Sindrome di Down: colpisce un nato ogni 1.200, ma non esistono statistiche certe
20 MAR - Attualmente non esistono statistiche esatte su quante siano le persone con sindrome di Down.
Stando ai dati in Italia 1 bambino ogni 1.200 nati ne è affetto. La stima è di circa 500 nascite all’anno per un totale quindi di 38.000 persone nel nostro Paese.
E secondo l’associazione italiana delle persone Down, a oggi, in Italia, solo il 13% di loro ha un lavoro e un contratto regolare.
Secondo l’Oms l'incidenza stimata della sindrome di Down è compresa tra 1 su 1.000 e 1 su 1.100 nati vivi in tutto il mondo. Ogni anno nascono circa da 3.000 a 5.000 bambini con questo disturbo cromosomico e si ritiene che ci siano circa 250.000 famiglie negli Stati Uniti – unici a rilevare in parte il dato - affette dalla sindrome di Down.
Il 60-80% dei bambini con sindrome di Down ha deficit uditivi. Dal 40 al 45% dei bambini con sindrome di Down hanno cardiopatie congenite.
Anomalie intestinali si verificano anche con una frequenza più alta nei bambini con sindrome di Down.
I bambini con sindrome di Down spesso hanno più problemi agli occhi rispetto agli altri.
Un'altra preoccupazione riguarda gli aspetti nutrizionali. Alcuni bambini con sindrome di Down, in particolare quelli con gravi malattie cardiache spesso non riescono a crescere durante l'infanzia, mentre l'obesità è spesso nota durante l'adolescenza e la prima età adulta.
Queste condizioni possono essere prevenute secondo l’Oms fornendo un'adeguata consulenza nutrizionale e una guida dietetica anticipata.
La disfunzione tiroidea è più comune nei bambini con sindrome di Down che nei bambini normali. Anche i problemi scheletrici sono stati rilevati con maggiore frequenza nei bambini con sindrome di Down. Altri importanti aspetti medici nella sindrome di Down, tra cui problemi immunologici, leucemia, malattia di Alzheimer, disturbi convulsivi, apnea del sonno e disturbi della pelle, possono richiedere l'attenzione di specialisti nei loro rispettivi campi.
Secondo i dati pubblicati dall’Istituto superiore di Sanità, numerose indagini epidemiologiche hanno messo in evidenza che l'incidenza aumenta con l'avanzamento dell'età materna, anche se non si sono mai dimostrate le cause di questa relazione. Tuttavia con un’età materna inferiore a 30 anni la prevalenza è di un caso ogni 1.500 nati, mentre oltre i 45 anni si raggiunge un caso su 38 nati.
L’incidenza della trisomia 21 al concepimento risulta identica in tutte le popolazioni del mondo e rappresenta una costante biologica naturale: dove le tecniche anticoncezionali, la diagnosi prenatale e l’interruzione di gravidanza non sono ancora attuate, nasce circa 1 bambino con sindrome di Down ogni 650 nati vivi, come succedeva anche in Italia fino agli anni ‘70.
La diagnosi prenatale di sindrome di Down è possibile con criterio di assoluta certezza solo con lo studio del cariotipo fetale effettuabile mediante amniocentesi ovvero mediante prelievo di villi coriali, mentre gli altri possibili accertamenti (privi di concreto pericolo per la gestante e per il feto) forniscono unicamente una più o meno accurata stima del rischio. In particolare durante gli ultimi anni sono stati sviluppati test biochimici e ultrasonografici che forniscono una stima individuale del rischio di trisomia 21.
Tutti i centri di screening dovrebbero essere in grado di disporre di un adeguato servizio di counselling pre e post test. Oggi è molto frequente incontrare mamme di bambini con sindrome di Down molto giovani, considerato che le più anziane generano di meno ed eseguono più controlli. Osservando la tabella dell’incidenza per età materna, risulta infatti che se anche tutte le donne più anziane eseguissero la diagnosi prenatale e decidessero di interrompere in caso di diagnosi positiva, più della metà dei bambini con sindrome di Down continuerebbe a nascere dalle mamme più giovani, perché il maggior numero totale di gravidanze si verifica nella fascia di età 24-34 anni.
La valutazione della sopravvivenza ritenuta finora più valida è quella di un lavoro canadese, dove si afferma che la metà delle persone con sindrome di Down può superare i 50 anni di età, e il 13% può superare i 68 anni. Un altro studio svolto negli Stati Uniti e pubblicato su “Lancet” nel 2002 ha aggiunto dati importanti sulle cause di mortalità e l’aspettativa di vita. Trasferendo tali dati nella realtà italiana, è stato calcolato che vivano attualmente in Italia circa 30.000 persone con sindrome di Down, più della metà con una età superiore ai 25 anni, e oltre 3.000 con una età superiore ai 45 anni.
Un altro studio condotto su 1.034 persone con SD decedute dal 1995 al 1998 in Italia, ha rilevato percentuali di sopravvivenza dell’88,3% ad un anno e dell’82,6% a dieci anni, con una speranza di vita alla nascita pari a 41,6 anni. Questo studio sottolinea una osservazione importante: la sopravvivenza risulta maggiore nelle regioni del nord e centrali.
Il gap geografico Nord-Sud nella qualità dell’assistenza medico-sanitaria, nell’accesso alle cure e negli standard abitativi rappresenta un fattore di rischio ancora più elevato per le persone con SD. Anche un precedente studio australiano, che ha documentato un grande aumento della sopravvivenza nel primo anno di vita, passata da meno del 50% (nella coorte 1942-1952) al 91% (nella coorte 1980-1996), rileva una differenza di sopravvivenza tra la popolazione aborigena e quella non aborigena, dove le condizioni di assistenza sociosanitaria sono diverse.
20 marzo 2018
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