Meningite tubercolare. Ecco il regime farmacologico che può sconfiggere la malattia
Con un trattamento antibiotico intensificato, nel quale i farmaci vengono iniettati endovena a dosi maggiori rispetto allo standard orale, la mortalità quasi dimezzata. Lo studio che lo dimostra è stato condotto da scienziati olandesi in Indonesia, e pubblicato su Lancet Infectious Diseases.
03 NOV - La meningite tubercolare è una delle più gravi forme di infiammazione dovuta al batterio che causa la TBC, il
Mycobacterium tubercolosis. Questa forma della patologia arriva a percentuali di mortalità o di danni neurologici permanenti del 50%. Ma la terribile prognosi della malattia può essere migliorata, grazie a un trattamento antibiotico intensificato: a dirlo uno
studio degli scienziati dell’ospedale universitario Radboud UMC di Nijmegen in Olanda, pubblicato su
Lancet Infectious Diseases.
Come dice il nome stesso, la meningite tubercolare colpisce le meningi, le membrane protettive che coprono cervello e midollo spinale. Per fortuna è una forma piuttosto rara di infezione da batterio della TBC (1-5% dei casi), ma che per via del suo alto tasso di mortalità è causa di un numero significativo di morti. Il trattamento di questa forma è simile a quello della tubercolosi ai polmoni, con antibiotici che cercano di colpire il batterio che la causa. Sebbene altre malattie infettive del cervello siano spesso trattate con dosi più alte di farmaci, per questo tipo di patologia non si era mai testato il risultato dell’uso di dosi aumentate, nonostante ci fosse già prova che alcuni dei farmaci usati contro la TBC avessero una cattiva capacità di penetrazione all’interno del cervello.
Da queste considerazioni prende dunque il via lo studio pubblicato su Lancet. Per testare la terapia, il campione scelto per lo studio è stato di 60 pazienti indonesiani inclusi in un trial randomizzato controllato, che metteva a confronto lo standard di cura di sei mesi con farmaci orali con un trattamento intensificato, formato da una dose maggiore di rifampicin iniettato endovena e da una dose normale o più alta di mozifloxacina, somministrato nelle prime due settimane di infezione. A seguito di questo regime le concentrazioni di antibiotico nel sangue e nel fluido cerebrospinale risultavano più alte, senza che questo però dimostrasse di avere una tossicità maggiore. A sei mesi dall’inizio del trattamento, solo il 35% dei pazienti che avevano avuto il trattamento intensificato erano morte, contro il 65% delle persone nel braccio di controllo dello studio, trattate con la terapia standard. Le differenze non potevano essere spiegate da nessun altro fattore di rischio, come ad esempio la presenza di Hiv, o la gravità della patologia prima dell’inizio della terapia.
“Si tratta del primo studio di questo tipo mai condotto globalmente”, hanno fatto sapere gli autori. “E mette in discussione l’intero modello di cura per questa patologia. I risultati continuano ad arrivare anche dai paesi occidentali che da quando lo studio è stato condotto hanno cominciato a usare lo stesso regime di farmaci”.
03 novembre 2012
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