Cancro. Medici in rivolta contro il "caro" farmaci. Le aziende abbassino i prezzi dei salvavita
La denuncia sulle pagine di Blood, in una lettera firmata da 120 specialisti nella cura della leucemia mieloide cronica provenienti da 15 nazioni diverse. "I prezzi di alcune terapie sono immorali". Dicono i medici, che aggiungono: “Non ci interessa se avremo ripercussioni sulla carriera".
01 MAG - Astronomici. Insostenibili. Immorali. Così un gruppo di oltre 100 specialisti nella cura del cancro, provenienti da più di 15 nazioni nei cinque continenti ha definito i costi di alcune terapie contro il cancro, che spesso superano la soglia dei 100 mila dollari l’anno: su 12 nuovi farmaci antitumorali recentemente approvati dalla Food and Drug Administration con indicazione d’uso per diversi tipi di cancro addirittura 11 superano questa soglia. L’allarme, lanciato per la prima volta sulla stampa statunitense, e più nello specifico sulla rivista
Blood, è partito da professionisti che si occupano della leucemia mieloide cronica, una delle più terribili forme di cancro al midollo, ha fatto il giro del mondo ed è condiviso anche da scienziati italiani.
È piuttosto inusuale che così tanti scienziati di un'unica branca di studio si uniscano insieme per chiedere qualcosa. Soprattutto se questo qualcosa è la richiesta alle case farmaceutiche di abbassare i prezzi dei loro farmaci. E soprattutto se tra questi scienziati ci sono anche professionisti molto vicini alle stesse aziende.
Eppure proprio questo è quello che è successo in questi giorni negli Stati Uniti: il motivo della protesta è che per troppi anni i prezzi eccessivi delle terapie contro il cancro sono stati oggetto di dibattito, tanto da portare recentemente anche a proteste di piazza a New York, ma nonostante questo gli appelli della comunità scientifica e dell’opinione pubblica ad abbattere i costi sono sempre stati ignorati dalle case farmaceutiche. Ecco perché oggi questi 120 scienziati hanno deciso di condannare pubblicamente chi fa profitti così ampi sulla salute dei malati: è immorale, tanto quanto lo sarebbe dopo una catastrofe naturale vendere alle popolazioni colpite beni di prima necessità a prezzi altissimi, hanno spiegato. “Costringere le aziende ad abbassare i prezzi è necessario a salvare la vita dei pazienti”, si legge nella lettera. “Anche a costo di ripercussioni sulla carriera”.
Molti dei dottori che hanno firmato il pezzo su Blood, infatti, lavorano a stretto contatto con le case farmaceutiche, nella ricerca e nei trial clinici. L’esempio più lampante quello di
Brian Druker, professore alla Oregon Health & Science University e tra gli ideatori di
Imatinib, molecola “quasi miracolosa” di Novartis usata proprio contro la leucemia mieloide cronica, e tra quelle che secondo i 120 specialisti ha un costo troppo elevato. “Sono a favore di un’industria farmaceutica in buone condizioni di salute, se mi permettete il gioco di parole. Ma i prezzi di questi farmaci sono molto più alti di quanto non basterebbe a mantenerla tale”, ha spiegato.
Oltre al farmaco dell’industria svizzera, molti prodotti di altre case farmaceutiche sono stati chiamate in causa: da quelli di Ariad a quelli di Pfizer, da quelli Bristol-Myers Squibb, a quelli Teva e altri ancora. “Se l’utile netto di un’azienda su un farmaco è di 3 miliardi di dollari, siamo sicuri che alle case farmaceutiche per tirare avanti non ne basterebbero anche solo 2? In altre parole: quand’è che si supera la soglia che divide i profitti essenziali dall’approfittarsi della situazione?”, ha continuato il ricercatore, caustico.
L’idea della pubblicazione di questo articolo è nata da una recente protesta messa in atto dai medici del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York, che lo scorso autunno si sono rifiutati di usare un nuovo farmaco per il cancro al colon per il suo prezzo troppo alto: doppio rispetto ad altri farmaci, pur non avendo benefici maggiori. Grazie a un articolo di denuncia pubblicato sul
New York Times a ottobre questi scienziati hanno infatti ottenuto che la casa farmaceutica produttrice (in quel caso si trattava di Sanofi) dimezzasse il prezzo del medicinale.
Secondo gli autori della lettera, la stessa cosa potrebbe accadere anche con altri farmaci, non solo tra quelli usati contro la leucemia mieloide cronica.
Di idea diversa sono chiaramente le case farmaceutiche, che hanno tentato di difendersi. Ariad Pharmaceuticals, ad esempio, ha dichiarato che per tali molecole va tenuto in considerazione il rapporto costi/benefici, visto che queste hanno un impatto positivo soprattutto sul lungo periodo. Novartis, invece, pur dicendosi aperta alla discussione, ha dichiarato che i prezzi di questi farmaci sono specchio degli alti costi di sviluppo e di produzione, trattandosi di farmaci capaci di trasformare una sentenza di morte in una malattia cronica come il diabete. E che comunque il loro prezzo non è quasi mai pagato completamente dai pazienti.
Eppure, spiegano gli scienziati autori della lettera, nonostante i programmi di assicurazione, solo una minima percentuale del milione e mezzo di pazienti che nel mondo convive con la leucemia mieloide cronica riesce ad usufruire di questi farmaci miracolosi. In molte nazioni in via di sviluppo, ad esempio, i professionisti preferiscono attuare dei rischiosissimi trapianti di midollo osseo piuttosto che prescrivere questi farmaci, perché una procedura
una tantum di questo tipo è meno costosa delle terapie con i medicinali in questione.
Senza contare che seppure i costi diretti del paziente in alcuni casi sono bassi grazie alle assicurazioni, il sistema sanitario in generale paga comunque molto per il loro uso.
In ogni caso è difficile prevedere quale sarà l’effettivo impatto della protesta sui prezzi dei farmaci. Tuttavia, molti dei firmatari già temono per la propria carriera. “Molti miei colleghi non hanno voluto prendere parte alla protesta solo perché avevano paura di perdere finanziamenti per la ricerca dall’industria”, ha spiegato
John M. Goldman, professore emerito all’Imperial College di Londra e coautore della lettera.
E anche
Hagop M. Kantarjian dello MD Anderson Cancer Center di Houston, primo tra gli scienziati che hanno messo in atto la protesta, ha ammesso che quello potrebbe essere un rischio. “Sono sicuro che la mia carriera di ricercatore avrà delle ripercussioni”, ha detto. “Tuttavia era ora di prendere in mano questa situazione: il mondo farmaceutico ha perso ogni moralità. E tutto ciò stava diventando veramente insostenibile”.
Laura Berardi
01 maggio 2013
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