L’Anaao rilancia il ruolo del Comune in sanità: “A loro la gestione di Asl e ospedali ‘provinciali’. Alle Regioni l’alta specializzazione. Allo Stato più poteri di verifica e garanzia Lea”
di Carlo Palermo
Una proposta per rafforzare da un lato il rapporto con le “comunità” e dall’altro l’effettiva integrazione ospedale territorio. Consentendo contestualmente lo sviluppo di reti integrate, anche sovra regionali, per l’alta specializzazione. E poi è il momento di immaginare che il Dg sia affiancato da Cda espressione della comunità di riferimento
18 MAR - Caratteristica fondamentale del processo di decentramento sanitario è la sussidiarietà: lo Stato deve intervenire nell’organizzazione solo quando il singolo cittadino, o con un processo successivo di deleghe, il comune, la città metropolitana o la regione, non sono in grado di svolgere quella determinata funzione (Art. 118 della Costituzione). La sussidiarietà implica pertanto lo sviluppo di forme ed ambiti per il governo e la gestione dei servizi vicini ai luoghi della cittadinanza e della formazione dei bisogni. Un reale decentramento dovrebbe quindi portare ad indubbi vantaggi, come la maggiore responsabilizzazione degli erogatori di spesa, che vengono a coincidere con la fonte che finanzia il servizio, e l’utile vicinanza dei cittadini alle istituzioni responsabili della sanità, che dovrebbe favorire i meccanismi di migliore rappresentazione dei bisogni sanitari ed anche di controllo democratico
(Alessandro Petretto et al, 2003).
Servono nuovi ambiti territoriali. In campo sanitario è necessario individuare ambiti territoriali nei quali i problemi siano rilevanti (sotto il profilo dell’incidenza epidemiologica, della complessità clinica, del peso amministrativo, ecc.) e le soluzioni organizzative pertinenti (sotto il profilo dei costi, dei volumi di attività per garantire esiti ed efficacia). Per il governo della domanda sanitaria è necessario di conseguenza sviluppare una logica di ampia collaborazione tra i diversi livelli di gestione sia in senso orizzontale che verticale, dagli ambiti più circoscritti verso quelli più ampi, declinando la sussidiarietà come integrazione tra livelli successivi di governo.
In sintesi a livello locale è utile sviluppare l’asse orizzontale della sussidiarietà privilegiando il coinvolgimento dei cittadini e delle loro aggregazioni
profit e
non-profit (volontariato, terzo settore) nella gestione ed erogazione dei servizi, fuggendo da logiche di mercato e ponendo in ogni caso l’attenzione sulla domanda piuttosto che sull’offerta. Nel contempo è necessario sviluppare l’asse verticale, che renda disponibili ranghi più elevati di governo rispetto a quelli locali per favorire un’appropriata convergenza tra le esigenze della domanda e quelle dell’offerta. Si pensi ai problemi dell’alta specialità in ambito ospedaliero e alla necessità di non duplicare inutilmente, in un contesto di risorse finite, centri che hanno costi rilevanti di gestione e che in ogni caso richiedono lo svolgimento di adeguati volumi prestazionali per garantire qualità e buoni
outcome clinici.
Attualmente il SSN è palesemente sotto-finanziato. L’Italia ha una spesa pubblica per il SSN intorno al 7,2% del PIL (Dati Ocse riferiti al 2012) ed una spesa totale (pubblica + privata) che arriva al 9,2%. La Germania spende nelle due componenti l’11,3% del proprio PIL (ben più rilevante del nostro!), mentre la Francia arriva all’11,6%. La crisi economica che il Paese sta attraversando ha determinato dal 2010 al 2014 tagli al finanziamento del SSN per circa 31 miliardi di €.
Negli ultimi anni alcune Regioni, per gli importanti deficit accumulati sono state costrette a piani di rientro che hanno avuto pesanti conseguenze sull’erogazione dei servizi. Ivan Cavicchi parla di definanziamento per indicare questo fenomeno perché
“il disavanzo prodotto non sarà mai più ripianato ed eventualmente compensato con riduzioni delle coperture sanitarie”.
Con queste conseguenze:
· Taglio dei servizi e delle prestazioni (Livelli assistenziali minimi o “eventuali” ?).
