Cure primarie. Regioni e Fazio: “La riforma si farà”. Resta la polemica sui tagli: “Ssn a rischio”
di Cesare Fassari
Convegno nazionale a Parma sul futuro della medicina territoriale. Da Nord a Sud situazioni diverse, ma la scelta per potenziare l’extraospedaliera unisce tutti. Regioni preoccupate per i tagli alle risorse. Errani: “Sanità pubblica sempre più povera". Fazio: “Non piacciono neanche a me"
24 OTT - “Non ci interessa sapere o dirci tra noi che siamo bravi, vogliamo metterci a confronto con i migliori nel Mondo”. Queste parole dell’assessore alla Salute dell’Emilia Romagna
Carlo Lusenti, in apertura del convegno promosso dalla Regione sulle prospettive delle cure primarie in Italia, sono la prova forse più lampante del fatto che in Italia non esista una sola sanità. Anche perché la sfida-confronto internazionale tra Ssr emiliano romagnolo e il resto del mondo non è una boutade. I numeri e i confronti premiano la sanità di questa regione riconosciuta tra le migliori in Europa.
E qui, chiacchierando con le quattrocento persone che hanno riempito questa sala alla periferia di Parma venerdì e sabato scorsi, si capisce che, quando si parla di sanità e diritto alla salute ma anche di efficienza e qualità, si fa sul serio. La rivoluzione della medicina territoriale, in questa realtà, è già in moto.
Intanto una
delibera regionale del 2010 che istituisce le Case della salute in tutta la regione (se ne prevedono 102) dando basi istituzionali a un riassetto dei servizi territoriali già in atto da anni. Poi
un protocollo di monitoraggio della loro attuazione, che non si limita a verificare che siano state inaugurate ma punta a sondarne il funzionamento, le difficoltà di radicamento sul territorio, l’integrazione tra le varie professionalità che vi operano, la loro effettiva utilità. Ma, sopra ogni altra cosa, quello che dà la sensazione che si fa sul serio è che, qui, ci credono.
Il sogno di quella armoniosa articolazione in rete della sanità, dall’ospedale all’assistenza domiciliare integrata,
che Elio Guzzanti, accolto da una standing ovation spontanea dopo essere riuscito a inchiodare tutti alle sedie per 60 minuti di storia della sanità italiana alla veneranda età di 91 anni, almeno, qui, in Emilia Romagna, si sta avverando.
E per il resto del Paese? Il bello di questi emiliani-romagnoli è che ci credono anche per gli altri. Il convegno l’hanno voluto fare “nazionale”, con tanto di coordinamento del programma con il ministero della Salute, come ha ricordato lo stesso ministro
Ferruccio Fazio che, al di là, del colore politico della sua maggioranza, sembrava molto a suo agio tra i “compagni” emiliani. Capeggiati per l’occasione dal presidente
Vasco Errani che, con palese ironia, ha lanciato una stoccatina a Fazio: “Caro ministro, visto che siamo d’accordo su tutto, allora possiamo provare a convincere il Governo!”.
In realtà l’accordo sui progetti e sulle strategie, che ad ascoltare Fazio ed Errani sembra assimilare Regioni e ministero della Salute in un’unica visione strategica, cade sui numeri delle manovre estive: meno 7.950 milioni di euro per il fondo sanitario e meno 1.000 milioni per l’edilizia sanitaria.
Un salasso dal quale il Ssn potrebbe uscirne ridimensionato e impoverizzato (ricordano Errani ma anche le altre Regioni presenti al convegno) e che mette in imbarazzo lo stesso Fazio che critica il nuovo ticket di 10 euro sulla specialistica "non serve a niente ed è iniquo" e i tagli all'edilizia sanitaria e alla non autosufficienza per i quali, promette, verificherà la possibilità di riconsiderarli anche attraverso tutti i possibili “tecnicismi parlamentari”.
Tornando al merito del convegno, per il ministro la via della rivoluzione territoriale ormai è tracciata. La road map è quella della riforma dell’art. 8 del 502, che ha già avuto il sì dei sindacati e che ora attende il vaglio regionale per diventare un ddl autonomo da approvare entro la legislatura.
Ma forse, lascia capire senza dirlo apertamente Lusenti, il ddl non è detto che serva, perché la linea istituzionale sulla materia prevede ormai la politica degli accordi Stato-Regioni e quindi…
Ma insomma, al di là di queste, ipotesti da manuale istituzionale ai tempi del federalismo, dobbiamo riconoscere che, forse, stavolta ci siamo davvero.
E questa ventata di ottimismo viene anche ascoltando le altre regioni. Dal ticket meridionale siculo-lucano, al quadrilatero nordista tosco-emliano e friulano-veneto.
