Choosing Wisely: eccessiva semplificazione o antidoto alla nemesi della medicina?
di Antonio Bonaldi
Restiamo convinti del rischio che la pratica della medicina si possa trasformare in una seria minaccia per la salute delle persone e che gli effetti iatrogeni associati ad un eccesso di trattamenti siano destinati a crescere fino ad offuscare i pur rilevanti successi della scienza e della tecnologia. Purtroppo chi si riconosce nello slogan “meno è meglio” fa parte di una sparuta minoranza. Ci consola però che 44 Società Scientifiche abbiano aderito al progetto Choosing Wisely Italy
05 GEN - Un articolo recentemente pubblicato sul
New England Journal of Medicine “The less is more crusade - are we overmedicalizing or oversimplifying?” ( ) ha riaperto a livello internazionale il controverso tema dell’appropriatezza ( , ). Un argomento sempre di attualità su cui è in corso, anche in Italia un nutrito dibattito. Basti ricordare le aspre polemiche sollevate lo scorso anno dal cosiddetto “Decreto appropriatezza” che pretendeva di risolvere il problema attraverso una serie di “regole” predefinite dal legislatore, ignorando la complessità delle variabili che interagiscono e condizionano i comportamenti e le decisioni del medico e del paziente ( ).
Secondo Lisa Rosembaum, “Less is more”, (meno è meglio), lo slogan su cui si fonda la famosa campagna “Choosing Wisely”, portata avanti anche in Italia da Slow Medicine ( ), conduce ad un’eccessiva semplificazione della medicina. Dato che non si può stabilire con esattezza quali pazienti si potranno giovare di un certo intervento, fare meno significa esporsi all’inevitabile rischio che qualcuno non riceva le cure di cui ha effettivamente bisogno. A sostegno di questa ipotesi Rosembaum riporta alcuni esempi dove si dimostra che qualche volta “fare meno è meglio” ma altre volte, come nel caso della riduzione della soglia della troponina per la diagnosi di infarto, fare di più è meglio. Inoltre, scrive Rosembaum, il valore degli esempi portati a sostegno dal movimento “Less is more”, è inficiato dall’omissione di importanti dettagli, tanto che l’aggiunta di qualche “pezzo del puzzle”, potrebbe meglio esprimere la complessità in cui si trova ad operare la medicina, ancorché le argomentazioni non siano facilmente comprensibili dal grande pubblico.
Da qui, il rimprovero indirizzato ai movimenti che si richiamano a “Less is more” di attribuire esclusivamente alla “penna dei medici”, la responsabilità di un uso eccessivo e improprio di interventi sanitari, trascurando gli innumerevoli fattori che agiscono sulle decisioni finali quali l’incertezza, le diagnosi perse, le preferenze dei pazienti e la paura di incorrere in contenziosi medico-legali.
Ciò che è meglio per il sistema, conclude Rosembaum, non è necessariamente meglio per il singolo paziente e l’aforisma “Less is more” è adatto per raccontare degli aneddoti ma non per esprimere la complessità delle decisioni che coinvolgono medici e pazienti.
Le idee espresse da Rosembaum, così come gli esempi che riporta a loro sostegno appaiono molto suggestivi, ma non tengono conto dell’approfondito dibattito che negli ultimi anni si è sviluppato intorno a questi temi, testimoniato dall’enorme mole di lavori pubblicati sulle più prestigiose riviste internazionali. L’autrice pare anche dimenticarsi delle campagne internazionali avviate, oltre che dal movimento Choosing Wisely (oggi diffuso in 22 Paesi, distribuiti su 5 continenti) ( ), da Jama Internal Medicine (Less is more series) ( ), dal BMJ (Too much medicine) ( ), dal Lancet (Right care) ( ), dall’OCSE nel documento Tackling Wasteful Spending on Health presentato alla Conferenza dei ministri della sanità di 35 Paesi, tenutasi a Parigi nel 2017 ( ).
Se Rosembaum avesse letto anche solo una parte della letteratura disponibile su questi argomenti si sarebbe subito resa conto che il movimento Choosing Wisely non propone semplicemente di fare meno, bensì di migliorare la qualità e la sicurezza delle cure agendo sull’appropriatezza, ben sapendo della complessità che si cela dietro questo ambizioso obiettivo. Siamo, infatti, del tutto consapevoli che le decisioni del medico di fronte al paziente è solo l’ultimo anello di una lunga catena di eventi che chiama in causa l’intero contesto organizzativo, sociale e culturale entro il quale si orientano i comportamenti e maturano le decisioni.
Comprendiamo le difficoltà che si incontrano nell’illusorio tentativo di controllare l’incertezza del paziente e la paura del medico di sbagliare, dal momento che la gente è indotta a credere che la medicina sia una scienza esatta e che ogni problema possa essere risolto con l’aiuto della tecnologia. Conosciamo anche gli enormi interessi economici che pervadono ogni settore dell’attività umana, compreso quello sanitario, tanto che John Ioannidis dalle pagine del BMJ, ci ricorda che ci stiamo avviando a grandi passi verso la financed based medicine, dove l’interesse prevalente non è quello di salvaguardare la salute ma di raggiungere la più ampia fetta di mercato ( ).
