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Pluralità di scelta tra principi attivi


17 GIU - Da un’indagine condotta da Quotidiano Sanità risulta che l’80% delle Società Scientifiche e delle Associazioni di Pazienti intervistate ritiene che i provvedimenti regionali possono comprimere la libertà di scelta tra una pluralità di principi attivi nella gestione dei nuovi trattamenti. Esplicitare maggiormente che la preferenza di utilizzo del biosimilare nel paziente naive deve essere intesa solo all’interno dello specifico principio attivo può rappresentare un contributo chiarificatore?
Hanno risposto Massimo Scaccabarozzi, Presidente di Farmindustria, Assobiotec e l’Italian Biosimilars Group.


 
“La possibilità di scelta da parte del medico tra differenti principi attivi deve essere subordinata al giudizio di equivalenza terapeutica di competenza dell’Agenzia Italiana del Farmaco – ha sostenuto Massimo Scaccabarozzi – inoltre, l’equivalenza terapeutica deve essere sempre provata da dati scientificamente ineccepibili e non dal fatto che due farmaci fanno parte di una stessa categoria. A maggior ragione nel campo dei biologici l’equivalenza anche all’interno dello stesso principio attivo non c’è perché non provata scientificamente.
 
“Potrebbe sembrare ridondante specificare nel nuovo Position Paper sui biosimilari che le indicazioni ivi contenute riguardano sempre e soltanto il rapporto che intercorre tra un farmaco biosimilare e il prodotto di riferimento – ha sostenuto Assobiotec – eppure il tema non è affatto banale. Diverse delibere regionali sono andate ben oltre la naturale e legittima competizione tra biosimilare e originator, adottando un approccio di classe che porterebbe una serie di conseguenze serie: innanzitutto limitare non solo la scelta clinica del medico, ma anche le opzioni terapeutiche a disposizione dei pazienti; in secondo luogo, rendere di fatto inutile la valutazione di equivalenza terapeutica tra principi attivi diversi che la legge assegna unicamente ad Aifa, come più volte confermato da innumerevoli sentenze sul tema. E, infine, visto che rappresentiamo le aziende di ricerca biotecnologica, il gravissimo effetto di annullare di fatto il valore della copertura brevettuale dei farmaci, scoraggiando così gli investimenti per lo sviluppo di nuovi farmaci. I biosimilari devono rappresentare una risorsa per risparmiare risorse da reinvestire in innovazione e nell’allargamento dell’accesso di un maggior numero di pazienti alle terapie, non uno strumento per ridurre l’accesso dei pazienti stessi ad una pluralità di opzioni terapeutiche. L’equivalenza terapeutica, ammesso che esista e posto il fatto che debba essere dimostrata e non presunta, non è un problema circoscrivibile alle sole gare e gestibile in maniera frammentata ed anarchica”.
 
“Riteniamo sia giunto il momento di chiedere il superamento totale della definizione di “pazienti naïve” non essendo opportuno dal punto di vista scientifico e clinico definire una categoria a sé per questi pazienti, poiché il farmaco biosimilare è prescrivibile dal medico per ogni paziente – ha affermato l’Italian Biosimilars Group – la maggior parte delle sperimentazioni sui farmaci biosimilari sono state fatte testando nei pazienti lo switch e dunque, per assurdo, le cautele potrebbero addirittura essere invertite, suggerendo di usare in prima battuta il biosimilare nei pazienti già esposti all’originatore e poi nei naive. Poter abbandonare la definizione di naive rappresenterebbe un passaggio nodale sia dal punto di vista della comunicazione relativa ai biosimilari che per l’operatività dei clinici: si tratterebbe di un passo pragmatico importante anche in vista del recupero del concetto di continuità terapeutica intesa come trattamento efficace e sicuro nel tempo di una patologia e non solo come scelta continuativa dello stesso farmaco”.

17 giugno 2016
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