Un anno senza Opg. I punti chiave per far funzionare la riforma
di Pietro Pellegrini (Ausl Parma)
Superata la prima fase della dimissione dei pazienti dall’Opg di Reggio Emilia, e il processo va completato portando alla chiusura tutti gli OPG italiani dimettendo i pazienti ancora ricoverati (poco più di un centinaio), si apre la seconda fase che è quella dell’ordinario funzionamento del nuovo sistema.
31 MAR - A distanza di un anno dalla chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG), l’esperienza svolta (mi riferisco in particolare a quella dell’Emilia Romagna) indica che la legge 81/2014 può funzionare. Superata la prima fase della dimissione dei pazienti dall’OPG di Reggio Emilia, e il processo va completato portando alla chiusura tutti gli OPG italiani dimettendo i pazienti ancora ricoverati (poco più di un centinaio), si apre la seconda fase che è quella dell’ordinario funzionamento del nuovo sistema. Al tal fine, in questo contributo provo a delineare alcuni punti chiave, a mio avviso, ineludibili onde evitare che la riforma fallisca o si impantani tra inefficienze, rigidità difensive e incomprensioni.
a) Premesse per l’applicazione della legge
Tutti i soggetti devono prendere atto che l’OPG è chiuso e con esso le prassi che lo sostenevano. A tal fine sarebbe quanto mai utile che il legislatore rendesse coerente la normativa. In attesa occorre comprendere e condividere che la legge può essere applicata solo tramite un nuovo e più avanzato punto d’incontro tra giustizia e psichiatria superando ogni visione difensiva e burocratica (ad es. il regolamento penitenziario sono inapplicabili nel nuovo contesto).
L’OPG non è stato sostituito dalla REMS ma dall’insieme dei servizi sociali e sanitari della comunità dei quali fa parte anche il Dipartimento di Salute Mentale e in esso la REMS. A differenza dell’OPG (e del carcere) dove c’è sempre posto, nelle REMS i posti sono limitati e quindi massima deve essere l’appropriatezza nel loro utilizzo. Di questo devono farsi carico tutti gli attori, che devono applicare le misure di sicurezza detentive come “residuali” dopo avere esperito tutti i tentativi per reperire soluzioni alternative.
In un anno circa un centinaio di misure di sicurezza detentive non sono state eseguite per carenza di posti in REMS. La misura di sicurezza detentiva era davvero necessaria? Perché non c’è posto? Tutti i posti in REMS sono utilizzati in modo appropriato?
Sembra che molti ospiti potrebbero essere dimessi… ma manca un’udienza, un progetto, un posto ecc..
Quindi bisogna ragionare e operare in modo nuovo e dare piena funzionalità al sistema prima di verificare l’effettiva necessità di nuovi posti (e quindi di ulteriori REMS). Tutte le regioni devono dotarsi dei loro posti REMS e la territorialità (regionalizzazione), come prevede la legge 9/2012, diventi il punto chiave della riforma. Al contempo, in quanto antiterapeutico, va introdotto il divieto di invio d’ufficio fuori regione senza accordo fra le stesse e i rispettivi dipartimenti di salute mentale.
Ancora occorre dare sostegno alla rete dei servizi (finanziamenti, personale) con individuazione di percorsi (ad esempio con Budget di salute) e di posti dedicati/da dedicare ai percorsi alternativi alla REMS o post-REMS. E’ necessario attivare i contesti sociali di riferimento (esempio Enti locali, associazioni ecc.) rendendo effettiva la residualità della misura di sicurezza detentiva.
b) Accessi.
Una riforma del sistema degli accessi è fondamentale. Accessi tramite l’invio di fax dove si evidenzia il tipo di misura ma nulla della patologia psichiatrica e del programma di cura non solo sa di carcere ma è molto pericoloso e quindi inaccettabile. A mio parere un Cruscotto regionale (che regoli accessi, attivi i DSM, veda le soluzioni più opportune, sostenga e monitori le dimissioni) può un efficace punto di riferimento per la magistratura di cognizione, sorveglianza, DAP ecc. Non ha senso collocare persone in REMS senza una valutazione psichiatrica/perizia psichiatrica che formuli una diagnosi di disturbo mentale e un appropriato programma di cura. Non solo ma l’applicazione della legge 81/2014 richiede che nel dispositivo si dia evidenza dell’avvenuta valutazione di ogni possibilità alternativa (compreso l’obbligo di sentire il direttore del DSM competente per territorio).
Il ruolo del perito psichiatra non può limitarsi alla definizione di imputabilità, pericolosità e a delineare le misure di sicurezza (che poi verranno decise dal giudice) ma deve prevedere anche il raccordo con i servizi psichiatrici territoriali competenti e l’individuazione di precise soluzioni da indicare alla magistratura. In questo hanno un ruolo fondamentale anche i professionisti dei DSM in particolare per le persone già in cura.
Quindi la persona deve essere ammessa nel percorso ritenuto più appropriato per la cura e la sicurezza senza alcun automatismo (quale il ricovero in REMS) ma tenendo conto della complessità organizzativa e delle possibili soluzioni alternative nonché dei livelli di cura oggi presenti in psichiatria.
