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Continuità terapeutica


17 GIU - Prendendo spunto dal Position Paper realizzato da Federsanità Anci nel quale è costante il riferimento alla continuità terapeutica, Quotidiano Sanità ha chiesto se sarebbe utile un riferimento più esplicito anche nel Position Paper di Aifa.
 
Hanno risposto Tonino AcetiCoordinatore nazionale di Cittadinanzattiva-Tdm, Antonella Celano presidente Associazione Persone con Malattie Reumatiche Onlus (Apmar), Francesco De Lorenzo, Presidente della Federazione delle associazioni di volontariato in oncologia (Favo), Antonio Ceriello, Presidente della Fondazione Associazione Medici Diabetologi (Amd), Mauro Galeazzi, Presidente eletto della Società italiana di reumatologia (Sir), Carmine Pinto, Presidente nazionale Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) e Giorgio Sesti, Presidente della Società Italiana di Diabetologi (Sid).
 
“È necessario guardare alla persona che ha diritto di proseguire la terapia iniziata con successo – ha spiegato Tonino Aceti – la persona malata deve essere messa davvero, e non a parole, al centro del sistema. Chi è affetto da una patologia cronica, rara o oncologica, frequentemente assume molti farmaci che implicano tempi ben definiti e scanditi nell’arco della sua giornata con modalità ben precise di somministrazione. Cambiare la terapia, quando la persona ha trovato con fatica un suo equilibrio, è davvero difficile anche emotivamente, è un po’ come ‘ricominciare da capo’. Significa verificare di nuovo come quel nuovo farmaco reagisce sul proprio corpo, valutarne le interazioni con altri farmaci e le eventuali reazioni avverse, capirne l’efficacia e i tempi di azione, nonché l’impatto sulla propria qualità della vita (non è proprio la stessa cosa un farmaco che si può assumere via bocca piuttosto che infusione in ambiente ospedaliero periodica). Molto spesso ha paura di cambiare e quindi c’è un risvolto anche sull’aderenza terapeutica. L’Indagine civica, che nel 2014 abbiamo realizzato proprio sul tema dell’aderenza terapeutica, con un focus sui farmaci biologici e biosimilari – prosegue Aceti – ha messo in luce lo stato d’animo delle persone. Alla domanda ‘Se le venisse proposto di modificare la terapia da farmaco biologico a farmaco biosimilare, quali informazioni vorresti ricevere al riguardo?’ il 64,3% gli intervistati vorrebbe prima di tutto conoscere il motivo, e poi il profilo di sicurezza ed efficacia del farmaco (42%), infine i possibili effetti collaterali (38,9%). Per tutte queste ragioni sarebbe utile che l’Aifa tenesse in debita considerazione il tema continuità terapeutica”.
 
“L’ideale – ha suggerito Antonella Celano – sarebbe una norma che tuteli la libertà prescrittiva del medico, impedendo lo switch automatico e garantendo la continuità terapeutica per i pazienti”.
 
 “Condividiamo in pieno il Position Paper di Federsanità Anci – ha sottolineato Francesco De Lorenzo – edi conseguenza riteniamo che l’Aifa debba necessariamente fare proprio un costante il riferimento alla continuità terapeutica”.
 
“Non c’è la necessità di un ulteriore riferimento esplicito – ha evidenziato Antonio Ceriellola tutela della continuità terapeutica è stata già ampiamente esplicitata”.
 
“La continuità terapeutica è ovviamente importante nella cura dei nostri Pazienti – ha sostenuto Carmine Pinto – ma un anticorpo monoclonale nel corso della ‘storia naturale’ del processo tecnologico di produzione ha già avuto dei biosimilari. Mantenendo ferma la responsabilità prescrittiva del medico e la non sostituibilità automatica di un farmaco, anche al fine di ottimizzare le risorse impiegate, è auspicabile la migliore interazione per l’attivazione di forme di monitoraggio sugli out come delle terapie, in relazione alle condizioni d’uso e alla sorveglianza sulle reazioni avverse.
 
“Un riferimento più esplicito sarebbe sicuramente utile – ha detto Mauro Galeazzi – fermo restando che si tratta di un principio che nessuno, speriamo, metta in discussione. Nella discussione pubblica sfugge talvolta il fatto che la continuità terapeutica è un presidio a tutela di un paziente già efficacemente trattato con una specifica terapia, magari a seguito di un percorso diagnostico-terapeutico tortuoso segnato da difficoltà e insuccessi. Così come sfugge il fatto che non è in discussione la qualità dei farmaci autorizzati da Ema, che siano originatori o biosimilari, quanto il difficile equilibrio che si è venuto a creare tra lo specifico farmaco e il sistema immunologico del singolo paziente. La continuità terapeutica non può diventare un’eccezione da motivare con una tensione continua con l’amministrazione. Come hanno ben evidenziato i colleghi del Collegio dei Reumatologi Italiani (CreI) – ha aggiunto – c’è in atto una burocratizzazione della libertà di scelta io aggiungerei molto pervasiva in ambiente ospedaliero e meno, ma comunque presente, in quello universitari. Tale ingerenza si esplicita attraverso l’imposizione al medico di adempimenti burocratici per esercitare la propria libertà di scelta, nel momento in cui si eccedono i limiti di quanto è ragionevole per un monitoraggio di appropriatezza, si traduce almeno nella sottrazione di tempo all’attività clinica, se non in un vero e proprio condizionamento di fatto delle decisioni terapeutiche”.
 
“La continuità terapeutica – ha sottolineato Giorgio Sesti – è un sacrosanto principio in particolare in persone in cura da molti decenni con farmaci come l’insulina che richiedono un grado di educazione e una compartecipazione alla gestione terapeutica molto marcata. Ribadire questo concetto nel Position Paper di AIFA sarebbe auspicabile”.

17 giugno 2016
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