
 
Problema che aumenta con l’età: la percentuale di popolazione in condizione di eccesso ponderale cresce all’aumentare dell’età: il sovrappeso passa dal 15,1% della fascia di età 18-24 anni al 46,4% della fascia di età 65-74 anni; l’obesità dal 2,5% al 16,4% per le stesse fasce di età.
Emergono forti differenze di genere: il sovrappeso è più diffuso tra gli uomini che tra le donne (44,1% vs 27,5%), così come l’obesità (11,5% vs 9,3%).
La fascia di età in cui si registrano le maggiori percentuali è, per entrambi i generi, quella tra i 65-74 anni.
 
Bambini e ragazzi: i dati (media 2012-2013) mostrano che in Italia la quota di bambini e adolescenti in eccesso di peso è pari al 26,5%.
Il fenomeno è più diffuso tra i maschi che tra le femmine (29,6% vs 23,3%), in tutte le classi di età tranne che nei bambini di 6-10 anni; è più marcato tra gli adolescenti (14-17 anni).
La prevalenza maggiore si osserva tra i bambini di 6-10 (quasi il 34%) e diminuisce con l’aumentare dell’età fino a raggiungere il valore minimo tra gli adolescenti di 14-17 anni.
Si osserva un forte gradiente Nord-Sud ed Isole con percentuali particolarmente elevate in Campania (38,9%), Calabria (34,5%), Molise (32,5%), Sicilia (32,0%) e Puglia (30,0%).
In relazione a specifiche caratteristiche del nucleo familiare, emergono prevalenze più elevate tra i bambini e i ragazzi che vivono in famiglie con risorse economiche scarse o insufficienti; in cui il livello di istruzione dei genitori è più basso; in cui almeno uno dei genitori è in eccesso di peso.
 
Non cresce il popolo degli sportivi, aumento significativo dei sedentari– addirittura cala leggermente la percentuale di sportivi assidui: nel 2013 è il 21,5% della popolazione con età ≥3 anni che si dedica allo sport in modo continuativo. Nel 2012 era il 21,9% invariato rispetto al 2011. Nel 2010 il 22,8% della popolazione con età ≥3 anni praticava con continuità, nel tempo libero, uno o più sport (nel 2009 era il 21,5%, nel 2008 era il 21,6%, nel 2007 il 20,6%).
Nel 2013 il 9,1% degli italiani pratica sport in modo saltuario (erano il 9,2% l’anno precedente).
 
Coloro che, pur non praticando uno sport, svolgono un’attività fisica (passeggiare per almeno 2 km, nuotare, andare in bicicletta etc) sono il 27,9% della popolazione (erano il 29,2% l’anno prima), mentre i sedentari sono 24milioni e 300 mila, pari al 41,2% (l’anno precedente erano circa 23 milioni, pari al 39,2%).
La sedentarietà aumenta in maniera significativa perentrambi i generi: da 34,6% a 36,2% negli uomini e da 43,5% a 45,8% nelle donne.
Le regioni settentrionali presentano la quota più elevata di persone che praticano sport in modo continuativo, mentre le regioni meridionali si caratterizzano per la quota più bassa, fatta eccezione per la Sardegna dove il 30,8% dichiara di praticare attività sportiva in modo continuativo o saltuario.
Con l’aumentare dell’età diminuisce l’interesse per lo sport (continuativo o saltuario), mentre aumenta quello per l’attività fisica.
L’analisi di genere mostra delle forti differenze in tutte le fasce di età con livelli di pratica sportiva molto più alti fra gli uomini, ad eccezione dei giovanissimi (3-5 anni).
 
