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Usca e infermiere di famiglia. In Veneto è polemica

di Endrius Salvalaggio

Perplessità sono state sollevate dai sindacati della medicina di famiglia sulle “misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19” deliberate dalla Regione Veneto

20 LUG - La Regione Veneto ha recentemente pubblicato la delibera n. 782, contenente “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”. Con questo provvedimento si mettono in campo nuove misure di potenziamento e di riorganizzazione della rete assistenziale, fra cui la scelta, che sta facendo discutere i sindacati di Mmg in contrapposizione alla categoria degli infermieri, sul rafforzamento dei servizi infermieristici, con l’introduzione dell’infermiere di famiglia e di comunità.
 
Come in altre regioni, anche in Veneto l’infermiere di famiglia esiste già ed è operativo in quei team con i Mmg che fanno parte delle medicine di gruppo integrate. Con questa delibera, viceversa, per tutti quei medici di Mmg che non sono riusciti a organizzarsi in medicine di gruppo integrate, l’infermiere di famiglia e di comunità dipenderà dal distretto. Sul punto i sindacati Fimmg e Snami hanno sollevato alcune perplessità sostenendo che, così facendo, le funzioni dell’infermiere di famiglia e di comunità così come originariamente concepite verrebbero meno.

Altro punto fortemente criticato della delibera regionale è l’affidamento alle Unità Speciali di Continuità Assistenziale (USCA) dell’attività dell’Assistenza domiciliare integrata (ADI) per i non autosufficienti, cronici e fragili non-covid, ribadendo che l’ADI è una attività specifica che è sempre stata del medico di famiglia.
“Ci si rende conto che questa delibera nasce da obblighi nazionali, ma diciamo sin da subito che le USCA così come sono impostate alle cure dei malati covid e dei non autosufficienti, cronici e fragili non-covid, hanno, ad oggi, bassi numeri di interventi e costano di più delle medicine di gruppo integrate. Inoltre, con questa delibera vengono date alle USCA anche le attività dell’ADI che sono sempre state attività dei medici di famiglia su pazienti che ci hanno scelto e che, invece, d’ora in poi vedranno arrivare medici che non conoscono. La stessa cosa capiterà per l’infermiere di famiglia che dipenderanno dal distretto anziché dalle medicine di gruppo integrate. Tutto questo però, si potrebbe risolvere se la Regione Veneto adottasse la delibera, ferma ancora da settembre, dove porterebbe tutti quei medici di famiglia rimasti fuori dalle medicine di gruppo integrate ad una forma molto simile, dando loro la possibilità di organizzarsi come se appartenessero alle medicine di gruppo integrate”, sottolinea Domenico Crisarà, segretario regionale di Fimmg Veneto.

Della stessa idea anche il sindacato Snami, che ribadisce che le USCA devono concludere la loro attività con la fine dell’emergenza sanitaria, come l’infermiere deve avere un rapporto coordinato con il medico di famiglia.
 
“Le USCA, cosi come sono state pensate dal legislatore, hanno e/o dovrebbero avere una funzione squisitamente emergenziale e servire per coadiuvare il MMG nel gestire i casi covid a domicilio e null’altro. Dovrebbero perciò scomparire con il finire dello stato di emergenza. Per l’infermiere di famiglia, avrei delle riserve: non perché l’infermiere non sia importante nel seguire le patologie del territorio insieme al medico di famiglia, ma perché con questa delibera è stato pensato come elemento autonomo che fa capo al direttore del distretto senza interfacciarsi con noi e senza avere quel rapporto ancillare che ha sempre avuto con il medico di medicina generale” spiega Salvatore Cauchi il segretario regionale Snami Veneto.

Sull’infermiere di famiglia e di comunità, di tutt’altra idea è il coordinamento degli Ordini delle Professioni Infermieristiche del Veneto, il quale ribadisce che gli infermieri non fanno i medici, non vogliono sostituirsi a loro e non dipendono da loro, ma si occupano di assistenza sul territorio.
 
“Gli infermieri non ‘vistano’ i pazienti e non si occupano di diagnosi e terapia, li assistono e semmai li educano dal punto di vista della salute – ribatte Marco Contro, Presidente del Coordinamento degli Ordini delle Professioni Infermieristiche del Veneto – Una recente indagine Censis ha indicato un gradimento e un desiderio di questo tipo di assistenza quasi plebiscitario: circa il 92% dei cittadini hanno chiesto e accolto con estremo favore l’infermiere di famiglia e comunità. Affermare perciò che l’infermiere dovrebbe mantenere un ruolo ‘ancillare’ rispetto al medico, significa non avere cognizione dell’evoluzione della professione infermieristica dell’ultimo quarto di secolo, in cui gli infermieri sono laureati, con master, dottorati di ricerca ed iscritti ad un ordine professionale esattamente come ogni altro professionista intellettuale”.
 
Endrius Salvalaggio

20 luglio 2020
© Riproduzione riservata

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