Lo studio della Rand: "Anche se arrivasse la cura, i più grandi Paesi UE, Italia compresa, potrebbero non riuscire a renderla disponibile in tempi brevi"
03 OTT -
Secondo uno studio effettuato dalla Rand Corporation, il think tank statunitense attivo fin dal dopoguerra, i sistemi sanitari di alcuni paesi europei non dispongono delle risorse e strutture necessarie per trasferire rapidamente un trattamento efficace per l’Alzheimer all’uso clinico diffuso, privando così potenzialmente 1 milione di persone dell’accesso ad una cura innovativa nell’eventualità che tale svolta si verifichi.
I ricercatori hanno esaminato i sistemi sanitari di Francia, Germania, Italia, Spagna, Svezia e Regno Unito ed hanno analizzato le sfide infrastrutturali che dovrebbero affrontare questi paesi a partire dal 2020 in caso di un’impennata improvvisa del numero di pazienti da sottoporre a screening per determinare l’idoneità a un trattamento che potrebbe prevenire o ritardare lo sviluppo dell’Alzheimer.
Lo studio ha rilevato che la criticità principale è la carenza di specialisti che possano eseguire la diagnosi dei pazienti che potrebbero mostrare segni precoci di Alzheimer e confermarne l’idoneità a una terapia finalizzata a prevenire la progressione della malattia in demenza conclamata.
In alcuni Paesi il numero di medici specialisti è limitato, e potrebbe rendersi necessaria un’ulteriore formazione degli operatori sanitari per valutare i pazienti con Alzheimer allo stadio iniziale. Un altro punto dolente è la scarsità di strutture in grado di somministrare il trattamento di infusione ai pazienti.
Secondo le previsioni, il numero di malati di Alzheimer nei Paesi ad alto reddito dovrebbero quasi raddoppiare tra il 2015 e il 2050. Recenti risultati positivi provenienti dagli studi clinici fanno sperare che un trattamento innovativo che blocchi o rallenti la progressione della malattia possa diventare disponibile per l'uso di routine entro pochi anni.
“A fronte dei continui sforzi finalizzati a sviluppare trattamenti per rallentare o bloccare la progressione della demenza nell’Alzheimer, non è stato fatto abbastanza per preparare i sistemi sanitari nazionali a gestire a livello strutturale e organizzativo tale sfida - ha affermato
Jodi Liu, autrice principale dello studio e Ricercatrice di Policy presso Rqne, un'organizzazione di ricerca no-profit con sede negli Stati Uniti -. Anche se non vi è la certezza che una terapia dell'Alzheimer venga approvata a breve, il nostro lavoro suggerisce che i leader della sanita’ nell’Unione Europea dovrebbero iniziare a pensare a come rispondere a tale svolta”.
I ricercatori hanno analizzato il modo in cui lo sviluppo di una nuova terapia potrebbe mettere in crisi l'attuale sistema sanitario nelle sei nazioni. L'analisi si concentra sulla disponibilità di specialisti della demenza, di strumenti diagnostici necessari per identificare le anomalie cerebrali e sull'accesso ai centri di infusione che somministrerebbero il trattamento.
Il rapporto di Rand stima che almeno 1 milione di pazienti con decadimento cognitivo lieve (MCI) in questi sei Paesi potrebbero sviluppare la demenza di Alzheimer a causa delle liste di attesa per la diagnosi e il trattamento nell’arco di due decenni dopo l'approvazione di un’eventuale terapia.
L'analisi di Rand presuppone che una terapia venga approvata per l'uso a partire dal 2020, con l’inizio dello screening previsto per il 2019, anche se i ricercatori sottolineano che la data è stata scelta solo come scenario per il modello, non come una previsione del momento effettivo in cui la terapia dell’Alzheimer potrà essere approvata.
Lo studio stima che, in tale scenario, circa 7,1 milioni di persone con compromissione cognitiva lieve (MCI) avrebbero bisogno di una diagnosi tempestiva da parte di uno specialista e, dopo ulteriori approfondimenti attraverso test sui biomarcatori, lo studio stima che circa 2,3 milioni di persone nei sei Paesi potrebbero essere idonei al trattamento.
L'analisi suggerisce che i sistemi sanitari di alcuni paesi europei non hanno risorse sufficienti per diagnosticare e trattare l'elevato numero di pazienti con malattia di Alzheimer allo stadio iniziale. I tempi di attesa massimi previsti vanno da cinque mesi per il trattamento in Germania ai 19 mesi per la valutazione in Francia. Il primo anno senza tempi di attesa sarebbe il 2030 in Germania, il 2033 in Francia, il 2036 in Svezia, il 2040 in Italia, il 2042 nel Regno Unito e il 2044 in Spagna.
In Germania e Svezia il principale ostacolo infrastrutturale sarebbe la capacità di infusione. Negli altri quattro Paesi, i tempi di attesa dovuti alla carenza di specialisti e alla capacità di infusione ritarderebbero il trattamento di un numero più elevato di pazienti. La disponibilità di specialisti è il principale fattore di limitazione della tempestività di trattamento in Francia, nel Regno Unito e in Spagna.
"Ciascuno dei Paesi che abbiamo studiato è caratterizzato da una serie peculiare di limitazioni del proprio sistema sanitario, dunque affrontare queste problematiche potrebbe diventare molto impegnativo - ha affermato Liu -. Per questo è importante iniziare il dibattito il prima possibile per decidere su come superare questi ostacoli, in modo che ciascuna nazione sia preparata al meglio se dovesse verificarsi una svolta nel trattamento dell’ Alzheimer”.
I ricercatori di Rand suggeriscono che sarà necessaria una combinazione di politiche di rimborso, di regolamentazione e di pianificazione della forza lavoro per affrontare le limitazioni di ciascun sistema sanitario. Inoltre, l'innovazione nella diagnosi e nell'erogazione del trattamento contribuirebbe a garantire che si crei una capacità sufficiente a trattare i pazienti con MCI prima che la patologia evolva in forme più severe.
La ricerca è stata realizzata grazie al contributo incondizionato di Biogen, azienda leader a livello mondiale nel settore delle biotecnologie applicate alle neuroscienze per diverse patologie, tra cui la malattia di Alzheimer.
03 ottobre 2018
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