Alcolici, continua il trend in diminuzione dei consumatori, leggero aumento degli astemi; si riducono anche i consumatori a rischio– La prevalenza degli astemi e degli astinenti degli ultimi 12 mesi è pari, nel 2012, al 34,2%, valore maggiore rispetto al 2011 (33,6%).
Si registra un aumento della percentuale di non consumatori rispetto al 2011, principalmente in Piemonte ed in Valle d’Aosta (+3,5 punti percentuali), Lombardia (+2,8), Basilicata (+3,4) e Calabria (+4,2), una diminuzione soprattutto in Liguria (-4,5) e nelle Marche (-3,5).
La prevalenza di consumatori a rischio secondo il nuovo indicatore (dovuto al fatto che vi sono dei nuovi limiti, già pubblicati dal Ministero della Salute e acquisiti dai nuovi Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti), nel 2012, è pari al 24,0% per gli uomini ed al 9,7% per le donne, con una riduzione, rispettivamente, di 2,6 e 0,8 punti percentuali rispetto al valore registrato con il medesimo indicatore nel 2011. Tra i giovani (11-17 anni) la prevalenza di consumatori a rischio, nel 2012, è pari a 19,7% (maschi 22,0%; femmine 17,3%) e si conferma, a livello nazionale, il trend in diminuzione della prevalenza dei giovani consumatori a rischio.
A livello regionale, non si rilevano differenze statisticamente significative di genere e l’unica regione in cui si osserva una diminuzione della prevalenza è la Lombardia (-8,7 punti percentuali).
Il Lazio risulta l’unica regione con un valore statisticamente inferiore al dato nazionale.
Nel 2012, nella fascia di età 18-64 anni, la prevalenza dei consumatori a rischio è diminuita rispetto al 2011 di 2,9 punti percentuali tra gli uomini (19,5%) e di 1,0 punto percentuale tra le donne (8,7%).
La prevalenza di binge drinkers, nella popolazione di età 18-64 anni, è pari a 13,8% tra gli uomini e a 4,0% tra le donne, con valori più alti nella PA di Bolzano (37,8% per gli uomini e 13,8% per le donne) e più bassi in Campania tra gli uomini (8,8%) ed in Basilicata tra le donne (2,0%).
 
Continuano a calare i fumatori, ma ancora troppi tra i giovani di 25-34 anni– Continua il trend in lenta discesa dei fumatori, infatti, mentre nel 2010 fumava il 22,8% degli over-14 e nel 2011 il 22,3%, nel 2012 fuma il 21,9% degli over-14, nel 2013 il 20,9%.
Il dato si colloca in un trend caratterizzato da una lenta ma costante diminuzione della percentuale di persone che fumano dal 2001 al 2012.
Quanto agli ex-fumatori, invece, il trend è meno lineare: nel 2013 si registra un valore di 23,3% che risulta superiore rispetto al 22,6% del 2012 e molto simile, invece, al valore registrato nel 2010 e nel 2011 (23,4%).
 L’analisi per le ripartizioni geografiche considerate (Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud ed Isole) evidenzia come nel Centro vi sia, nel 2013, la più alta prevalenza di fumatori (22,5%), nel Nord-Est la più bassa (19,4%).
 Ancora molto elevata la differenza tra uomini e donne rispetto a coloro che dichiarano di fumare sigarette (26,4% uomini vs 15,7% donne) o tra gli ex-fumatori (30,8% uomini vs 16,3% donne).
 Una delle fasce di età che risulta più critica per entrambi i generi continua ad essere, nel 2013, quella dei giovani tra i 25-34 anni in cui il 36,2% degli uomini e il 20,4% delle donne si dichiarano fumatori.
 
