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Le autorizzazioni dei nuovi farmaci più rapide. Ma sempre rigorose

di Mario Melazzini (Aifa)

Le nuove terapie richiedono percorsi di valutazione e autorizzazione in grado di riconoscere e premiare la vera innovazione, rendendo rapidamente disponibili per i pazienti e i clinici i trattamenti più sicuri ed efficaci. Ma la strada maestra non può essere la deregolamentazione o una limitazione delle competenze e del ruolo della agenzie regolatorie

19 GEN - L’autorizzazione di un nuova molecola è un processo regolatorio complesso, dinamico e multidimensionale, che negli ultimi anni si è evoluto e diversificato per fronteggiare lo scenario generato dalle nuove ondate di farmaci ad alto grado di innovazione e a elevato impatto sulla salute e sui sistemi sanitari.
 
Le nuove terapie richiedono percorsi di valutazione e autorizzazione in grado di riconoscere e premiare la vera innovazione, rendendo rapidamente disponibili per i pazienti e i clinici i trattamenti più sicuri ed efficaci.
 
Consulenze scientifiche precoci, percorsi di sviluppo accelerati e modelli di autorizzazione adattiva sono attualmente applicati dai regolatori in Europa e negli Stati Uniti al fine di bilanciare accesso, innovazione e sostenibilità, nell’ambito di un sistema pienamente regolamentato, in grado di garantire ai pazienti il più rigoroso controllo sui farmaci loro destinati. In nessun caso si può infatti prescindere da una valutazione regolatoria approfondita e puntuale delle evidenze scientifiche necessarie a supportare i dossier autorizzativi.
 
In questo contesto, i trial clinici randomizzati e controllati, se pianificati, condotti e riportati in modo corretto, rimangono una delle fonti più affidabili di evidenze validate a disposizione delle agenzie regolatorie, dei sistemi sanitari e dell’intera comunità scientifica.
 
La strada maestra non può essere quindi la deregolamentazione o una limitazione delle competenze e del ruolo della agenzie regolatorie. Un rischio ventilato, ad esempio, da A. S. Kesselheim, e J. Avorn, nell’editoriale New “21st Century Cures” Legislation pubblicato su JAMA, in cui gli Autori si soffermano su alcune disposizioni contenute nel 21st Century Cures Act (convertito in legge a dicembre 2016) che potrebbero avere ricadute negli Stati Uniti sull’attività della Food and Drug Administration (FDA).
 
Il testo contiene– sostengono Kesselheim e Avorn – una serie di norme volte a ridurre la quantità e il rigore dei test clinici necessari per l’approvazione di nuovi farmaci e dispositivi medici. Questi cambiamenti – affermano gli Autori – si basano sull’equivoco di fondo secondo cui gli standard autorizzativi dell’FDA sarebbero troppo esigenti, costituendo una barriera all’accesso per i pazienti americani e aumentando inutilmente il costo e la durata dello sviluppo di farmaci e dispositivi.
 
Le norme cui fanno riferimento Kesselheim e Avorn mirano a includere in modo sempre più robusto, tra i dati a supporto dei dossier autorizzativi, i biomarcatori e gli endpoint surrogati, le informazioni basate sull’esperienza del paziente e i dati osservazionali derivati dall’uso clinico di routine, delegando molte valutazioni e definizioni in materia al Capo del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti (Secretary of Health and Human Services).
 
In realtà – fanno notare gli Autori – la maggior parte di questi elementi sono già utilizzati dall’FDA: circa la metà dei nuovi farmaci sono approvati oggi sulla base di biomarcatori e di altre misure surrogate, utilizzati anche di recente per l’approvazione di trattamenti per la distrofia muscolare, la tubercolosi e il cancro al seno metastatico.
 
Tuttavia – avvertono ancora Kesselheim e Avorn – queste nuove disposizioni, pur non modificando formalmente la necessità per i produttori di fornire all’FDA evidenze sulla sicurezza e l'efficacia di farmaci e dispositivi medici ad alto rischio, potrebbero indurre l’Agenzia statunitense a privilegiare la celerità alla completezza e al rigore dei dati scientifici nell'approvazione di nuovi prodotti e di nuove indicazioni.
 
Standard inferiori avvantaggerebbero le aziende che sono abili ad aggirare il sistema per raggiungere il successo attraverso studi più brevi e meno costosi, basati su biomarcatori poco convalidati, a scapito di quei produttori che si impegnano in trial più lunghi, più estesi e più costosi. L’approvazione rapida di un farmaco relativamente inefficace potrebbe infatti disincentivare lo sviluppo di terapie davvero innovative ed efficaci.
 
La questione dibattuta negli USA è di grande interesse perché richiama l’attenzione sulla necessità di non derogare agli elevati standard regolatori che hanno finora garantito la commercializzazione di farmaci di qualità e dal profilo beneficio/rischio positivo per i pazienti oltre ad avere consentito la crescita di un’industria del farmaco solida e credibile.
 
I percorsi di autorizzazione accelerati e l’inclusione di nuove prospettive e tipologie di dati all’interno del processo regolatorio, così come il potenziamento e la valorizzazione della sorveglianza post-marketing, non devono infatti mai inficiare la serietà e il rigore delle valutazioni tecniche e scientifiche che restano le principali prove su cui fondare le decisioni in merito all’approvazione di un nuovo farmaco.
 
Mario Melazzini
Direttore Generale Aifa
 
Fonte: editoriali Aifa

19 gennaio 2017
© Riproduzione riservata

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