Se le Regioni non sanno scrivere le proprie leggi. Il caso Calabria
di Ettore Jorio
Le Regioni si preoccupano più di “gestire”, piuttosto che programmare, legiferare e ottimizzare i controlli. Addirittura ne esistono alcune che non riescono a fare una legge degna di questo nome, inciampando in reiterati “annullamenti” della Consulta. Il primato in tal senso spetta alla (solita) Calabria che in oltre quindici anni non riesce a produrre una legge che disciplini la sanità degna di questo nome
28 SET - La qualità delle leggi è il primo obiettivo cui deve aspirare ogni Regione. Ciò in quanto ad esse, fatta eccezione per le materie di competenza esclusiva dello Stato, è affidata la regolazione dei rapporti negli ambiti rimessi alla sua
potestas legislativa da esercitarsi all'insegna dell'interesse pubblico autonomo la cui tutela è affidata loro dalla Costituzione.
Il riferimento è a quelle leggi di dettaglio che condizionano l'esigibilità reale dei diritti, quanto a servizi e prestazioni godibili dalla loro collettività, l'esercizio della democrazia partecipata, la sinergia con gli enti locali ricadenti sul suo territorio e, dal 2012 in poi, l'esito del concorso obbligatorio con lo Stato al conseguimento dell'equilibrio di bilancio.
A ben vedere, un compito gravoso e reso difficile dalle ambiguità interpretative messe in atto dai due enti in gioco (Stato e Regioni) nell'autodefinirsi il confine che separa, rispettivamente, i principi fondamentali dalla definizione delle leggi di dettaglio tanto da generare un contenzioso enorme avanti la Consulta, che contava al 2015 circa 1600 ricorsi (930 promossi dallo Stato e 667 dalle Regioni).
La colpevole assenza di una politica legislativa regionale
Tutto questo pone un problema alquanto complesso - invero aggravato da una legislazione statale sempre di più improntata all'emergenza, in quanto tale difficile da “inseguire” a cura delle Regioni - che è quello determinato da alcune Regioni di non avere una propria politica legislativa, caratterizzata dalla neutralità nell'individuare le migliori metodologie per esercitare al meglio una siffatta funzione.
Un atto doveroso perché le leggi e i regolamenti rappresentano la reale portata politica delle maggioranze che governano le Regioni che stabiliscono, attraverso i voleri dei rispettivi Consigli regionali, gli obiettivi da conseguire soprattutto attraverso i riordini e le riforme estrinsecativi del mandato istituzionale.
In tutto questo clima di incertezza, ove le Regioni si preoccupano più di “gestire” ancorché impropriamente e indirettamente, espropriando il compito della dirigenza, piuttosto che programmare, legiferare e ottimizzare i controlli - ciò in quanto l'amministrazione paga più elettoralmente di una buona legge - ce n'è qualcuna che eccelle e qualcun'altra che non lo fa affatto. Addirittura ne esistono alcune che non riescono a fare una legge degna di questo nome, inciampando in reiterati “annullamenti” della Consulta.
Il primato in tal senso spetta alla (solita) Calabria che in oltre quindici anni non riesce a produrre una legge che disciplini la sanità degna di questo nome. Si comporta con se non avesse una propria politica legislativa e come se avesse destinato a scrivere le leggi personale quantomeno improprio.
La Calabria sempre la peggiore
L'ultima è davvero grossa. E' stata da poco depositata in Consiglio una proposta di legge dal titolo “Integrazione delle aziende ospedaliere della città capoluogo della Regione”.
Il caso. Nel sistema sanitario calabrese, più esattamente nella Città di Catanzaro, sono state a suo tempo insediate due aziende ospedaliere di cui una universitaria denominata AOU Mater Domini. Attese le perfomance salutari non affatto esaltanti, si era pensato di evitare la duplicazione di offerta di assistenza ospedaliera cittadina facendo confluire una azienda nell'altra, privilegiando in tal senso la permanenza di quella universitaria.
Un'azienda ospedaliera, quest'ultima, stremata dalle ultime gestioni manageriali incapaci di chiudere il bilancio in pareggio, producendo addirittura una perdita di esercizio di circa il 50% del finanziamento riservato dal riparto regionale. Insomma per dare un freno ad un disastro annunciato
Persino il linguaggio a-tecnico
Sennonché, nel redigere la proposta legislativa si è ricorso ad un vocabolario inusuale per un giurista. Per soddisfare la pretesa politica di salvaguardia l'azienda universitaria si è fatto riferimento ad una più che generica integrazione, uno strumento del tutto ignoto dall'ordinamento giuridico, peraltro rappresentata al contrario di quanto convenuto ovverosia di integrare l'AO con l'AOU e non, ove mai, viceversa.
Tutto questo senza precisare in alcun modo a quale istituto ricorrere per realizzarla, limitandosi inconcepibilmente a ribattezzarla con la somma lessicale delle aziende ospedaliere coinvolte (“Azienda-Ospedaliera-Universitaria "Mater Domini-Pugliese Ciaccio"“).
Il tutto nell'assurda pretesa di costituire una mega Azienda Universitaria, aggirando (peraltro palesemente e quindi male) le prescrizioni dettate dal d.lgs. 517/99. Non solo. Agendo in barba alla disciplina civilistica e fiscale che regola siffatti eventi, produttiva della corretta successione a titolo derivativo dei rapporti attivi e passivi preesistenti in capo alle aziende ospedaliere, destinate ad estinguersi.
Sarebbero bastate due righe
E dire che il progetto di realizzare una Azienda Ospedaliera Universitaria, che fosse la somma delle due preesistenti, poteva ben essere realizzato con una opzione semplice. Con un provvedimento di poche righe, ma con tanto lavoro contabile-ricognitivo a monte, ricorrendo ad una fusione con incorporazione ove AOU Mater Domini (incorporante) attraesse a sé l'Ao Pugliese-Caccio (incorporata) nella sua assoluta interezza, e dunque al lordo dei rapporti attivi e passivi sino ad oggi intrattenuti da quest'ultima.
In una tale procedura sarebbe stato facile e logico fare valere l'esistenza continuativa della AOU Mater Domini che, in qualità di azienda incorporante, avrebbe mantenuto la sua peculiarità di AOU, a mente delle prescrizioni dettate dal d.lgs. 517/99, quale diretta conseguenza dell'efficacia del provvedimento definitivo garantita dal codice civile, agli art. 2502 e seguenti, nonché riconosciuta dalla relativa disciplina fiscale.
Il tutto senza alcun aggravio sui saldi patrimoniali esistenti e pertanto compatibile con le esigenze commissariali di tutela dei valori del piano di rientro in atto in Calabria.
Ettore Jorio
Università della Calabria
28 settembre 2018
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