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Da Vinci: un robot chirurgico geniale e cost-effective. Ecco come funziona

di Maria Rita Montebelli

La chirurgia robotica al centro di un convegno promosso dall’Osservatorio Sanità e Salute, presieduto dal Senatore Cesare Cursi. L’Italia è seconda in Europa e quarta nel mondo per diffusione della metodica. Ma restano da risolvere i nodi della disomogeneità nella diffusione territoriale e dei rimborsi difformi da una regione all’altra. E intanto si guarda alle evoluzioni future e si studiano soluzioni anti-crisi.

15 FEB - A Chicago, in uno dei centri più avanzati del settore, con la chirurgia robotica si fanno addirittura i trapianti di rene, passando dall’ombelico. Merito del genio visionario del prof. Pier Cristoforo Giulianotti, uno dei nostri cervelli in fuga, pronto però a struggersi di malinconia per la nostra bella Italia, anche solo a vedere dall’alto i tetti di Roma accarezzati dall’alba.
 
Pioniere della chirurgia robotica in Italia, utilizza il robot da Vinci da quindici anni, sondandone tutte le possibilità, anche le più estreme. “Utilizzando il virtuale – afferma Giulianotti, professore di Chirurgia presso la Universityof Illinois di Chicago – siamo in grado di capire meglio il ‘reale’. Chirurgia robotica è un termine improprio per molti versi; quello che si realizza con il da Vinci è una simbiosi con una macchina intelligente, della quale l’uomo ha l’assoluto controllo. La nostra è una vera e propria alleanza con l’intelligenza artificiale”.
 
Che ovviamente non ha espresso ancora tutte le sue potenzialità. “Dobbiamo imparare a pensare in maniera diversa – prosegue Giulianotti -  per molti la mancanza di feedback tattile, tipica della chirurgia robotica (ma anche laparoscopica) è un limite. Non è così. In futuro assisteremo all’arrivo di una nuova generazione di sensi. Le cellule tumorali le possiamo già vedere distintamente con la tecnica della ICG fluorescence (l’indocianina, attivata con il laser, emette un colore verde ‘fluo’, che consente di visualizzare con precisione i tessuti tumorali, sui quali il robot-chirurgo va ad intervenire); ma questo è solo il primo passo. Stiamo lavorando alla fusion imaging, cioè alla sovrapposizione, durante l’intervento, dell’immagine TAC con quella del campo operatorio; a piccole sonde in grado di analizzare i micro pattern di perfusione, per distinguere anche in questo caso i tessuti sani da quelli tumorali. E nel futuro ci attendono simulazione avanzata, ‘augmented reality’, warning lanciati dal chirurgo robot prima che la mente umana faccia un passo falso, ‘natural orifice surgery’ e ‘tutine chirurgiche’ per il paziente, con incorporati dei sensori per il monitoraggio continuo delle funzioni vitali, come quelle degli astronauti.
 
Un futuro esaltante che ha già messo profonde radici nel presente. Anche in Italia. Sono 64 i robot da Vinci presenti in questo momento nel nostro Paese, anche se distribuiti in maniera non omogenea (35 al Nord, 19 al Centro, appena 10 al Sud e nelle isole); una presenza che ci colloca al quarto posto nel mondo e al secondo posto in Europa, dopo la Francia, ma prima di realtà quali Germania e Gran Bretagna. Anche questo fa dell’Italia un Paese all’avanguardia nell’offerta di salute, che tuttavia, mai come di questi tempi, deve fare i conti con una congiuntura economica non favorevole. “Prepararci ad organizzare il futuro – riflette Giulianotti – significa anche tagliare dei rami secchi e investire laddove ci sia vera innovazione. La chirurgia robotica non è un semplice upgrade della laparoscopia, ma una vera e propria rivoluzione”.
 
“Dobbiamo individuare dei parametri – afferma il prof. Giovanni Scambia, direttore dell’UOC di Ginecologia Oncologia del Policlinico A. Gemelli di Roma -  che ci consentano di selezionare le innovazioni in grado di portare un reale progresso e utilità. E la robotica è una di queste: una metodica integrativa e non alternativa alla laparoscopia, anche in ambito ginecologico, di fondamentale ausilio nell’ambito della mininvasità”.
La chirurgia robotica viene utilizzata prevalentemente in ambito urologico, dove la fa assolutamente da padrone nel campo delle prostatectomie; è infatti una chirurgia nerve sparing che consente di preservare anche dopo l’intervento la continenza e la potenza sessuale, con enormi ripercussioni sulla qualità di vita del paziente.
 