Malattie cardiovascolari, principali cause di morbosità, invalidità e mortalità - Le malattie cardiovascolari costituiscono, ancora oggi, in Italia, uno dei più importanti problemi di salute pubblica: esse sono tra le principali cause di morbosità, invalidità e mortalità.
 Rientrano in questo gruppo le più frequenti patologie di origine arteriosclerotica, in particolare le malattie ischemiche del cuore (infarto acuto del miocardio ed angina pectoris) e le malattie cerebrovascolari (ictus ischemico ed emorragico).
 Chi sopravvive ad una forma acuta, diventa un malato cronico con notevoli ripercussioni sulla qualità della vita e sui costi economici e sociali che la società deve affrontare.
 Nel nostro Paese, la mortalità per le malattie ischemiche del cuore continua a colpire quasi il doppio degli uomini rispetto alle donne; in particolare, nel 2011, si sono registrati 13,47 decessi (per 10.000) fra gli uomini e 7,46 decessi (per 10.000) fra le donne.
A livello regionale il primato negativo spetta alla Campania sia per gli uomini (17,14 per 10.000) che per le donne (10,61 per 10.000).
Il dato confortante, per ciò che riguarda la mortalità per malattie ischemiche del cuore, è il trend in discesa che continua dal 2003 in entrambi i generi, in tutte le classi di età ed in tutte le regioni.
Se consideriamo il Rischio Cardiovascolare Globale Assoluto a 10 anni (RCVGA-10), un indicatore che permette di valutare la probabilità di ammalarsi di un evento cardiovascolare maggiore nei successivi anni conoscendo il livello di alcuni fattori di rischio, si vede che la maggioranza degli uomini (41,2%) risulta a rischio “Moderato-Basso” (RCVGA- 10 3-9%), mentre quella delle donne (64,7%) a rischio “Basso” (RCVGA-10 <3%). Il dato incoraggiante è che il 71,43% delle donne ed il 37,62% degli uomini ad “Alto” rischio (RCVGA-10 >=20%), a distanza di 1 anno, hanno migliorato i loro fattori di rischio al punto di passare ad una classe di rischio inferiore.
 
Di nuovo in aumento il consumo di antidepressivi– Per l’anno 2013 si è registrato un incremento (39,1 DDD/1.000 ab die) del consumo i cui valori erano rimasti stabili nei due anni precedenti (2011- 36,9 in DDD/1000 ab die; 2012 - 36,8 DDD/1.000 ab die).
Si noti che il volume prescrittivo di questi farmaci aveva mostrato un continuo aumento dal 2000 (8,2 in DDD/1000 ab die) al 2011 (36,9 in DDD/1000 ab die. I consumi più elevati nell’anno 2013 si sono avuti in Toscana, nella PA di Bolzano ed in Liguria, mentre i consumi minori in Campania, Basilicata e Molise.
 
Il trend in aumento nel corso degli anni dei consumi di antidepressivi è attribuibile a molteplici fattori: la riduzione della stigmatizzazione delle problematiche depressive, l’aumento dell’attenzione del Medico di Medicina Generale (MMG) nei confronti della patologia con conseguente miglioramento dell’accuratezza diagnostica e l’arricchimento della classe farmacologica di nuovi principi attivi utilizzati anche per il controllo di disturbi psichiatrici non strettamente depressivi (ad esempio disturbi d’ansia). Tali farmaci vengono utilizzati sempre più frequentemente come parte integrante della terapia di supporto di soggetti affetti da gravi patologie degenerative e oncologiche e i mutamenti del contesto sociale, influenzati dall’aggravarsi della crisi economica ancora in corso, possono aver modificato in senso incrementale i consumi.
 
