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Le Raccomandazioni degli anestesisti e la fine dell’eguaglianza ippocratica

di Maurizio Mori

Invece di essere lette come la resa alla subordinazione dell’etica all’economia, le Raccomandazioni Siaarti vanno viste come un ripensamento dell’appropriatezza delle cure alla luce dell’eguaglianza Siaartiana. L’obiettivo finale delle Raccomandazioni è riaffermare che prima dell’economia viene un’etica informata al nuovo criterio sociale-allargato e alla trasparenza, valore questo che sta alla base della fiducia e che giustifica l’uscita pubblica

13 MAR - Alla memoria di Luca Benci, la cui voce avrebbe arricchito il dibattito in corso.
 
Su un punto siamo tutti d’accordo: la mazzata del coronavirus non ci voleva proprio! Sembrava fossimo sulla buona strada per uno spiraglio di ripresa economica, e … ci è capitato addosso un virus disastroso che ha mandato all’aria tutte le nostre speranze. Non è il caso di fare polemiche su chi sia stato l’untore, o su chi l’abbia spedito in Italia, o se sia frutto di castigo divino (ci sono anche questi …!): il virus è tra noi e si diffonde rapidamente.
 
Non è la peste, ma neanche una semplice influenza un po’ rafforzata (come detto inopinatamente), perché in molti più casi porta a morte.  Per cercare di evitare il decesso è richiesto il ricovero in terapia intensiva, reparti che, com’è noto, richiedono personale altamente specializzato e strumentazioni molto sofisticate, che ora non sono più in grado di rispondere a tutte le richieste.
 
Che fare a fronte di un gran numero di casi che capitano improvvisamente in ospedale e tutti richiedono cure che è impossibile dare? Non si tratta di un caso ipotetico di scuola, ma della realtà che nelle ultime settimane i rianimatori della Lombardia stanno vivendo, e presto sarà condivisa anche altrove e quasi certamente crescerà. Che fare?!?
 
I rianimatori della Siaarti, che hanno ben chiara la realtà perché gli è capitata addosso, hanno elaborato Raccomandazioni etiche per fornire dei criteri condivisi sul da farsi. I primi destinatari di queste sono i colleghi, che si trovano in difficoltà anche perché nell’ethos collettivo il criterio invalso è first come, first served, e il mancato rispetto di tale criterio è fonte di enormi difficoltà: scontri con i famigliari del malato che sono a volte aggressivi e avanzano pretese, e anche seri conflitti interiori degli operatori, perché ciascuno vorrebbe davvero dare tutto il dovuto!
 
In questa situazione molto delicata, i rianimatori Siaarti hanno pensato di intervenire e dare Raccomandazioni specifiche sul da farsi con un duplice obiettivo:
“a) Sollevare i clinici da una parte di responsabilità delle scelte, che possono essere emotivamente gravose, compiute nei singoli casi;
b) Rendere espliciti i criteri di allocazione delle risorse sanitarie in una condizione di una loro straordinaria scarsità”.
 
La responsabilità ultima è sempre personale, del singolo medico, ma se ci sono delle linee guida che orientano, il compito diventa meno angosciante. La condivisione del percorso genere una sorta di sollievo, e poi c’è chiarezza e trasparenza: tutti sanno tutto e perché.
 
Le Raccomandazioni specifiche sono 15, ma non sono precetti tassativi, ma si tratta piuttosto di “criteri straordinari”, che “sono flessibili e possono essere adattati” alle diverse situazioni, e che “riguardano tutti i pazienti intensivi” e non solo quelli affetti da coronavirus.
 
Può darsi che qualche specifica raccomandazione sia discutibile o sia stata formulata in modo poco felice, e che debba essere modificata. Ma nel complesso, come ha osservato Daniele Rodriguez (QS, 9 marzo), la “Siaarti merita stima perché, in un contesto in cui le istituzioni evitano di affrontare il tema”, quelle Raccomandazioni sono “espressione di assunzione di responsabilità e di lealtà comunicativa anche verso i cittadini ed i pazienti”.
 