Il tentativo di porre in atto qualche iniziativa che si proponga di contrastare questa pericolosa deriva coinvolgendo direttamente professionisti e pazienti non è quindi un modo semplicistico di rappresentare la realtà ma una delle possibili risposte ad un’impellente necessità. Di fatto, ancorché riconosciamo di agire entro un sistema complesso, qualsiasi decisione è, in ultima analisi, un esercizio di semplificazione, cioè di riconduzione di segmenti di realtà ad una dimensione lineare. In ogni sistema complesso, infatti, si possono individuare e isolare circostanze lineari che è opportuno considerare come tali, ma che acquistano significato e valore solo se osservate in relazione dinamica con gli altri aspetti del sistema entro cui interagiscono, che permane in larga misura sconosciuto e inconoscibile.
Rosembaum richiama, senza di fatto affrontarlo, uno dei più gravi e subdoli problemi che si celano dietro l’opinione comune che fare di più sia sempre meglio: la sovradiagnosi e il conseguente sovra-trattamento. La sovradiagnosi consiste nell’individuare malattie e disturbi silenti di cui non avremmo mai avuto sentore, ma il cui trattamento, come ormai assodato da una vasta letteratura in continua rapida crescita (oltre 1200 articoli solo nel 2016), può provocare conseguenze molto negative sulla salute delle persone ( , ). È un vero peccato che Rosembaum non ne parli.
Da ultimo vale la pena di ricordare che per assicurare prestazioni che non offrono alcun beneficio al paziente e che spesso si rilevano dannose, si sprecano preziose risorse che di fatto impediscono ad altre persone di ricevere le cure di cui avrebbero bisogno.
Insomma siamo convinti che il problema della crisi del sistema delle cure e più in generale della medicina d’oggi non sia imputabile ad un’eccessiva semplificazione della medicina, né al rischio di perdere qualche malato per difetto d’intervento, bensì a quello ben più rilevante di giungere alla nemesi della medicina. Cioè al pericolo che la pratica della medicina si possa trasformare in una seria minaccia per la salute delle persone e che gli effetti iatrogeni associati ad un eccesso di trattamenti siano destinati a crescere fino ad offuscare i pur rilevanti successi della scienza e della tecnologia.
Purtroppo, nonostante quanto possa pensare Rosembaum, siamo convinti che chi si riconosce nello slogan “meno è meglio” - cioè nell’idea che qualche volta agire con sobrietà dia risultati migliori - faccia parte di una sparuta minoranza. L’opinione pubblica prevalente, infatti, ritiene che in ogni ambito dell’attività umana (di cui la medicina e solo una delle tante espressioni) fare ed avere di più sia sempre meglio, indipendentemente dai risultati ottenuti. D’altra parte gli smisurati interessi che inducono al consumo di prestazioni sanitarie (ancorché inutili) sono immensamente superiori alle deboli forze messe in atto per contrastarli e pertanto, almeno nel breve periodo, un’inversione di tendenza ci sembra poco probabile.
Ci consola però il fatto che ad oggi 44 Società Scientifiche Nazionali abbiano aderito al progetto Choosing Wisely Italy e che tale iniziativa sia sostenuta dalla FNOMCeO, dall’IPASVI, da Altroconsumo e da molte altre associazioni di pazienti e cittadini.
Siamo ben consapevoli che questa campagna non risolva da sola la profonda crisi in cui si dibatte il sistema delle cure ma essa rappresenta pur sempre un segnale positivo che insieme al crescente interesse che si raccoglie intorno al pensiero e alle iniziative di Slow Medicine ci lascia almeno la speranza che una medicina sobria, rispettosa e giusta, non sia del tutto impossibile.
Antonio Bonaldi
Presidente di Slow Medicine
Riferimenti bibliografici
1- Rosenbaum L: The Less-Is-More Crusade -Are We Overmedicalizing or Oversimplifying? N Engl J Med 2017; 377:2392-2397.
2 - Has “Less is More” gone too far? The New England Journal says it has. http://lowninstitute.org/news/blog/less-gone-far/.
3 - Husten L: Ms. Inappropriate Defends The Status Quo. http://www.cardiobrief.org/2017/12/18/ms-inappropriate-defends-the-status-quo/
4 - Decreto appropriatezza. Nuovo affondo di Slow Medicine: “Grande confusione tra razionamento e appropriatezza”. http://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=36134.
5 - http://www.slowmedicine.it/index.php/it/la-rete-di-slow-medicine/choosing-wisely-italia.
6 - Levinson W, et al: ‘Choosing Wisely’: a growing international campaign. BMJ Qual Saf 2014.
7 - Less is more series: https://jamanetwork.com/journals/jamainternalmedicine/article-abstract/415863?redirect=true
8 - Too much medicine: http://www.bmj.com/too-much-medicine.
9 - Right care 2017: http://www.thelancet.com/series/right-care
10 - OECD 2017: Tackling Wasteful Spending on Health. http://www.oecd.org/health/tackling-wasteful-spending-on-health-9789264266414-en.htm
11 - Lenzer J. Experts and activists discuss how to get “right care” for patients. BMJ 2016; 353:i2406
12 - Welch HW, Schwatrz LM, Woloshin S. Sovradiagnosi. Come gli sforzi per migliorare la salute possono renderci malati. Il Pensiero Scientifico Editore 2014.
13 - Morgan DJ: 2017 Update on Medical Overuse: A Systematic Review. JAMA Internal Medicine 2018; 178: 110-115.
05 gennaio 2018
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