Suicidi, un dramma maschile con volto anziano– Nel biennio 2010-2011 il tasso medio annuo di mortalità per suicidio e stato pari a 7,32 per 100.000 residenti di 15 anni ed oltre,
Nel biennio 2008-2009, il tasso medio annuo di mortalità per suicidio era pari a 7,23 per 100.000 residenti. Nel biennio successivo, 2009-2010, era 7,21.
Nel 78,7% dei casi il suicida e un uomo.
Il tasso standardizzato di mortalità è pari a 12,41 (per 100.000) per gli uomini e a 2,97 (per 100.000) per le donne.
La mortalità per suicidio aumenta al crescere dell’età. Per gli uomini vi è un aumento esponenziale dopo i 65 anni ed il tasso raggiunge il suo massimo nelle classi di età più anziane (21,6 per 100.000 nella classe di età 75-79 anni; 29,3 per 100.000 per la classe di età 80-84 anni; 35,0 per 100.000 nella classe degli over-85). Per le donne, invece, la mortalità per suicidio raggiunge il suo massimo nella classe di età 70-74 anni (4,7 per 100.000), dopo di che tende a ridursi lievemente nelle classi di età più anziane.
“L’aumento lento ma costante del tasso di suicidi con particolare riferimento alla popolazione anziana – spiega la prof. Roberta Siliquini, Ordinario di Igiene all’Università di Torino - non è riferibile solamente al nostro paese: i dati delle survey condotte dall’OMS sottolineano come il tasso di suicidio sia più alto nelle persone sopra i 70 (in entrambi i generi) in quasi tutte le regioni del mondo, Europa compresa. Individuare una spiegazione solo sanitaria al problema sarebbe oltremodo riduttivo - sottolinea: la malattia psichiatrica non è l’unico fattore di rischio per il suicidio e le politiche di prevenzione del suicidio non possono essere confinate al solo ambito sanitario. Molto – aggiunge la prof. Roberta Siliquini - va anche ricercato nella nuova condizione della popolazione anziana: anziani ‘più giovani’ cioè anziani che fino al momento di una eventuale malattia o anche di una fisiologica riduzione delle capacità fisiche e intellettive sono stati particolarmente attivi, ma, contemporaneamente, anziani più fragili. Spesso sono più soli che un tempo, costretti da problemi economici che rendono difficile anche il solo sostentamento, afflitti da polipatologie, inseriti in una società che ha sempre meno tempo per il sostegno”.
 
Aumenta il consumo dei farmaci degli italiani, specie per gli anziani– Nel 2013, il consumo farmaceutico territoriale è in aumento rispetto all’anno precedente (+4,8%); sono state prescritte 1.032 dosi di farmaco al giorno per 1.000 abitanti. Si noti che nel periodo 2010-2013 si è registrato un incremento cospicuo dei consumi nelle classi di età più anziane, che raggiunge il 42,1% nella classe di età 75 ed oltre.
Nelle farmacie pubbliche e private sono state erogate, complessivamente, circa 1,3 miliardi di confezioni (in media, ventidue confezioni per ogni cittadino), di cui 608 milioni a carico del Servizio Sanitario Nazionale.
L’aumento delle quantità dei farmaci prescritti rispetto all’anno precedente è comune a tutte le regioni con incrementi che variano da +1,4% del Molise a +10,4% della PA di Trento.
Permane una notevole variabilità regionale che, per quel che riguarda il consumo farmaceutico territoriale pesato per età, oscilla tra il valore massimo di 1.190 (Dosi Definite Giornaliere-DDD/1.000 ab die) del Lazio a quello di 898 (DDD/1.000 ab die) della Liguria (escludendo la PA di Bolzano che potrebbe rappresentare una realtà non direttamente comparabile con quella di altre regioni).
Si osserva un evidente gradiente Nord-Sud ed Isole: quasi tutte le regioni meridionali (ad esclusione di Molise e Basilicata) ed inoltre Umbria e Lazio si attestano al di sopra del valore nazionale di 1.032 (DDD/1.000 ab die).
Di particolare rilievo appare la situazione di Lazio e Calabria che, a fronte dei consumi più elevati dell’intero Paese, hanno anche avuto, se si esclude la PA di Trento, i maggiori tassi di crescita, rispettivamente + 8,5% e + 6,8%.
La popolazione con più di 65 anni assorbe circa il 70% delle DDD; al contrario, la popolazione entro i 14 anni di età consuma circa l’1,5% delle dosi.
È anche interessante come, nel periodo 2010-2013, a fronte di un incremento dei consumi dell’8,4% nella popolazione generale, si osserva una riduzione dei consumi nelle classi di età più giovani ed un incremento anche cospicuo nelle classi di età più anziane, che raggiunge il 42,1% nella classe di età 75 ed oltre.
Di fatto, quindi, le classi più anziane non solo hanno il maggior consumo, ma anche la maggiore crescita nei consumi.
Questo dato conferma che il Sistema sanitario pubblico è sempre più impegnato a far fronte al problema della cronicizzazione delle patologie attraverso il ricorso alla prescrizione di farmaci, scontando sempre di più la mancanza di politiche di prevenzione degli anni passati. Inoltre, il Sistema pubblico in sofferenza di risorse, è costretto a far ricadere sulle spalle dei cittadini quote crescenti di spesa, attraverso ticket e compartecipazioni.
 