Tutti gli assessori alla sanità di queste regioni –
Luca Coletto, Veneto;
Carlo Lusenti, Emilia Romagna;
Attilio Martorano, Basilicata;
Massimo Russo, Sicilia;
Daniela Scaramuccia, Toscana e, in rappresentanza del friulano
Kosic il direttore generale dell’Asl 5 Bassa Friulana
Paolo Bordon - si sono infatti confrontati nella tavola rotonda di venerdì mattina con una sola voce, pur evidenziando il diverso livello di maturazione del loro sistema sanitario, ma convenendo sulla improrogabilità di una riforma della medicina territoriale in grado di cambiare la cultura e l’approccio alle cure, avvicinandosi al paziente, garantendo l’emergenza extra ospedaliera e, soprattutto, dando finalmente la certezza ai cittadini che non c’è più solo l’ospedale.
Si è parlato molto di cultura, perché, lo hanno detto tutti, il ritardo trentennale nell’attuazione di una rete di medicina territoriale nel nostro paese va ricercato in primis nello sfasamento tra la visione del legislatore settantottino ispirata ad un’armonica convivenza tra hospital care e primary health care, e la percezione nostrana (non solo dei cittadini ma anche delle istituzioni locali e degli stessi operatori) assolutamente ospedalocentrica.
Oggi le cose stanno finalmente cambiando anche perché l’approccio è quello giusto. Non si parla più solo di chiudere letti e ospedali. Sul piatto delle chiusure compaiono come contropartita le nuove chance assistenziali dell’home care, della specialistica integrata, di una medicina di famiglia sempre personalizzata ma aperta tutto il giorno e di un’emergenza medica efficace e vicina senza le code dei pronto soccorsi ospedalieri.
Come prevedibile questa visione è già trasformata in atti di governo al nord, l’Emilia Romagna con la legge sulle case della salute del 2010, il Veneto con le H24 deliberate proprio la settimana scorsa, la Toscana che ha già aperto 20 case della salute e il Friuli Venezia Giulia che ci lavora già da metà degli anni ’90.
Ma, e questa è forse la novità più importante, il sud non dorme. La Sicilia sta facendo la sua rivoluzione sanitaria e dalle macerie virtuose dell’opera di scardinamento delle “logiche feudali” - come le ha definite Massimo Russo, l’ex magistrato che sta rivoltando la sanità siciliana come un calzino - verrà fuori un modello diverso, dove le cure primarie saranno un asse stabile di riferimento e non più una cenerentola dimenticata tra baronati universitari pubblici e privati.
In Basilicata , l’assessore Martorano lotta invece contro quella cultura dell’ospedale sotto casa che sembra ancora dura a morire in una regione che conta 17 ospedali su una popolazione totale di meno di 600 mila abitanti. Ma anche lì, forse in modo decisamente meno traumatico che in Sicilia (“dove applicare le regole – ha detto sempre il siciliano Russo – vuol dire fare la rivoluzione”) le cose stanno cambiando in favore di una nuova consapevolezza sul fatto che tanti piccoli ospedali isolati e senza una diramazione territoriale efficiente non servono a niente.
Ma c’è anche un’altra ragione forte che lascia pensare che stavolta potrebbe essere quella buona: la crisi mondiale che sta portando a politiche restrittive della spesa pubblica per riposizionare il nostro deficit nazionale in proporzioni accettabili.
In questo contesto la scelta extraospedaliera ripropone tutta la sua attualità anche come opzione economica e più appropriata a rispondere ai bisogni di una popolazione sempre più vecchia e malata cronica.
Detto questo, la preoccupazione della crisi ha serpeggiata comunque nella due giorni di Parma, anche perché in molti temono che la sanità possa essere toccata da operazioni di ridimensionamento e razionalizzazione. Ma qui il coro è stato unanime: la sanità non può essere governata da economicismi o ragionierismi (lo hanno detto sia Errani che Fazio). E non solo perché si tratta di diritti fondamentali e sanciti dalla nostra Costituzione ma anche perché la sanità è un formidabile volano di potenziale sviluppo per tutto il nostro sistema economico. Soprattutto se si guarda alla tecnologia e all’innovazione ma anche all’ammodernamento delle reti e delle strutture. Non cogliere questa realtà e restare vittime di visioni ancorate alla sanità come mero fattore di spesa, rappresenterebbe un grave passo falso per il sistema paese. Una passo falso che, almeno nella due giorni di Parma, sembrano tutti voler evitare. Tremonti permettendo.
Cesare Fassari
24 ottobre 2011
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