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Allattamento al seno e farmaci: una guida del ministero con i consigli agli operatori per la sicurezza di mamma e bambino


Il ministero della Salute ha pubblicato un documento in cui si affronta il tema dell’uso di farmaci da parte della donna che allatta al seno, per analizzare “la problematica della sicurezza per il lattante, per i possibili effetti conseguenti al passaggio del farmaco nel latte materno”:  tra il 65% e il 95% delle donne in allattamento assume farmaci. IL DOCUMENTO.

14 FEB - I farmaci durante l’allattamento possono interferire nella salute del bambino, per quanto la mamma possa aver bisogno di cure.

Per questo il ministero della Salute ha appena pubblicato un documento in cui si affronta il tema dell’uso di farmaci da parte della donna che allatta al seno, sottolineando che “l’assunzione di medicinali da parte della donna che allatta solleva la problematica della sicurezza per il lattante, per i possibili effetti conseguenti al passaggio del farmaco nel latte materno”.

Il position statement del ministero si è reso necessario perché, come si legge nelle premesse al documento,  limitati dati sui rischi correlati all’uso dei farmaci in allattamento non sempre aiutano a decidere se il beneficio della terapia per la donna che allatta è superiore al rischio di eventi avversi per il bambino. “Un’informazione non adeguata  - sottolinea il documento - può indurre un’inutile sospensione dell’allattamento o la rinuncia alla cura da parte della mamma, oppure il ricorso all’automedicazione ed in particolare a terapie alternative (omeopatici, integratori, fitoterapici), che non possono essere intese come pregiudizialmente più efficaci e più sicure”.

Il documento spiega che si stima che tra il 65% e il 95% delle donne in allattamento assume farmaci, il cui uso solleva il problema sicurezza in corso di allattamento.

Per quanto riguarda la situazione italiana, nel 2016, il Servizio di Informazione sui Farmaci in Gravidanza e Allattamento del Centro Antiveleni di Bergamo ha ricevuto 28.922 richieste di consulenza sull’uso dei farmaci in allattamento, per un totale di 41.903 farmaci.
 


Le informazioni sono state richieste, nella maggior parte dei casi, dalle donne stesse (85% dei casi), dagli operatori sanitari (9%) e dai familiari (6%).

L’età del lattante al momento della richiesta di consulenza era inferiore a 6 mesi nel 57% dei casi, tra 6 e 12 mesi nel 22%, tra 12 e 24 mesi nel 17%, mentre nel 4% dei casi era superiore ai due anni. Le richieste di informazioni riguardavano l’uso di farmaci nel 98% dei casi, mentre il restante 2% riguardava informazioni su esecuzione di radiografie, uso di cosmetici, ecc.

Tra i farmaci, al primo posto sono gli antinfiammatori non steroidei (22%), seguiti da antibiotici (14%), gastrointestinali (14%), ormonali (5%), genitourinari (4%), cardiovascolari (3%) ecc. I farmaci attivi sul sistema nervoso centrale (SNC) costituivano l’8% del totale delle richieste e riguardavano in particolare ansiolitici (49%), antidepressivi (29%), antiepilettici (12%) e antipsicotici (10%). Sulla base dei dati di letteratura disponibili, i farmaci sono risultati compatibili con l’allattamento nel 91% dei casi.

Per questo il documento del ministero fa da guida per la gestione corretta delle informazioni di sicurezza dei farmaci in allattamento, sulla base di evidenze scientifiche, considerando che nella pratica clinica la scelta terapeutica spetta al medico, dopo valutazione clinica del singolo caso. Il documento raccoglie, per alcuni principi attivi di “collaudata esperienza clinica”, i dati più recenti di letteratura sulla quantità escreta nel latte e sugli eventi avversi nei neonati allattati al seno.

Ma, sottolinea il ministero, è determinante la figura dell’operatore sanitario nel garantire alla donna che allatta gli strumenti appropriati per facilitare una scelta informata e consapevole.