Il problema esiste e non si può far finta che non ci sia. È vero, spesso facciamo come se non ci fosse: ci vuole coraggio a fissare un problema tragico, e ci vuole generosità nel prendersi la briga di farne partecipegli altri, colleghi in primis.
 
Ecco perché le Raccomandazioni della Siaarti sono un passo importante per tutti. Invece di ringraziare i colleghi Siaarti per aver aperto un dibattito importante e svolto un servizio all’etica medica, e eventualmente criticare qualche punto delle Raccomandazioni, il presidente Fnomceo, Filippo Anelli, le respinge in toto perché sarebbero contrarie al Codice di Deontologia Medica, che “resta la nostra guida”. Presidente Anelli, il ritornello del Codice-nostra-guida non incanta più nessuno! Il Codice è cambiato qualche settimana fa per adeguarsi a disposizioni esterne alla professione, quelle dettate dalla Corte Costituzionale. Nulla osta che possa cambiare per la spinta di riflessioni interne.
 
Anelli rileva anche che il Documento avrebbe dovuto prima “in ogni caso essere discusso collegialmente dalla professione”, facendo intendere che la Fnomceo è la depositaria della deontologia, e che le Raccomandazioni sono state una sorta di invasione di campo. È vero che la Fnomceo pubblica e modifica il Codice, ma solo pro-forma ne è la titolare. La realtà è più complessa, perché la deontologia vive dell’ethos diffuso, e i votanti per gli Ordini non arrivano al 20% dei medici. Con quei numeri gli Ordini non sono rappresentativi, e poco o nulla fanno per sollecitare la reale partecipazione sui temi etici.
 
Non appena è affiorato il problema del suicidio medicalmente assistito, la Canadian Medical Association prima, e ora anche la British Medical Association hanno aperto un grande dibattito tra gli iscritti per ascoltare le varie voci e aprire un confronto, da noi gli Ordini hanno ripetuto il ritornello “il Codice resta la nostra guida e Ippocrate il nostro Maestro”, chiudendo in pratica ogni discussione, salvo poi modificare subito il Codice pressoché alla chetichella per allinearsi alle disposizioni della Suprema corte. Privilegiando l’operatività e senza andare a chiedere permessi al Gotha della Fnomceo, i rianimatori Siaarti hanno proposto le Raccomandazioni che, piaccia o no, costituiscono il più grande contributo di etica clinica elaborato all’interno della professione e offerto alla deontologia. Bravi.
 
La critica principale mossa da Anelli è che le Raccomandazioni sarebbero “un grido di dolore”,ossia un’esclamazione proferita in un momento di scarsa lucidità dovuta appunto all’estrema sofferenza. Chi invece rimane lucido e calmo dovrebbe riconoscere che “Non possiamo permettere che si verifichino gli scenari prospettati dalla Siaarti […] Nessun medico deve essere costretto a una scelta così dolorosa”. Il problema è che quest’ultimo è un auspicio, sicuramente condivisibile come condivisibili e lodevoli sono gli sforzi che si stanno facendo per aumentare i posti letto e prevenire il verificarsi delle situazioni descritte dalla Siaarti. Anelli non scambi le parti: il suo è un auspicio che, scaldando i cuori, fa evaporare il senso di realtà; mentre le Raccomandazioni Siaarti sono frutto di una lucida analisi di realtà, e non di uno scomposto “grido di dolore”.
 
Mentre la risposta di Anelli evade sostanzialmente il problema posto dai rianimatori, i rappresentanti delle Società di geriatria (QS, 9 marzo) riconoscono con chiarezza che a volte si deve scegliere, ma osservano che ove “ci si trovasse nelle condizioni di dover scegliere”, la scelta potrà “basarsi solo su una valutazione multidimensionale, che tenga conto dello stato di salute funzionale e cognitivo precedente l’infezione”, restando centrale il ruolo del “medico con il suo bagaglio di professionalità, esperienza e umanità che, insieme, gli permetteranno di formulare un piano di azione tarato sulle esigenze e possibilità del singolo caso, coinvolgendo sempre i parenti del paziente”.
 