· Riduzione del personale medico e sanitario (- 24.000 addetti nel 2013 rispetto al 2009).
· Taglio dei posti letto (- 71.000 dal 2010 al 2014)
· Riduzione degli acquisti di beni (farmaci, kit per laboratorio, materiale chirurgico, protesi, devices…..).
· Ticket in aumento che portano fuori mercato le prestazioni fornite dal servizio sanitario pubblico in ambito diagnostico e terapeutico e favoriscono l’offerta del privato per le fasce di popolazione economicamente più agiate.
· Mancato rinnovo delle tecnologie, obsolescenza strutturale degli ospedali, abbassamento degli standard di sicurezza.
· Finanza “creativa” (cartolarizzazione,
lease back,
project financing……..).
· Indebitamento sul mercato finanziario (costo aggiuntivo di 300/400 mln di €/anno).
· Ritardo nei pagamenti dei fornitori (> 600 giorni, incidenza sui costi della fornitura).
· Cessione ai privati delle attività (dati del Ministero della Salute e Istat che evidenziano un ruolo crescente dei privati)
Questo fenomeno ha pesanti conseguenze sulle fasce economicamente più deboli della popolazione soprattutto in tempi di crisi economica. La spesa
out of pocket che negli anni aveva raggiunto circa il 23% della spesa sanitaria globale nel nostro paese, dato comunque anomalo in sistemi sanitari su base universalistica, tende a diminuire a causa della rinuncia alle cure che sembra interessare almeno 9 milioni di cittadini. Secondo recenti dati ISTAT la spesa delle famiglie per la salute è calata di circa il 12% nel 2013 rispetto agli anni precedenti.
Dal sottofinanziamento alla centralizzazione regionale. E’ oramai evidente che il sotto-finanziamento del SSN sta lentamente determinando una pericolosa centralizzazione delle politiche sanitarie regionali, finalizzate al “controllo” degli erogatori di spesa in una logica di rigida programmazione (vedi in particolare le recenti proposte della Giunta regionale della Toscana e della Calabria).
In un rapporto di alcuni anni fa della Fondazione Smith Kline, dedicato al governo dei sistemi sanitari in tempi di
devolution, è scritto:
“ La comunità in quanto mix tra enti locali e aggregazioni spontanee che interpretano le soggettività del territorio, deve svolgere anche un ruolo nelle scelte di allocazione delle risorse: i criteri di appropriatezza e le indicazioni della medicina basata sull’evidenza sono largamente insufficienti per determinare scelte con forte rilievo sulla qualità di vita del cittadino ed elevato impatto economico. Il coinvolgimento delle comunità locali permette anche di sfuggire a tentazioni programmatorie che troppo spesso rischiano di fallire in quanto viziate dall’errore di voler imporre un “ordine” dove invece la funzione di guida deve limitarsi a “governare il disordine”, cioè ad aiutare la crescita di chi localmente esprime idealità, volontà e disponibilità di servizio in ambito sanitario”.
In alcuni modelli organizzativi che sono in corso di sviluppo nelle Regioni, è il ruolo stesso delle attuali Aziende sanitarie, in genere con un riferimento territoriale provinciale, che rischia di essere messo in crisi, sospese come sono tra “concentrazione” (Azienda sanitaria unica regionale o di Area Vasta con bacino interprovinciale) e “frammentazione” (esperienza delle Società della Salute in Toscana, attualmente in fase di ripensamento e riproposizione). E’ indubbio che la centralizzazione in ambiti più vasti ed adeguati di alcune funzioni amministrative ( per esempio gestione buste paga, acquisti di beni e servizi, informatizzazione) possono determinare un reale risparmio di scala.
Il trasferimento di altre funzioni (politiche della formazione e del personale per esempio) potrebbe determinare uno svuotamento delle capacità organizzative delle Aziende sanitarie rendendole incapaci di adattarsi alle realtà sanitarie che sono complesse ed in continua evoluzione. Così come non esiste in letteratura alcuna evidenza che l’incremento della dimensione organizzativa comporti benefici funzionali. L’esito in genere è quello di un incremento della complessità gestionale e di una crescita delle barriere fra i servizi e fra i professionisti.Né si possono trascurare le ripercussioni sulla organizzazione del lavoro clinico che rischia di allungare a dismisura, rendendoli fragili e facili alla rotture, i filamenti tra i nodi di una rete clinica ed organizzativa. Le esperienze finora realizzate in Italia ed all’estero non sono positive nemmeno sul piano dei costi.
