Fattori biologici (immunodepressione correlata a trattamenti antitumorali) e non biologici (la maggior parte delle persone con cancro ha bisogno di interfacciarsi con le istituzioni sanitarie) possono esporre le persone con malattie oncologiche a un rischio più elevato di infezione SARS-CoV-2 e, di conseguenza, a un rischio maggiore di malattia e morte da COVID-19.
Diverse indagini cliniche condotte nel corso delle prime ondate di infezione avevano evidenziato che i pazienti oncologici con infezione da SARS-CoV-2 presentano un rischio particolarmente elevato di eventi avversi. In Italia, vari studi hanno mostrato che le persone con tumore hanno avuto maggiore probabilità di essere testate rispetto alla popolazione generale e il rischio di infezione era simile alla popolazione generale o addirittura più basso come in Friuli Venezia Giulia.
Il rischio di morte dei pazienti oncologici con infezione da SARS-CoV-2 in base allo stato vaccinale è stato scarsamente studiato a livello di popolazione generale. In uno studio presentato in questo volume, il rischio di morte tra le persone con storia di cancro e di positività all’infezione da SARS-CoV-2 residenti in Friuli- Venezia Giulia e nella provincia di Reggio Emilia è risultato di 2-3 volte superiore tra quelle non vaccinate rispetto alle vaccinate. I risultati di questo studio indicano come la vaccinazione contro l’infezione da SARS-CoV- 2 sia uno strumento necessario da includere nel complesso delle terapie oncologiche finalizzato alla riduzione del rischio di morte.
Per quanto riguarda il rischio di essere ospedalizzati e di morire a causa dell’infezione, lo studio condotto in Veneto ha confermato che i pazienti oncologici avevano maggiori possibilità di essere ricoverati in ospedale (56,6% vs 34,4%) e di morire (147% vs 4,5%) per Covid-19 rispetto alla popolazione generale. Risultati simili sono stati osservati in uno studio condotto a Reggio Emilia, che ha confermato un rischio più elevato nei pazienti oncologici di essere ricoverati e di morire rispetto alla popolazione generale soprattutto in presenza di metastasi e nei tumori diagnosticati nei 2 anni precedenti l’infezione.
Nel complesso, in Italia, la pandemia ha causato un aumento della mortalità dei pazienti oncologici, soprattutto nei maschi, in età avanzata, con tumore diagnosticato da meno di 2 anni e nei tumori ematologici. La pandemia ha causato, nel 2020, anche un calo delle nuove diagnosi, in parte legato all’interruzione degli screening oncologici, in parte al rallentamento delle attività diagnostiche.
Per molte sedi tumorali questi rallentamenti/interruzioni di attività hanno causato uno shift da forme precoci verso forme più avanzate, anche se con una forte variabilità geografica, correlata alla diversa attitudine alla partecipazione ai programmi di screening e alla capacità di “recupero” del sistema sanitario.
È stata aggiornata al 2021 un’indagine curata dai segretari del Gruppo Italiano di Patologia Mammaria (GIPAM) e del Gruppo di Studio di Patologia dell’Apparato Digerente (GIPAD) della Società Italiana di Anatomia Patologica e Citologia (SIAPeC), allo scopo di descrivere l’impatto dell’infezione da SARS-CoV-2 sui trattamenti chirurgici dei tumori della mammella e del colon-retto. Hanno partecipato a questa nuova indagine 10 anatomie patologiche per i tumori della mammella e 12 anatomie patologiche per i tumori del colon-retto. I risultati di questa indagine aggiornata fanno emergere, in generale e per entrambi i tumori, un aumento dei casi operati nel 2021 rispetto al 2020 e un aumento della percentuale dei tumori pTis nel 2021 rispetto agli anni precedenti, sia nella mammella che nel colon retto, a conferma di una ripresa dell’attività di screening oncologici. Va inoltre segnalato un aumento in entrambi i tumori delle categorie N0 e N1a, verosimile indicatore di una presa in carico più precoce dei tumori diagnosticati.