Per tutti coloro che approdano (e restano) nel circuito sanitario va abolita la pratica dell’immatricolazione che invece potrà essere effettuata quando eventualmente dovessero entrare nel circuito penitenziario.
c) Gestione delle REMS.
Le tipologie di REMS sono molto varie. La lodevole iniziativa di Stopopg di vistarle non solo aumenta i livelli di controllo esterni ma può favorire la definizione di requisiti minimi di funzionamento e di tutela dei diritti (assenza di contenzioni, diritto alla difesa ecc.) da formalizzare nei regolamenti che partendo da punti comuni potranno avere declinazioni particolari in ragione del fatto che ogni REMS è diversa in quanto inclusa in un territorio specifico. Quindi il senso, la qualità, la cultura della REMS deriva anche dall’essere nelle dimensioni spazio-tempo: un territorio e una comunità di riferimento e una storia che prevede un prima e un dopo e fa della transitorietà il core del suo mandato.
In questo spirito, alla magistratura deve essere richiesta la validazione dell’intero progetto terapeutico riabilitativo individualizzato in quanto le norme del regolamento penitenziario applicate in OPG e in continuità nelle REMS (permessi ad horas, licenze ecc.) risultano del tutto inadeguate e rimarcano la centralità della costrizione (il permesso come cessazione temporanea della limitazione) rispetto alla forza evolutiva del progetto di cura dove l’uscita è uno strumento in funzione della crescita e di un obiettivo.
Vanno sostenuti i diritti al lavoro, alla cultura, sport ecc. il protagonismo e la responsabilizzazione dell’utente e pertanto la permeabilità interno-esterno deve essere strutturale e non occasionale: le uscite dalla REMS devono essere regolari e gestite dai sanitari nell’ambito del programma terapeutico riabilitativo e solo comunicate ai magistrati. REMS dove non vi sono uscite sono luoghi agghiaccianti, altamente antiterapeutici e molto rischiosi.
Anche laddove le licenze e le uscite sono presenti, l’attuale sistema dei permessi ad horas (anche a pacchetto) è lento, farraginoso e inefficiente quindi stressante/ansiogeno per i pazienti e operatori. Nelle licenze finali esperimento il paziente resta ancora in carico alla REMS (come era in OPG) mentre per molteplici ragioni (liberare posti nella REMS, responsabilizzare il territorio, evitare un inutile rientro del paziente al termine della licenza nella REMS) va collocato in carico al CSM. Ancora la REMS non è una struttura come il carcere dove collocare una persona in attesa di un udienza. La REMS non può essere una struttura a gestione sanitaria "eterodiretta" dalla magistratura o da altri ma deve essere dotata di vita propria, di un suo progetto complessivo incentrato sulla cura e l'inclusione sociale.
Vi sono problemi della gestione a lungo termine dei pazienti nelle REMS e pertanto occorre sostenere i percorsi alternativi.
Il processo di cambiamento e di inclusione sociale va sostenuto mediante la lotta allo stigma (della malattia mentale, della delinquenza), la lotta alle povertà e la promozione dei diritti (formazione, lavoro, cultura, casa ecc.) e delle garanzie per gli utenti anche attraverso un’adeguata tutela legale e una prassi orientata alla recovery.
d) Situazioni specifiche.
La REMS sembrano molto in difficoltà (oltre che nella fase valutativa in quanto non attrezzate per la diagnosi differenziale) con certe tipologie di pazienti. In particolare con quelli che presentano alti tratti di psicopatia/D. della personalità con uso di sostanze/ Non responders: (una minoranza stimata in circa il 10-15% dei pazienti autori di reato prosciolti) molto difficili da gestire in REMS e per i quali andrebbero strutturati percorsi specifici magari in raccordo con la sanità negli istituti penitenziari (specie quando i problemi di custodia sono decisamente prevalenti su quelli di cura).
Questo richiama la necessità di assicurare un’adeguata assistenza e cura alle persone con disturbi mentali e dipendenze patologiche che restano nei circuito penitenziario per i quali oltre che la prevenzione, sono da realizzare misure alternative ecc. Un tema molto rilevante anche dal punto di vista epidemiologico se si pensa quanto sia elevata la percentuale di detenuti con disturbi mentali. Infine vi è il problema delle persone che reiterano i reati.
e) Una nuova cultura.
Occorre sostenere servizi e promuovere la formazione di operatori sanitari, magistrati ecc. Sul piano tecnico bisogna approfondire alcuni aspetti specifici (accoglienza, valutazioni,interventi psicofarmacologici, psicoterapici, documentazione, metodologie operative ecc.) in modo da creare una cultura tecnico operativa specifica del contesto italiano. Per questo è indispensabile un sistema informativo nazionale che possa dare dati epidemiologici e favorire il lavoro di ricerca. Infine alla politica si chiede di sostenere questo percorso di civiltà e deistituzionalizzazione.
Pietro Pellegrini
Direttore Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale Dipendenze Patologiche
Ausl di Parma
31 marzo 2016
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