UNA FOTOGRAFIA DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE
Spesa sanitaria pubblica pro capite più bassa che in altri paesi- Nel 2013 la spesa sanitaria pubblica pro capite è di 1.816€, spesa che, se confrontata con altri Paesi con sistema sanitario assimilabile al nostro o con connotati diversi, pare collocarsi su valori decisamente bassi.
Tale valore del 2013 è il risultato di un trend in diminuzione della spesa sanitaria nazionale che si riduce del 2,36% fra il 2010 e il 2013 con un tasso medio annuo composto di -0,79% e con un decremento dell’1,50% solo nell’ultimo anno.
 A livello regionale, all’ultimo anno di osservazione è la PA di Bolzano che sostiene la più alta spesa pro capite (2.231€), mentre è la Campania a sostenere la più bassa con 1.686€.
 
Disavanzo- Nel 2012 il disavanzo sanitario nazionale ammonta a circa 1,043 miliardi di euro, in diminuzione rispetto al 2011 (1,261€ miliardi) e a conferma del trend di sistematica riduzione avviato dopo il picco (5,790€ miliardi) raggiunto nel 2004. Anche a livello pro capite, il disavanzo 2012 (18€) è il più basso dell’intero arco temporale considerato (2002-2012). Nel confronto interregionale permangono forti differenze, con un ampio gradiente Nord-Sud ed Isole.
 
Emorragia del personale sanitario- L’organico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) sta subendo una costante contrazione.
Infatti, a livello nazionale, i dati mostrano come il tasso di compensazione del turnover, al netto delle procedure di stabilizzazione, sia in tutti e 4 gli anni presi a riferimento <100. Analizzando il trend 2009-2012 si evince che il tasso di compensazione si è costantemente ridotto nel periodo considerato, arrivando a segnare 68,9 punti percentuali nel 2012, circa 10 punti percentuali in meno rispetto all’anno precedente (78,2% nel 2011).
Con il 2012, quindi, si è confermato il trend di marcata contrazione fatto registrare dal 2010 in poi.
A livello regionale, si riscontra una forte eterogeneità del tasso di compensazione del turnover con unicamente 2 regioni (Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige) che mostrano nel 2012 valori >100; in generale il divario Nord-Sud ed Isole è meno marcato rispetto agli anni precedenti.
Particolarmente critica la situazione di Lazio, Puglia, Campania, Molise e Calabria che mostrano tutte valori inferiori al 25%.
Tali valori sono, probabilmente, imputabili agli effetti derivanti dai Piani di Rientro in cui tutte le regioni del Meridione, ad eccezione della Basilicata, sono impegnate dal 2007-2008. L’analisi dei dati relativi alla spesa per il personale rapportata alla popolazione residente nel periodo 2009-2012 mostra una diminuzione dello 0,37%, passando da un valore di 601,7€ a 599,5€.
In discesa la mortalità evitabile – Dal 2006 al 2011 a livello nazionale si è assistito a una riduzione del tasso di mortalità evitabile (mortalità riconducibile ad inefficienze dei servizi sanitari) passato dall’80,87 (per 100.000) del 2006 al 74,92 (per 100.000) del 2011.
La “mortality amenable to health care services”, o amenable mortality, comprende i “decessi considerati prematuri, che non dovrebbero verificarsi in presenza di cure appropriate e tempestive”. In altri termini, comprende le “morti attribuibili a condizioni per le quali esistono interventi diagnostico-terapeutici efficaci”.
La mortalità riconducibile ai servizi sanitari è inferiore al valore nazionale (pari a 75,14 per 100.000) in 8 regioni: Lombardia, PA di Bolzano, PA di Trento, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Marche.
Valori significativamente superiori al dato nazionale si registrano, invece, in Lazio, Campania, Calabria e Sicilia.
 
