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Malattie reumatiche. Ne soffrono oltre 5 milioni di persone: il 30% perde il lavoro, vita sociale ridotta per 2 su 3


A causa delle malattie reumatiche 2 persone su 3 sono costrette a ridurre la propria vita sociale. Il 20% fa fatica ad accedere ai farmaci e oltre il 30% deve lasciare il lavoro o diminuire le ore di impegno. Una realtà drammatica con cui devono fare i conti quotidianamente 5 milioni e mezzo di persone. L’Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare, Apmar, lancia la campagna #Diamoduemani. LO STUDIO. Il PROGRAMMA DEL CONVEGNO APMAR.

12 OTT - L’applicazione immediata del piano della cronicità per garantire la presa in carico globale del paziente e uniformare la qualità dell’assistenza, la revisione dei Lea e la garanzia di continuità terapeutica. Sono le tre richieste che Antonella Celano, Presidente di Apmar, l’Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare, avanza al ministro della Salute, Beatrice Lorenzin e al presidente della Conferenza Stato Regioni, Stefano Bonaccini.
 

Pretese che l’Associazione ha evidenziato dopo aver portato a termine una  ricerca che evidenzia tutte le criticità nelle condizioni di vita quotidiana di molti pazienti reumatici, per i quali l’insorgenza e lo sviluppo della malattia hanno rappresentato una svolta cruciale nella loro vita quotidiana. Il 30% di chi aveva un lavoro al momento dell’insorgenza della malattia lo ha dovuto abbandonare o limitare fortemente; il 65% ha visto ridurre in maniera importante le proprie attività sociali e il 3% dichiara di non avere più alcuna vita sociale.
 
La campagna informativa
Per far conosce le malattie reumatiche l’Apmar ha organizzato una giornata di sensibilizzazione #Diamoduemani. L’appuntamento è per il 15 ottobre 2017, in piazza di Spagna, dalle 10 alle 18.
 
L’indagine avviata dall’Associazione ha coinvolto, in questa prima fase, oltre 300 persone con malattie reumatologiche severe residenti in 6 regioni italiane (Piemonte, Lombardia, Marche, Lazio, Calabria e Sicilia). “Abbiamo iniziato un importante viaggio nelle regioni italiane per radiografare i bisogni e le condizioni di vita delle persone con malattie reumatiche severe”, ha spiegato Antonella Celano, Presidente di Apmar (Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare) in occasione dell’apertura del convegno “Le malattie reumatologiche e i 21 Sistemi Sanitari Regionali”, presso la Biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini”.
 

“Le informazioni che giungono da molte regioni sono allarmanti – ha continuato Celano – e dimostrano quanto ci sia ancora da lavorare per garantire un’assistenza omogenea alle persone con malattie reumatologiche in Italia. Rimangono ancora infatti una serie di problematicità per quanto riguarda l’accesso alle strutture (46% degli intervistati calabresi), tempi di attesa (48% di giudizi negativi nel Lazio e in Calabria)”.
 
“Chiediamo quindi – ha detto il Presidente di Apmar - che vengano costruiti percorsi di cura individualizzati in base alle esigenze di chi è colpito da queste patologie e spesso è costretto a bussare a molte porte prima di trovare il medico ‘giusto’ che possa accompagnarlo nel suo percorso. Sono i viaggi della speranza, che spesso portano il paziente a dover attraversare tutto lo Stivale per riuscire ad ottenere una diagnosi, sottoporsi ad una terapia infusionale o semplicemente ad una visita di controllo”.
 
Lo studio
Il momento della diagnosi si rivela uno spartiacque importante anche dal punto di vista psicologico: infatti se per il 30% dei casi la diagnosi è stata un sollievo perché ha dato finalmente un nome ai dolori e alle sofferenze che si provavano, nel 32% dei casi ha invece portato ad uno scoraggiamento e ad una perdita di fiducia verso il futuro. Infine il 23% degli intervistati si è trovato in una vera e propria situazione di paura. Associato a questo dato appare particolarmente rilevante il bisogno di una assistenza psicologica, consigliato dalle strutture di cura a meno di un paziente ogni 6, ma considerato importante da un numero più che doppio di pazienti.


L’indagine Swg, realizzata a settembre 2017 racconta anche delle difficoltà di accesso ai farmaci: per il 40% degli intervistati i farmaci necessari non sono erogati dal sistema sanitario nazionale, il 56% lamenta la confusione presente tra gli addetti ai lavori rispetto ai livelli di esenzione e il 19% dichiara di non riuscire a procurarsi i farmaci previsti per le proprie terapie.
 
Le malattie reumatiche in Italia
In Italia le malattie reumatiche colpiscono oltre 5 milioni e mezzo di persone, circa il 10% della popolazione. Le malattie reumatiche sono più di un centinaio: tra le principali ricordiamo: Artrosi è la patologia reumatica più diffusa, ne soffrono oltre 2,5 milioni di persone, soprattutto nella terza età. Fibromialgia, circa 1,5 - 2 milioni di persone, 9 pazienti su 10 sono donn. Spondilite anchilosante, si manifesta in soggetti geneticamente predisposti di giovane età (15-35 anni), predilige gli uomini alle donne, con un rapporto di 9:1. Gotta, 500mila persone soprattutto uomini. Le patologie infiammatorio croniche in Italia sono circa 600 mila e comprendono: artrite reumatoide, 300mila persone (per ogni uomo affetto ne soffrono 5 donne, specialmente in età fertile). Artrite psoriasica, si stimano tra i 12 e i 60 mila pazienti (tra il 5 e il 30% con psoriasi). Lupus, oltre 60 mila 9 pazienti su 10 sono donne (colpisce in età fertile tra i 15 e 35 anni).
 
