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Sindrome da fatica cronica. Lo studio dell’Agenas per migliorare la diagnosi e la cura 


Si stima che la Sindrome da affaticamento cronico colpisca 200-300 mila persone in Italia, soprattutto donne. Il documento rientra nel progetto strategico del Ministero della Salute sulla Medicina di genere. Tirelli (CRO Aviano): “Speriamo ora di potere rispondere alle richieste dei malati e che la patologia venga riconosciuta da tutti i medici”. LO STUDIO

14 MAR - La Medicina di genere in Italia ha fatto un nuovo passo avanti. Sarà infatti presentato il prossimo 25 marzo, in un convegno promosso al ministero della Salute (vedi il programma), il documento sulle più recenti e validate acquisizioni scientifiche sulla CFS (Sindrome da Fatica Cronica) elaborato da un gruppo di lavoro multidisciplinare coordinato dall’Age.na.s. (Agenzia Nazione per i Servizi Sanitari Regionali) nell’ambito del progetto strategico del Ministero della Salute sulla Medicina di genere. Che, come spiega il direttore dell’Agenas, Fulvio Moirano, nella presentazione del documento, rappresenta uno “strumento strategico per la sanità pubblica”.

Il testo è composto da poco più di 200 pagine e mira a facilitare la diagnosi clinica. “Si vuole così colmare una lacuna importante dell’assenza delle istituzioni lamentata da molti pazienti, ed essere un punto di riferimento per medici, malati e familiari”, spiega Umberto Tirelli Direttore del Dipartimento di Oncologia Medica, Primario della Divisione di Oncologia Medica dell’Istituto Nazionale Tumori di Aviano (Pordenone), che ha fatto parte del gruppo di lavoro.

Il lavoro si concentra in particolare sulle donne, soggetti particolarmente colpiti da questa patologia ancora molto sottodiagnostica. “Le donne – si legge infatti nel documento - sono quelle che si rivolgono di più al medico curante per lamentare il sintomo fatica (25%) rispetto agli uomini (20%), in un rapporto di 1.5:1”. Le ragioni sono di natura socio-culturale “perché la donna è impegnata su due fronti quello familiare e sociale con un maggior impegno lavorativo giornaliero”. Ma vi sono anche ragioni fisiologiche, “per esempio la tendenza delle donne ad andare incontro a infezioni”.

Nel documento si espone lo stato dell’arte delle conoscenze in materia di CFS sulla base di un autorevole e ampia ricerca che, dopo un’introduzione e una chiarificazione della metodologia utilizzata, affronta in successivi capitoli la definizione di caso e l’inquadramento (con anche le diagnosi differenziali, e un’indagine sui fattori socio-culturali e quelli epidemiologici in Italia), i fattori predisponenti e i meccanismi fisiopatologici (con analisi degli aspetti genetici, dei fattori immunologici, delle disfunzioni del sistema neuroendocrino e dei disturbi cognitivi) e le forme secondarie e il trattamento (con i rapporti con la post-esposizione a tossici ambientali e/o alimentari, la sindrome da fatica cronica post—infettiva, la fatica correlata ai tumori, le eventuali problematiche psichiatriche, le terapie).  

Alla sua stesura hanno partecipato, oltre a Tirelli, altri dei maggiori esperti italiani in materia, tra cui Eligio Pizzigallo (Direttore Clinica Malattie Infettive G. D’Annunzio, Università degli Studi di Chieti), Laura Bazzichi (U.O. di Reumatologia dell’Università degli Studi di Pisa), Lorenzo Lorusso (U.O. di Neurologia, Azienda Ospedaliera M. Mellini di Chiari–Brescia), Enrica Capelli (Dipartimento di Genetica e Microbiologia dell’Università di Pavia), Raffaella Michieli (Responsabile Area Salute della Donna della Società Italiana di Medicina Generale), Giada Da Ros, rappresentante della CFS Associazione Italiana di Aviano Pordenone Onlus www.stanchezzacronica.it) e Roberta Ardino dell’ Associazione Malati di CFS Onlus, www.associazionecfs.it).

“La CFS lascia spesso per molti anni una situazione così grave dal punto di vista fisico che impedisce a tutti coloro che ne sono affetti di continuare a lavorare o a studiare”, ha affermato Tirelli. Secondo una ricerca condotta dall’Agenas di prevalenza dal 2001 al 2010 attraverso i codici della scheda di dimissione ospedaliera (SDO) delle varie Regioni e riportata nel documento, i ricoveri con indicazione “sindrome da affaticamento cronico” sono stati in 10 anni 644, con una prevalenza maggiore nelle regioni meridionali e precisamente la Basilicata con il 19.25%, la Calabria il 18.17% e il Lazio con il 15.53%. La fascia di età più interessata è stata fra i 45-64 anni con 159 ricoveri, rapporto femmine-maschi di 2:1, di cui 55 in Basilicata che è stata la regione italiana che ha fatto la diagnosi più frequente, seguita dalla Campania con 25 ricoveri e Lazio con 22 ricoveri. L’altra fascia di età più interessata è quella fra i 25-44 anni, con un rapporto fra femmine-maschi di 1:1, e con un totale di 131 ricoveri nel decennio esaminato. Ma i ricoveri sono stati anche 70 nella fascia di età 5-13 anni (39 maschi e 31 femmine) e 52 nella fascia di età 15-24 anni (19 maschi e 33 femmine).

Ma i casi di CFS in Italia sarebbero molto più numerosi. Se già si considerano le Sdo con indicazione “altro malessere e affaticamento”, i ricoveri tra il 2001 e il 2010 salgono a 3.818, di cui 999 nella fascia di età superiore ai 74 anni con una rapporto fra sesso femminile-maschile di 2:1. Inoltre, spiega tirelli, "in base ai diversi studi condotti negli Stati Uniti, sia a San Francisco che a Seattle ed in diverse città americane, si stima che negli Stati Uniti vi siano circa mezzo di persone che hanno una patologia simile alla Sindrome da Stanchezza Cronica, pertanto si può calcolare che in Italia vi siano circa 200-300.000 casi di CFS”.

“Purtroppo – ha proseguito l’esperto - per ora non vi è alcun farmaco in grado di guarire definitivamente la malattia anche se spesso i pazienti possono trarre dei benefici da interventi farmacologici (antivirali, corticosteroidei, immunomodulatori, integratori, ecc.) e da modifiche dello stile di vita, portando anche qualcuno alla guarigione e un discreto altro numero a miglioramenti significativi della sintomatologia”.

La speranza, per Tirelli, “è di aver tracciato attraverso questo progetto un nuovo percorso per affrontare con strumenti più adeguati le richieste dei malati che si trovano spesso in condizioni di grave, e fin’ora spesso misconosciuta, invalidità, e soprattutto – conclude il Prof. Tirelli – che la patologia venga riconosciuta da tutti i medici, i cui rappresentanti parteciperanno alla conferenza, con gli ovvi vantaggi per i pazienti che tra l’altro saranno presenti con le loro associazioni”.

14 marzo 2014
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