Come i rianimatori, anche i geriatri riconoscono che a volte si deve procedere e di fatto si procede a una “dolorosa selezione dell’ordine di priorità”, ma invece di dare precise Raccomandazioni essi affermano un diverso criterio, che rimanda al “bagaglio di professionalità, esperienze e umanità” del medico che fa una valutazione multidimensionale: parole auliche e solenni, che nella sostanza suggeriscono una sorta di fai-da-te grazie al quale ciascun medico decide secondo la propria sensibilità, ovviamente “coinvolgendo sempre i parenti del paziente” forse per prevenire eventuali fastidiose difficoltà legali.
 
Sarebbe interessante sapere che ne pensa il presidente Anelli del criterio medico centrico proposto dai geriatri. La prima impressione è che sia palesemente carente, come minimo perché non esplicita con chiarezza i parametri di scelta. Le Raccomandazioni Siaarti, invece, rendono tutto esplicito e pubblico, promuovono la trasparenza e invitano al dibattito franco e aperto: chi ha qualcosa da dire lo dica, ma entrando nel merito e restando sul punto senza svicolare. Questa trasparenza all’inizio può apparire dura, ma è ciò che fonda e alimenta la fiducia vera, quella che sta alla base del rapporto paziente-medico e tanto valorizzato dalla Legge Lenzi, la 219/17.
 
L’aspetto più nuovo delle Raccomandazioni Siaarti è che mette in discussione l’eguaglianza,ossia il principio ricordato da Anelli: “per noi tutti i pazienti sono uguali e vanno curati senza discriminazioni”. Ma che cosa si intende con “eguaglianza” e con “discriminazione”. Per capirlo è opportuno in via preliminare distinguere tra eguaglianza e identità: identici sono gli enti uguali in tutte le caratteristiche, mentre uguali sono quelli che lo sono solo per alcune caratteristiche rilevanti ma non per altre considerate irrilevanti.
 
Per stabilire quali siano le une e le altre c’è bisogno di un criterio indipendente di giudizio (il tertium comparationis), che determina la direzione dell’eguaglianza, ossia che cosa è uguale e che cosa no. Possiamo così distinguere tra eguaglianza descrittiva quando il criterio di giudizio riguarda le caratteristiche del mondo come è (eguaglianza di peso, ma non di altezza o larghezza, scegliendo una caratteristica, a discapito di altre), e eguaglianza prescrittiva quando il criterio rimanda a norme che ci dicono come alcune caratteristiche (descrittive) del mondo devono essere modificate. L’eguaglianza descrittiva rimanda a criteri scientifici abbastanza accettati e univoci, mentre ci sono vari criteri normativi l’eguaglianza prescrittiva rimanda a svariati criteri normativi tra loro in competizione.
 
Le distinzioni tracciate ci consentono di capire perché non si deve dare a tutti la stessa cura, come dovremmo fare se i pazienti fossero identici.I pazienti non sono affatto identici, anzi sono tutti diversi (di peso, altezza, ecc.), hanno malattie differenti, e anche quando hanno la stessa malattia reagiscono in modo diverso. Dal momento che i pazienti hanno caratteristiche diverse e alcune uguali, l’eguaglianza prescrittiva si sviluppa in due direzioni: impone da una parte il dovere di trattare allo stesso modo tutti gli eguali (per le caratteristiche rilevanti), e d’altra parte anche il dovere opposto di trattare in modo diverso i diseguali (per le caratteristiche rilevanti). Detto con altre parole: come è ingiusto trattare in modo diverso gli uguali, così è altrettanto ingiusto trattare allo stesso modo i disuguali (diversi).
 
