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Il Lazio e i Policlinici universitari. Ecco cosa stiamo facendo alla Sapienza e negli altri atenei

di Giovanni Bissoni

In questa fase, realisticamente, l’obiettivo possibile dei Protocolli del Lazio  è quello di ricondurre i rapporti fra Università e SSR nell’ambito del D.L. 517/99, principale norma nazionale di riferimento e superare, o quanto meno attenuare, la fase ancora caratterizzante alcune realtà, in primis l’Umberto I, di “separati in casa”. Una situazione che né l’Università né la sanità regionale possono più permettersi per il bene dei pazienti, degli studenti, degli operatori e dei conti pubblici

27 OTT - Gentile Direttore,
Quotidiano Sanità di  venerdì 7 ottobre ha pubblicato una lettera del Dott. Antonellis,  critica su vari aspetti della sanità del Lazio, lettera a cui non intendo replicare, salvo un punto che mi chiama direttamente in causa: il Protocollo con l’Università La Sapienza.
 
I rapporti tra Università e Servizio Sanitario nella Regione Lazio hanno rappresentato un peculiarità rispetto al resto del Paese: l’Umberto I Policlinico a gestione diretta per lungo tempo; Tor Vergata gestito da una Fondazione; corso di laurea di Latina senza una “canonica” Azienda ospedaliera di riferimento.
 
Inoltre il modo in cui si sono sviluppati alcuni corsi di laurea, vede tutt’ora una massiccia presenza di Direzioni universitarie in strutture sanitarie, pubbliche e private, esterne agli Ospedali di riferimento che a loro volta, spesso, sono sprovvisti di specialità indispensabili al corso di laurea. Emblematico il caso di Ostetricia specialità assente sia al Sant’Andrea che a Tor Vergata, che si stanno recuperando.
 
Il Protocollo con la Sapienza disciplina le situazioni dell’Umberto I, Sant’Andrea, Latina.
È in fase di conclusione il Protocollo con l’Università di Tor Vergata prevedendo, altresì, la nascita di una Fondazione pubblica e la procedura per il riconoscimento di IRCCS.
 
Sono consapevole delle difficoltà più generali dei rapporti tra Università e SSN, dell’insoddisfazione più volte manifestata dai medici ospedalieri e dalle loro rappresentanze sindacali a partire dall’ANAAO, della necessità di rafforzare i percorsi formativi, quanto di rivedere i parametri di dimensionamento delle strutture afferenti all’Università, basti pensare all’antiquato parametro dei tre posti letto per studente iscritto alla Facoltà di Medicina. Questioni che necessiterebbero di una riflessione nazionale.
 
In questa fase, realisticamente, l’obiettivo possibile dei Protocolli del Lazio  è quello di ricondurre i rapporti fra Università e SSR nell’ambito del D.L. 517/99, principale norma nazionale di riferimento e superare, o quanto meno attenuare, la fase ancora caratterizzante alcune realtà, in primis l’Umberto I, di “separati in casa”.
 
Una situazione che né l’Università né la sanità regionale possono più permettersi per il bene dei pazienti, degli studenti, degli operatori e dei conti pubblici.
 
Il Dott. Antonellis, nell’ambito di una critica più generale al Protocollo fra la Regione Lazio e l’Università,  lamenta in particolare la mancata previsione di “Atti attuativi” nelle singole Aziende Ospedaliero-Universitarie (AOU) e richiama a confronto altre esperienze: Toscana e Emilia Romagna.
 
In realtà il Protocollo prevede che i contenuti dell’Atto attuativo, invocati dal Dott. Antonellis, siano ricompresi, come previsto dall’art. 3 del D.L. 517/99, nell’Atto aziendale per evitare due documenti dai contenuti sovrapposti.
 
È L’Atto aziendale, che comprende la definizione delle Unità Operative Complesse (UOC) essenziali alle funzioni di ricerca e didattica e, come tali a direzione universitaria e, per differenza, quali UOC siano da porre a concorso.
 
Non conosco ancora l’Atto aziendale del S. Andrea ma il Commissario, Dott. Caroli, ha anticipato che le UOC clinico-assistenziali ammontano a 30 e di queste 28 sono ritenute essenziali per l’Università. Poche o molte, Regione e Ufficio Commissariale lo valuteranno in sede di approvazione.
 
Per il Dott. Antonellis, troppe UOC universitarie, e chiama a confronto il Policlinico di Modena dove le cose sarebbero regolate in modo diverso e più rispettose di una selezione meritocratica aperta agli ospedalieri.
 
Nell’AOU di Modena le UOC dichiarate essenziali all’esercizio delle funzioni universitarie e, quindi di competenza dell’Università, in realtà sono 29.
 
Si potrebbe osservare che 29 su 44 (numero totale delle UOC di Modena) costituiscano una scelta profondamente diversa da 28 su 30. Sarebbe comunque un’osservazione non pertinente in quanto il concetto di “essenziale” è riferito alle specialità indispensabili alle attività di ricerca e didattica, eventualmente aumentate in rapporto agli studenti iscritti (S. Andrea ne ha più di Modena), e non riferito alla dimensione complessiva dell’Ospedale.  
 
Giovanni Bissoni
Sub Commissario per l’attuazione del Piano di rientro della Regione Lazio

27 ottobre 2016
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