Le ristrutturazioni, come risulta da una analisi della letteratura, comportano i seguenti rischi: 1) Un abbassamento del funzionamento dei servizi con rischi per i pazienti; 2) Un rallentamento dello sviluppo tecnologico ed organizzativo per circa due anni; 3) Un incremento della distanza relazionale tra staff periferico e direzione generale, con perdita di informalità e di familiarità; 4)
A distanza di due anni non si evidenziano risparmi economici
(Marco Geddes, Saluteinternazionale.info, 2014). Nella Regione Marche i risultati sono tali per cui dopo oltre otto anni dalla unificazione ancora esistono le vecchie articolazioni e vecchie procedure definite a livello di zona, che in realtà replicano le vecchie aziende sanitarie. La macro-azienda della Romagna, che riunisce 4 aziende sanitarie provinciali e senza la complicazione dell’università, è da due anni ancora in itinere senza una stabile strutturazione.
La lontananza dai "territori". Il rischio è che il collocamento del governo e della gestione delle strutture sanitarie in “luoghi” eccessivamente lontani dai territori dove nascono i bisogni dei cittadini e si esercita la professione porti ad un eccesso di pianificazione e ad una burocratizzazione dell’intero sistema, affidando le scelte di fondo di allocazione delle risorse a tecnocrati di nomina regionale e a “poteri forti” autoreferenziali. Senza contare che una eccessiva concentrazione dei servizi sanitari ospedalieri in macro-strutture, come sembra prospettare anche il regolamento sugli standard ospedalieri, aumenta di fatto lo spazio/tempo tra il bisogno e la risposta assistenziale.
Anche la creazione di nuovi soggetti come le Società della Salute (SdS) per governare le politiche del Territorio rischia, come è avvenuto in Toscana, di determinare un passaggio da una programmazione, governo e gestione unica dei servizi sanitari ad un sistema basato sulla concertazione tra soggetti diversi sotto il profilo giuridico (SdS e Az. USL), anche se fortemente integrati negli organismi di governo e nei processi di programmazione. L’introduzione di logiche di gestione diverse potrebbe determinare una rottura trasversale tra Ospedale e Territorio. La frammentazione del ciclo assistenziale potrebbe quindi avere effetti negativi sul “prodotto” salute in termini di qualità e costi.
Perché bisogna ripensare ai Comuni. Forse è utile allora che le Aziende sanitarie con bacino di utenza provinciale diventino strumento delle Autonomie locali. Queste ultime, in particolare i Comuni, essendo le Province in corso di soppressione, dovrebbero assumere un ruolo più incisivo, sia all’interno dei processi di programmazione e pianificazione, sia nel corso dei processi di verifica e rettifica dell’organizzazione dei servizi, assumendosi anche l’onere della responsabilizzazione economica quale naturale conseguenza del processo di sussidiarietà. Quindi le Aziende sanitarie dovrebbero diventare lo strumento degli Enti locali, attraverso il quale governare e gestire i processi economici di produzione e consumo per il soddisfacimento dei bisogni sanitari della popolazione di riferimento, nel rispetto delle risorse assegnate, che in ogni caso devono essere adeguate ai Livelli Essenziali d’Assistenza (LEA) garantiti con trasferimenti verticali nazionali, in una logica di federalismo solidale.
Questo nuovo rapporto istituzionale rafforzerebbe le Aziende sanitarie nello sviluppo delle attività sanitarie di I° livello (medicina di base, attività distrettuale) e II° livello (attività ospedaliere diffuse come quelle garantite dagli ospedali di zona e anche da quelli provinciali) legandole alle esigenze della comunità locale e darebbe maggior garanzia nei processi d’integrazione socio-sanitaria e tra Territorio e Ospedale, riportando ad unicità i processi di programmazione, governo e gestione in ambito sanitario, oltre che offrire una maggiore indipendenza rispetto a “poteri forti” e a tecnocrati autoreferenziali che si muovono nel campo sanitario. Le attività di alta specializzazione (III° Livello) è opportuno che siano governate in un ambito interprovinciale o di Area vasta, mediante una forte ed incisiva programmazione regionale, per far meglio corrispondere domanda e qualità dell’offerta. In ambiti importanti e specialistici della chirurgia e della medicina interventistica il rapporto tra numero di interventi eseguiti e qualità degli esiti è oramai ben documentato. Per alcuni settori (trapianti, malattie rare) bisognerà sviluppare integrazioni inter-regionali.