Siamo ora in grado di capire che il principio “per noi tutti i pazienti sono uguali e vanno curati senza discriminazioni” va inteso nel senso che, l’eguaglianza impone che si debbano trattare in modo diverso i disuguali, cioè che le cure devono essere diverse (personalizzate) e che a ciascuno va data la cura a lui più appropriata (per via delle tante caratteristiche fisiche diverse). D’altro canto, l’uguaglianza impone anche il dovere di curare sempre e tutti i pazienti, dando a ciascuno il meglio e il massimo per curare la sua malattia specifica. L’accesso alla cura e l’essere curati al meglio è dovuto in sé, a prescindere da qualsiasi scelta, perché dipende dalla comune umanità di ogni paziente (la caratteristica uguale rilevante). Qualsiasi scelta sul se curare o no, sul quanto curare, e su chi curare comporta una qualche discriminazione, (distinzione ingiusta) in quanto sottrae al paziente qualcosa che gli è dovuto per il solo fatto di essere paziente.
 
Solo perché corrisponde a una vulgata diffusa ma non al pensiero di Ippocrate, chiamo “eguaglianza ippocratica” la concezione appena presentata in cui il criterio di giudizio (il tertium comparationis) assume la comune umanità come caratteristica rilevante dell’eguaglianza, la quale ingiunge di garantire la “tutela della vita” di ciascuno, intesa come tutela dell’autoconservazione del processo vitale in sé. L’eguaglianza ippocratica impone il dovere di curare tutti i pazienti così da dare sempre a ciascuno tutto il possibile. Fare altrimenti, ossia scegliere se curare o no, fino a che punto curare, e chi curare è operare discriminazioni ingiuste in spregio alla tutela della vita a tutti dovuta.
 
Eppure, noi a volte ci interroghiamo se sia giusto curare o no, e fino a punto lo sia:queste domande sono sensate, e le risposte non portano di per sé a discriminazioni, ma individuano solo distinzioni rilevanti per la scelta sul da farsi. In certe circostanze, poi, contrariamente a quanto affermato dall’eguaglianza ippocratica, la risposta è che si deve sospendere la cura, perché eccessiva o sproporzionata o irragionevole. Ciò segnala che c’è qualche problema con la tutela della vita, e si tratta di vedere se il criterio di rilevanza (il tertium) sia adeguato o no alle nostre esigenze e corrisponda alle nostre intuizioni morali.
 
Può darsi che il criterio dell’assumere la tutela della vita di ciascuno per via della comune umanità sia stato valido in passato, quando le capacità di sostegno vitale erano scarse e l’eguaglianza ippocratica garantiva a ciascun paziente attenzioni cliniche unite sempre al mantenimento di un grado positivo di qualità della vita, idea questa che si trasmette nella frase di senso comune: “la vita è sempre buona, la morte è il peggiore dei mali”. Oggi, però questa situazione non vale più, perché l’insistere nella tutela della vita con le attuali capacità tecniche a volte può portare a situazioni di vita meramente biologica in cui i processi metabolici e biochimici continuano, ma la qualità di vita è zero, sulla linea dell’indifferenza: lo stato vegetativo permanente esemplifica questa situazione (il caso Eluana docet).
 
Altre volte, invece, l’insistenza al riguardo porta alla cosiddetta “situazione infernale”, in cui c’è vita biografica ma è di qualità sempre negativa e senza più prospettive di ritorno al positivo (caso Dj Fabo docet). In entrambi i casi, non è più vero che “la vita è sempre buona”, ma anzi si mostra che ci sono situazioni peggiori della morte: l’accanimento terapeutico ne è figura esemplare.
 
Le considerazioni fatte mostrano che il criterio della tutela della vita è inadeguato, e che l’eguaglianza ippocratica a esso informata, che prescrive il dovere di fare sempre tutto il possibile per prolungare ogni vita umana, è immorale:essa giustifica l’accanimento terapeutico. Non è vero che si debba sempre fare a tutti tutto il possibile per prolungare la vita (biologica), ma si deve invece garantire a tutti e sempre una vita biografica dignitosa, ossia scandita il più possibile dall’autodeterminazione dell’interessato e da una buona qualità di vita (sopra lo zero).
 