Anche perché, spiega il documento, il consiglio sull’uso di un farmaco in corso di allattamento al seno deve tenere conto che l’eventuale controindicazione ad allattare implica la perdita di alcuni benefici sia per la mamma, sia per il suo bambino.

Il ministero in questo senso chiarisce tre punti:

• anche una breve sospensione dell’allattamento al seno può recare un certo grado di disagio al bambino, che, abituato all’allattamento, deve improvvisamente adattarsi ad assumere latte di formula (biberon) e successivamente riadattarsi a succhiare al seno;

• estrarre il latte dal seno potrebbe rappresentare per la madre un impegno aggiuntivo e talora potrebbe comportare qualche difficoltà, considerate le precauzioni da prendere per la preparazione e la conservazione del latte materno. Va inoltre considerato che anche una sospensione transitoria dell’allattamento al seno aumenta il rischio di ingorghi mammari e di interruzione definitiva;

• il mantenimento della produzione di latte mediante spremitura (manuale, meccanica o elettrica) non è altrettanto efficace come la suzione diretta al seno materno. Ne deriva un calo di produzione di latte materno, che non è solo il risultato di una ridotta stimolazione ormonale del riflesso sensitivo-ormonale della prolattina, ma è anche in parte dovuto ad una riduzione della massa attiva ghiandolare, mediante meccanismi di risparmio cellulare dei lattociti su base apoptosica.

Il documento offre anche una guida per la valutazione dei farmaci in allattamento:
- il medico dovrebbe fare una valutazione metodologicamente corretta sull’eventuale rischio del singolo farmaco assunto in allattamento, in relazione al caso individuale e non basarsi esclusivamente sul principio di astensione/negazione per eccessiva cautela:
- non si dovrebbe ritenere che l’assunzione di farmaci in allattamento sia in linea di principio incompatibile con la tutela della salute del lattante. La malattia della madre se non curata potrebbe rappresentare un rischio per il bambino e non dovrebbe essere differita. Esempi sono la cura di un problema dentario o di un attacco di emicrania/cefalea;
- il giudizio professionale non dovrebbe basarsi neppure su un approccio improntato alla medicina difensiva, cioè sul timore medico-legale;
- particolare attenzione va posta quando il bambino è allattato in maniera esclusiva al seno e in particolare nei primi due mesi di vita oppure nei neonati pretermine, quando il metabolismo del bambino risulta ancora immaturo;
- la scelta della terapia dovrebbe ricadere su principi attivi per cui vi è una comprovata esperienza clinica in allattamento, evitando i farmaci con lunga emivita o con lunga durata d’azione;
- se possibile, è da preferire la via di somministrazione che riduca al minimo il passaggio nel latte (ad esempio corticosteroidi per via inalatoria anziché orale);
- dovrebbero essere scelti i farmaci non assorbiti o poco assorbiti per via gastrointestinale, con il minimo dosaggio terapeutico efficace;
- se un farmaco è assolutamente controindicato in allattamento, in assenza di alternative compatibili, si può interrompere l’allattamento per poi riprenderlo appena possibile. In questo caso si daranno le informazioni necessarie per mantenere una valida produzione di latte materno mediante estrazione dal seno;
- nei casi più complessi o con farmaci di recente autorizzazione, la valutazione del beneficio/rischio può essere discussa con i Servizi di informazione sull’uso di farmaci in allattamento (e gravidanza).

Nel documento il ministero consiglia anche di suggerire alla madre di prendere i farmaci subito dopo la fine di una poppata al seno e se si prende una volta al giorno di farlo dopo il pasto che precede l’intervallo più lungo tra le poppate.
E poiché nessun farmaco può essere considerato assolutamente sicuro, alla mamma va raccomandato di monitorare il bambino per controllare eventuali reazioni avverse e comunque il piccolo va tenuto sotto controllo da parte del pediatra, tenendo presente che circa l’80% delle sospette reazioni avverse di questo tipo nei lattanti sono registrate nei primi 2 mesi di vita e spesso riguardano il sistema nervoso centrale o l’apparato gastroenterico. 
 

14 febbraio 2018
© Riproduzione riservata

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