Avanza il processo di modernizzazione delle Asl- Un dato molto rilevante che fornisce un elemento di valutazione per il processo di modernizzazione delle Aziende Sanitarie Locali (ASL) è costituito dall’utilizzo dei canali web 2.0 per la comunicazione nei confronti del cittadino.
I dati rilevati mostrano un deciso incremento dell’utilizzo di tale strumento in tutto il Paese: le ASL che utilizzano almeno un canale web 2.0 sono 80 su 143 (55,9%) nel 2014 (nel 2013 erano circa il 32% circa).
Nel Nord-Ovest è la Lombardia a registrare il dato più significativo (73,3%); nel Nord-Est, al di là della PA di Bolzano, è l’Emilia-Romagna a registrare il dato più importante (72,7%).
Per quanto riguarda il Centro, rispetto al 2013, migliorano i dati di Umbria (in cui ora entrambe le ASL usano almeno un canale web 2.0) e Toscana (ora al 50,0%, anche se ancora al di sotto del valore nazionale), mentre si confermano i dati delle Marche e del Lazio (rispettivamente, 100% e 41,7%).
Al Sud ed Isole si osserva un deciso miglioramento in Basilicata (100%), Puglia (66,7%), Calabria (60,0%), Campania (57,1%) e Sicilia (44,4%); l’Abruzzo e la Sardegna si sono mantenuti allo stesso livello dell’analisi precedente (50,0% e 25,0%, rispettivamente).
Assistenza territoriale A livello nazionale, nel corso del 2012, sono stati assistiti, complessivamente, al proprio domicilio 634.986 pazienti.
Il numero di pazienti trattati in Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) è in continua crescita, attestandosi ad un valore pari a 1.069 casi (per 100.000), con un incremento del 6,07% rispetto al 2011. Permane, dal confronto con gli anni precedenti, una notevole variabilità dell’indicatore legata alla disomogeneità regionale: si va, infatti, da un tasso minimo di 145 assistibili in ADI (per 100.000) della PA di Bolzano ad un valore massimo di 3.009 (per 100.000) dell’Emilia-Romagna, cui seguono Friuli Venezia Giulia e Umbria (2.048 e 1.452 per 100.000, rispettivamente).
Il Sistema sanitario nazionale si trova a far fronte a vecchie e nuove sfide con risorse sempre più limitate; le prospettive future, viste le dinamiche demografiche ed epidemiologiche rappresentate dal Rapporto, rendono necessarie soluzioni innovative in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni dei cittadini e la sostenibilità dell’intero sistema di welfare. Si tratti di una riflessione necessaria e urgente, affinché non ci si trovi costretti a scelte di emergenza che finirebbero per peggiorare, anziché risolvere, i problemi della nostra società. Appare ormai evidente che le riforme prospettate sino ad ora, basate su una diversa allocazione di risorse - all’interno del sistema di protezione sociale - tra pensioni, forme di sostegno al reddito e all’occupazione, sanità e assistenza, non abbiano dato risposte adeguate al cambiamento dell’economia e della società. Vale la pena iniziare a ragionare su alcune proposte, emerse già da qualche anno, che prospettano, sulla scorta di esperienze europee dei welfare-mix, un “secondo welfare” basato su sistemi, sostenuti con incentivi pubblici, in grado di intrecciare in modo virtuoso l’iniziativa privata e quella di natura associativa.

30 marzo 2015
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