“La prostatectomia robotica – ricorda il professor Francesco Rocco, Direttore UOC Urologia della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano – sta diventando il gold standard. Utilizzare la laparoscopia in questo campo, per chi ha provato la robotica, è ormai come mangiare gli spaghetti con le bacchette cinesi”. La visione tridimensionale della chirurgia robotica dà profondità di campo (al contrario della visione 2D della laparoscopia) e consente di operare come se si osservasse direttamente il campo operatorio, che può essere ingrandito di diverse volte; gli strumenti della robotica inoltre sono molto più maneggevoli e versatili di quelli utilizzati in laparoscopia e consentono di intervenire con grande precisione, riducendo moltissimo la possibilità di complicanze.
 
I detrattori di questa nuova branca della chirurgia, hanno fondamentalmente un solo argomento a disposizione: il costo. Ma la chirurgia robotica è costosa o cost-effective? Se lo stanno chiedendo in tanti. E qualcuno la risposta se la è già data. “Una valutazione di HTA effettuata in Piemonte – spiega il dottor Bernardo Rocco, Clinica Urologica I Università degli Studi di Milano, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico - ha evidenziato che, a fronte di un maggior uso della sala operatoria pari a circa 38 minuti, con la robotica, rispetto alla chirurgia tradizionale (open), si riducono i ricoveri di 1,5 giorni, si abbatte dell’80% la necessità di ricorrere alle trasfusioni e del 27% l’incidenza delle complicanze. Continenza urinaria e potenza sessuale a distanza di un anno dall’intervento sono risultate nettamente a favore della chirurgia robotica. La riduzione del rischio di margini positivi per pazienti pT2, rispetto alla chirurgia open, risultava infine pari al 39%”. Anche l’Irlanda ha promosso a pieni voti la chirurgia robotica, in una valutazione HTA  effettuata nel settembre 2011. “Anche in questo caso – ricorda il dottor Bernardo Rocco - i costi legati al sistema da Vinci, venivano ammortizzati da una serie di voci: dalla riduzione della degenza ospedaliera, all’abbattimento delle complicanze. In conclusione, la chirurgia robotica sta dimostrando una cost/effectiveness adeguata in particolare per la prostatectomia radicale per tumore”.
 
A quanti osservano che mancano studi randomizzati nel campo della chirurgia robotica, il prof. Francesco Montorsi, direttore scientifico del San Raffaele di Milano, dove il da Vinci si impiega da otto anni (attualmente sono in funzione 3 sistemi) ribadisce che oltre la metà delle procedure chirurgiche effettuate nel mondo, in qualsiasi campo, non sono state introdotte a seguito di uno studio clinico randomizzato.
Di chirurgia robotica si parla molto sulla stampa laica; il pubblico è molto attento alle innovazioni in sanità e questa branca della chirurgia si è imposta anche per il passa-parola dei pazienti. Ma il daVinci non è solo un fenomeno mediatico, come ben dimostra la curva in crescita delle pubblicazioni scientifiche indicizzate: ben 450 nel 2013.
 
“Per quanto riguarda la durata delle degenze – prosegue il prof. Montorsi - al San Raffaele, il paziente da sottoporre a prostatectomia robotica viene operato il giorno stesso del ricovero e dimesso il giorno successivo. In più questa chirurgia ‘dolce’ gli consente di tornare al lavoro e alla vita di prima in sole due settimane. Quest’anno saranno almeno 1.000 gli interventi di prostatectomia robotica che effettueremo al San Raffaele”.
 
Nel 2013 sono stati 523.000 gli interventi effettuati con il da Vinci nel mondo, con un trend di crescita del 23% rispetto all’anno precedente. In Italia, sempre lo scorso anno, ne sono stati effettuati 10.000, con un incremento del 15% rispetto al 2012.
Il prossimo obiettivo sarà rendere la chirurgia robotica disponibile per il maggior numero possibile di cittadini, con maggior omogeneità territoriale (in questo momento il 26% delle macchine sono in Lombardia, il 15% in Toscana, l’11% nel Lazio, il 9% nel Veneto), per evitare pellegrinaggi della salute e con soluzioni anti-crisi, quali la condivisione inter-ospedaliera. Un elevato volume di interventi l’anno, contribuirebbe ovviamente ad ammortizzare la spesa del robot, ma resta da risolvere anche il problema della disomogeneità dei rimborsi regionali per il kit monouso: in Lombardia ne viene rimborsato l’80% (3.500 €), mentre in altre regioni, quali in Veneto e in Sicilia, solo 1.500€.
 
Maria Rita Montebelli
                                                                                                                                                                

15 febbraio 2014
© Riproduzione riservata

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