Terapia genica per la beta-talassemia: due studi fanno ben sperare
di Maria Rita Montebelli
Pubblicati oggi sul New England Journal of Medicine due studi di fase 1 e 2 condotti uno a livello internazionale, l’altro a Parigi, su 22 pazienti affetti dalla forma più grave di beta-talassemia, quella trasfusione dipendente. Dopo condizionamento del midollo con busulfan (mieloablazione), ai pazienti sono state reinfuse le loro cellule staminali ematopoietiche, precedentemente prelevate e ‘infettate’ fuori dall’organismo da un vettore virale (BB305) contenente il gene sano dell’emoglobina (HbA). Nei pazienti trattati, la terapia genica ha ridotto o eliminato del tutto la necessità di ricorrere a trasfusioni, senza effetti collaterali relativi al trattamento.
19 APR - La beta-talassemia è un’emoglobinopatia causata da oltre 200 mutazioni del gene della globina HBB, che codifica la subunità beta della forma di emoglobina più comune nell’adulto (HbA); queste mutazioni sono in grado di abolire del tutto (
beta0) o di ridurre (
beta+) la sintesi di beta-globina, provocando la formazione di globuli rossi ‘difettosi’ e da ultimo una grave anemia. La forma più grave di malattia, la beta-talassemia trasfusione-dipendente, richiede la somministrazione cronica di trasfusioni di emazie per mantenere in vita il paziente e prevenire una serie di gravi complicanze.
Fino ad oggi la terapia di queste gravi forme di beta-talassemia prevedeva dunque solo trasfusioni ripetute di sangue e terapia ferro-chelante a vita; in rari casi si può ricorrere al trapianto di cellule ematopoietiche allogeniche, con tutti i rischi connessi a questo tipo di procedura.
Ma adesso, due studi di fase 1 e 2, appena pubblicati sul
New England Journal of Medicine sembrano suggerire un nuovo futuro per il trattamento della beta-talassemia trasfusione-dipendente: la terapia genica.
I due studi (Northstar-204 e Northstar-205) hanno testato un’innovativa terapia genica, la LentiGlobina che sfrutta un vettore virale (un lentivirus) ‘caricato’ del gene che codifica per la beta-globina.
Nei due studi, sono state prelevate dai 22 pazienti,di età compresa tra 12 e 35 anni, affetti da beta-talassemia trasfusione-dipendente, delle cellule staminali ematopoietiche (CD34+), cimentandole poi
ex vivo con il vettore LentiGlobin BB305, contenente il gene che codifica per l’emoglobina adulta (HbA) con una sostituzione aminoacidica T87Q. Le cellule sottoposte a questo trattamento fuori dall’organismo, sono state successivamente reinfuse nei pazienti, dopo che questi erano andati incontro ad un regime di condizionamento con busulfan (che distrugge il midollo osseo, come prima di un trapianto di midollo).
I pazienti sono stati sottoposti in seguito a stretto follow-up per il monitoraggio degli effetti indesiderati, per valutare l’integrazione del vettore e i livelli di lentivirus replicazione-competenti.
L’efficacia del trattamento è stata valutata monitorando il livelli di emoglobina totale e di HbAT87Q, la necessità di ricorrere a trasfusioni, il numero medio delle copie virali.
A distanza di 26 mesi dal trattamento con le cellule geneticamente modificate, 12 dei 13 pazienti con genotipo non-beta0-beta0 non avevano più avuto bisogno di ricevere trasfusioni. I livelli di HbAT87Q andavano da 3,4 a 10 gr/dl, mentre quelli di emoglobina totale andavano da 8,2 a 13,7 g/dl.
In 9 pazienti con genotipo beta
0-beta
0 o con due copie della mutazione IVS1-110, il volume di trasfusioni, rapportato ad un anno, si è ridotto del 73%; in 3 pazienti è stato possibile interrompere del tutto il ricorso a trasfusioni di emazie.
Gli effetti collaterali sono stati quelli tipici dei trapianti di cellule staminali autologhe.
Il trattamento con cellule CD34+ autologhe, trasdotte con vettore BB305, è dunque riuscito a ridurre e, in molti casi, ad eliminare la necessità di ricorrere a trasfusione in questo gruppo di pazienti affetti da una grave forma di beta-talassemia,senza riscontro di eventi indesiderati correlati alla terapia genica utilizzata.
Maria Rita Montebelli
19 aprile 2018
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