Agli storici il compito di chiarire come mai in pochi anni sia stata abbandonata l’eguaglianza ippocratica, ma forse una ragione è che in passato le sofferenze terminali erano viste come una buona occasione di espiazione per l’al di là, mentre oggi sono percepite come assurde, prive di senso e contrarie alla dignità umana. Di fatto il criterio di rilevanza (il tertium) non è più la tutela della vita, ma è ora la garanzia di una buona qualità di vita per ciascuno (anche nel fine-vita).
 
Questo cambiamento comporta un nuovo atteggiamento etico (una nuova etica), che informa la legge Lenzi, dal nome della relatrice della L. 219/17: Donata Lenzi, legge che prevede appunto la sospensione volontaria delle terapie e la pianificazione delle cure. Chiamo “eguaglianza lenziana” la nuova concezione dell’eguaglianza che, diversamente da quella ippocratica, prevede misure per evitare l’accanimento terapeutico per il soggetto, recependo l’idea che è immorale e ingiusto è causare situazioni infernali.
 
Il passaggio dall’eguaglianza ippocratica all’eguaglianza lenziana è stato relativamente rapido ma tutt’altro che facile. Ci sono voluti i casi Welby e Eluana, e ciononostante alcuni nostalgici passatisti continuano a dire che la legge Lenzi sarebbe in contrasto con la Costituzione. Le 15 citazioni favorevoli della 219/17 presenti nella Sentenza n. 242/19 della Corte costituzionale l’hanno come costituzionalizzata e messa in sicurezza sul piano giuridico.
 
Resta che sul piano dell’ethos sanitario, l’eguaglianza lenziana pone come caratteristica rilevante la tutela della qualità della vita (biografica) di ciascun individuo, e non più la mera tutela della vita (biologica). Infatti, la relazione di fiducia tra paziente-medico “si basa sul consenso informato” (art. 1, 2), e non più sulla presenza di malattia e sul bisogno che ne nasce. Ciò significa che l’appropriatezza clinica deve mettere al centro gli aspetti psicologico-esistenziali propri del consenso informato dato da ciascuno, che aspetti sono di carattere sociale e, non più di carattere biologico come previsto dall’eguaglianza ippocratica che fa riferimento alla mera tutela della vita (biologica, appunto).
 
Sottolineo quest’aspetto, perché esso ci rimanda alle Raccomandazioni Siaarti, il cui punto di partenza è il nuovo scenario creato dall’epidemia da Coronavirus (Covid 19), che sta determinando “un enorme squilibrio tra le necessità cliniche reali della popolazione e la disponibilità effettiva di risorse intensive”. In questo scenario del tutto inedito i rianimatori osservano che potrebbero rivelarsi “necessari criteri di accesso alle cure intensive (e di dimissione) non soltanto strettamente di appropriatezza clinica e diproporzionalità delle cure, ma ispirati anche a un criterio il più possibile condiviso di giustizia distributiva e di appropriata allocazione di risorse sanitarie limitate”.
 
Il rimando alla giustizia distributiva e all’allocazione delle risorse scarse può esser letto come richiesta di ulteriore allargamento di campo rispetto all’eguaglianza lenziana. In quest’ultima il criterio di rilevanza è la tutela della qualità della vita di ciascuno attraverso il consenso informato. Le Raccomandazioni Siaarti chiedono che quel criterio sociale sia allargato alla tutela della qualità della vita di ciascuno bilanciata con parametri appositi in situazioni di scarsità allocativa delle risorse disponibili. Chiamo “eguaglianza Siaartiana” la concezione etica che individua le caratteristiche rilevanti sulla scorta di questo nuovo criterio (il tertium).
 
Le considerazioni fatte ci hanno portato a distinguere tre diverse concezioni dell’eguaglianza, ciascuna dipendente dal rispettivo criterio di rilevanza (il tertium): alla base di quella ippocratica sta il criterio di tipo biologico (la tutela della vita); alla base di quella lenziana sta un criterio di tipo sociale-individuale (la qualità della vita individuale di ciascuno); alla base dell’eguaglianza Siaartiana sta una variante del criterio di tipo sociale che allarga il campo e colloca la qualità della vita individuale di ciascuno in circostanze caratterizzate da difficoltà di allocazione di risorse scarse.
 