Funzionali a questa organizzazione sono le reti integrate di servizi che compongono due esigenze tra loro apparentemente contrastanti: la necessità di concentrazione dei servizi per garantire qualità tecnica e contenimento dei costi e la necessità di diffusione dei servizi per facilitare l’accesso. La centralizzazione delle funzioni dovrebbe però avvenire solo per la reale alta specialità (cardiochirurgia, neurochirurgia, trapianti, terapie oncologiche avanzate, malattie rare, traumi maggiori e poco altro). Il modello delle reti integrate prevede che ad una determinata soglia di complessità, si trasferisca la sede dell’assistenza da unità ospedaliere periferiche ad unità centrali di riferimento ad elevata complessità organizzativa
(hub). Le unità periferiche
(spoke) non vengono espropriate sotto il profilo professionale e culturale in quanto partecipano alla gestione globale del paziente garantendone la selezione, l’invio e la ripresa in carico per il
follow-up in cronico. Siamo di fronte quindi ad un’organizzazione complessa, sviluppata orizzontalmente, in cui una pluralità di soggetti autonomi, che offrono una gamma di servizi tra loro integrati, si lega attraverso intensi rapporti di collaborazione, al fine di raggiungere specifici obiettivi di salute. La caratteristica principale che contraddistingue un
network risiede nella sua capacità di mantenere un elevato grado di autonomia a livello di ciascuna struttura aderente.
Le reti integrate. Il concetto di rete integrata ha una rilevante implicazione di politica sanitaria, in quanto nega la competizione fra singole unità operative della rete e ne richiede la loro cooperazione, secondo diversi livelli di complessità dell’intervento loro attribuito. Il controllo democratico e partecipato del sistema, da effettuare attraverso Dipartimenti Interaziendali di Coordinamento Tecnico, favorisce lo sviluppo omogeneo e dinamico della rete, attivando processi di complementarietà fra le strutture, per cui un servizio può svolgere il ruolo di
hub per una determinata patologia e di
spoke per un’altra, garantendo dimensioni e composizione ottimali delle unità operative, dal punto di vista funzionale ed economico.
E’ ovvio che, per evitare di ripercorrere la strada dei Comitati di gestione, si debba assicurare alle Aziende sanitarie la più ampia autonomia gestionale ed organizzativa senza la quale è impossibile perseguire efficienza ed adattamento a realtà assai complesse ed in continua evoluzione. Una risposta concreta a questa problematica è già contenuta in molti documenti congressuali dell’Anaao Assomed. Si propone in sostanza di affiancare un Consiglio di Amministrazione (CdA), espressione della comunità di riferimento, al Direttore Generale (DG).
Un CdA che non deve interferire nella gestione, ma che assume la funzione di promuovere e vigilare affinché la gestione dell’Azienda sanitaria affidata al DG e al suo
board tecnico (Collegio di Direzione con componente elettiva, che diventa un organo dell’Azienda), corrisponda alla programmazione generale (regionale) e locale. In alternativa si potrebbe pensare ad un ruolo più incisivo nei processi di programmazione sanitaria e anche di nomina e verifica del DG da parte dell’attuale Conferenza dei Sindaci.
In ogni caso, per evitare che il diritto alla salute diventi una variabile dipendente dal codice di avviamento postale di ogni cittadino, dovrebbero essere rafforzati i poteri dello Stato in termini di definizione dei LEA e controllo della loro effettiva erogazione, di determinazione dei Livelli Essenziali Organizzativi, di tutela di alcuni “fili verticali” come il contratto nazionale di lavoro e lo stato giuridico dei dipendenti, per assicurare unitarietà ed uguaglianza al sistema.
Carlo Palermo
Vice Segretario Nazionale Vicario Anaao Assomed
18 marzo 2015
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