La salute è una e indivisibile come l’Italia – ha continuato Celano - e occorre attenersi a quanto sancito dalla nostra Costituzione per garantire che tutti i cittadini, incluse le persone con malattie reumatologiche, abbiano pari accesso alle prestazioni diagnostiche e terapeutiche sia dal punto di vista qualitativo sia in termini di tempi di attesa. Sono tempi difficili per la sanità che finisce spesso per trasformarsi, soprattutto a livello regionale, in un bancomat per fare cassa, limitando l’accesso alle prestazioni sanitarie”.
 
“Va completamente ribaltato il paradigma attuale – ha suggerito il presidente dell’Associazione - che continua a ritenere la sanità un costo e non un investimento. Questa è pura miopia politica che non fa altro che moltiplicare i costi sanitari e sociali, scaricandoli sugli amministratori futuri e minacciando la salute dei pazienti”.


Apmar plaude con favore “alla recente sentenza del Consiglio di Stato (N. 04546/2017REG.PROV.COLL. N. 00706/2016 REG.RIC) che ha ritenuto illegittimi i provvedimenti restrittivi definiti a livello regionale nell’accesso ai farmaci, in quanto l’Aifa ha competenza esclusiva in Italia sulle funzioni relative al rilascio dell’autorizzazione, all’immissione in commercio dei farmaci, alla loro classificazione, alle relative indicazioni terapeutiche, ai criterî delle pertinenti prestazioni, alla determinazione dei prezzi, al regime di rimborsabilità e al monitoraggio del loro consumo”.
 

“Tali funzioni legislative e amministrative – ha commentato Celano - spettano infatti solo all’autorità statale come si evince sia dalla giurisprudenza costituzionale sia da quella amministrativa. Pertanto le Regioni non possono prevedere regimi di utilizzabilità e di rimborsabilità dei farmaci contrastanti e incompatibili con i pareri emessi dall’Aifa a livello nazionale. Le Regioni devono peraltro assolvere a compiti molto importanti e vitali sul territorio garantendo la continuità terapeutica e non imponendo con delibere ad hoc lo switch dai farmaci biologici ai biosimilari, impegnandosi a lavorare sui Pdta, Reti Hub e Spoke, e sulla attivazione dei Registri che oggi sono assolutamente insufficienti e poco diffusi”.
 

Anche Stefano Stisi, presidente Crei, il Collegio Reumatologi Italiani è intervenuto nel dibattito: “io non so che significato possano avere tutti i nostri Pdta, le linee guida, etc – ha sottolineato - se poi con colpi di mano unicamente amministrativi e dettati dalle esigenze di spesa tutto ciò che è tecnico resta solo un atto teorico. Sempre più abbiamo bisogno di regole chiare ed uniche sull’intero territorio nazionale, dove invece sta accadendo l’opposto”
.
“Ciò che è vero in Sicilia, non accade in Piemonte, in Toscana ancora è diverso, eccetera, creando scenari a volte schizofrenici. Quasi esistessero diversi diritti alla cura della persona. È giunta l’ora – ha detto Stisi - di ‘centralizzare’ diritti, tutele, accesso alle cure e modalità di erogazione delle stesse. Si sollecita il Ministero a cercare soluzioni che siano dapprima di diritto e di servizio al cittadino e che non possano essere modificate dalle singole regioni italiane Il Collegio Reumatologi Italiani è al fianco del Ministro a salvaguardia dei cittadini e del diritto dei malati al trattamento migliore”.


Intanto, sul fronte della formazione, c’è da segnalare una grossa falla nel sistema, come sottolinea Giovanni Lapadula, presidente Gisea, il Gruppo Italiano di Studio sulla Early Arthritis: “il ministero per la terza volta ha chiesto l’accreditamento delle scuole e per la terza volta ha cambiato i parametri elevando ancor più l’asticella. Ora il 60% delle scuole sono ammesse con riserva, se si considera anche che molti professori stanno andando in pensione e che il Ministero non eroga i fondi per assumere altri docenti il quadro desolante è al completo. Se si persiste in questa via diabolica, questa situazione porterà alla scomparsa di molte scuole, e di conseguenza di molte specialità mediche sul territorio, compresa quella reumatologica. Tutto questo è in forte contrasto con i principi animatori del piano per la cronicità”.


“Diagnosi precoce, terapia tempestiva e misurata sul paziente con obiettivo la remissione, prevenzione della disabilità e quindi della cronicità nella invalidità, sono obiettivi raggiungibili nell’AR e in tutte le malattie croniche infiammatorie, dalle artriti, alle connettiviti, vasculiti e patologie autoinfiammatorie – ha affermato Mauro Galeazzi, presidente Sir, la Società Italiana di Reumatologia -. Tuttavia, per raggiungere questi obiettivi c’è bisogno di organizzazione e, in questo senso, la rete territoriale assistenziale integrata, che mette funzionalmente insieme strutture di primo, secondo e terzo livello, e i Pdta rappresentano gli strumenti più adatti da costruire per raggiungere gli obiettivi auspicati. Ove questo tipo di organizzazione sia stato attuato, purtroppo non in tutte le Regioni – ha concluso - il consultivo dell’utilizzo dei farmaci biotecnologici è stato straordinario sia sul piano dei risultati clinici che su quello del risparmio economico che ha prodotto”.

12 ottobre 2017
© Riproduzione riservata

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