Invece di essere lette come la resa alla subordinazione dell’etica all’economia, le Raccomandazioni Siaarti vanno viste come un ripensamento dell’appropriatezza delle cure alla luce dell’eguaglianza Siaartiana. I punti che sottolineano la necessità di una attenta valutazione della presenza di comorbilità e dello status funzionale puntano certamente in quella direzione. L’obiettivo finale delle Raccomandazioni è riaffermare che prima dell’economia viene un’etica informata al nuovo criterio sociale-allargato e alla trasparenza, valore questo che sta alla base della fiducia e che giustifica l’uscita pubblica.
 
Quando i problemi sono discussi apertamente, la gente capisce le difficoltà e capisce anche di avere a che fare con ottimi professionisti, competenti, eticamente coinvolti e che hanno ben chiaro il quadro della situazione senza lasciarsi prendere dal panico o da eccesso di dolore. Quel che oggi non è più accettabile è lo scarso senso di realtà o il ricorso a  sotterfugi e doppiezza: sono finiti i tempi in cui il medico in pubblico diceva una cosa e poi nel privato con una strizzatina d’occhio disponeva il contrario. Oggi ci vuole trasparenza, atteggiamento morale che fa pendant con col consenso informato e il diritto di sapere.
 
Ultimo problema è stabilire se l’eguaglianza Siaartiana sia o no in linea con la Costituzione. Ora che abbiamo individuato tre diverse concezioni di eguaglianza il problema diventa interessante. L’eguaglianza ippocratica senz’altro è stata in sintonia con i dettami costituzionali fino a qualche tempo fa, ma adesso non lo è più, e oggi più rispondente al quadro costituzionale è l’eguaglianza lenziana. Di fatto la legge Lenzi è stata molto citata nella Sentenza 242/17 sul caso Cappato, e usata dalla Corte Costituzionale per giustificare alcune tesi di quella decisione.
 
Nonostante questo, gli ippocratici continuano a ripetere che la L. 219/17 è anti-costituzionale, critica che mette in luce come eguaglianza ippocratica e lenziana siano tra loro incompatibili, in quanto i rispettivi criteri di rilevanza si escludono: l’uno è biologico, l’altro è sociale. Non è così per gli altri due criteri, che sono entrambi di tipo sociale, e in particolare il secondo è un ampliamento del primo. In questo senso, i due criteri possono essere compatibili, e il secondo potrebbe essere complementare al primo, anche se non possiamo esaminare qui se lo sia o no, e perché. Poiché l’eguaglianza lenziana è in linea col dettato costituzionale, e l’eguaglianza Siaartiana è compatibile con quella lenziana, si può pensare che anche la Siaartiana non sia in contrasto con la Costituzione. Che lo sia davvero o no, è questione da trattare a parte. In presenza di tre diverse nozioni di eguaglianza, comunque, non è immediato stabilire se una proposta sia anti-costituzionale o no, e si deve attentamente distinguere le questioni.
 
Come conclusione due auspici. Avendo mostrato che i criteri ippocratici e lenziani sono incompatibili, auspico che la Fnomceo provveda presto a modificare il Codice 2014 che ancora pone la “tutela della vita” (art. 3) come compito prioritario del medico. Da quando è entrata in vigore la legge Lenzi, la priorità è passata alla tutela della salute come benessere psico-fisico. L’altro auspicio è più immediato: che la Fnomceo colga al volo l’opportunità offerta dalle Raccomandazioni Siaarti e, invece di continuare con l’atteggiamento di rifiuto, apra subito un dibattito serio che coinvolga tutti, affrontando quel tema etico non più eludibile e altri che sono altrettanto urgenti.
 
Maurizio Mori
Ordinario di Filosofia Morale e Bioetica, Università degli Studi di Torino
Componente del Comitato Nazionale per la Bioetica
Direttore di Bioetica. Rivista interdisciplinare

13 marzo 2020
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