Toscana. Rossi sugli Oss al posto degli infermieri sbaglia. Ma sul resto come non dargli ragione
di Marcello Bozzi
Il governatore è uomo troppo “navigato” e cresciuto a pane, politica e sanità, tanto da non poter pensare di risolvere i problemi di bilancio della sanità della Regione con gli Operatori Socio Sanitari. Ma come non dargli ragione al quando afferma che “se vogliamo mantenere i servizi, non ci sono alternative alla riorganizzazione e ristrutturazione”
25 FEB - Chissà se anche il gruppo
Alitalia-Ethiad, al fine di riequilibrare i bilanci, deciderà di sostituire i piloti con gli assistenti di volo, o il gruppo
Carnival Crociere deciderà di sostituire i capitani con i mozzi?
A parte l'inevitabile ironia, ma con grande rispetto per il Governatore Rossi, “comandante” di una delle regioni italiane più virtuose, appare interessante raccogliere alcune provocazioni.
Perché solo di provocazioni si può parlare. Il governatore Rossi è uomo troppo “navigato” e cresciuto
a pane, politica e sanità, tanto da non poter pensare di risolvere i problemi di bilancio della sanità della Regione Toscana con gli Operatori Socio Sanitari.
Però con la sua nota lancia molti segnali, a partire da quel “le regioni hanno molto da farsi perdonare”. Infatti non sono certamente mancate le occasioni per consentire alle regioni di ripensare, ognuna per proprio conto, il sistema sanitario regionale; basti pensare agli indirizzi di contenimento, riorganizzazione, ridefinizione degli assetti, etc. etc. definiti dalla 133/2008 (Brunetta) e dalla 135/2012 (Monti), nonché dal Decreto 158/2012 (Balduzzi).
Dai dati riscontrabili nel sistema web è facile prendere atto che le azioni di molte regioni si sono realizzate in maniera diversa, e non sempre nel rispetto delle indicazioni normative (es. la riduzione dei posti letto in troppi casi è avvenuta in maniera “parcellizzata”, senza tenere conto degli indirizzi che prevedevano invece la riduzione delle strutture complesse e l'eliminazione di quei “doppioni e triploni” citati dal Governatore Rossi), con il mantenimento delle situazioni pre-esistenti (che invece necessitavano di cambiamento), con benefici “di bilancio” molto diversi dalle attese.
E come non dare ragione al Governatore quando afferma che“se vogliamo mantenere i servizi, non ci sono alternative alla riorganizzazione e ristrutturazione; se non l'aumento delle tasse che nessuno vuole sia perché già troppo alte sia perché avrebbe un effetto recessivo” e
“sarà dura ma è l'unico modo per salvare la Sanità Pubblica e la nostra qualità”.
Per realizzare questo percorso devono essere abbattute le roccheforti e i centri di potere. Deve essere cambiata la linea di pensiero e la cultura, di tutti e a tutti i livelli.Sono necessari cambiamenti strutturali e organizzativi, tenuto conto delle modificazioni epidemiologiche, demografiche, sociali ed economiche, nonché dei nuovi bisogni della popolazione e delle nuove necessità di funzionamento delle strutture del Sistema Sanitario.
L'operazione di “restyling” però non può penalizzare il cittadino, pertanto, a fronte di una diminuzione di strutture va sviluppato un sistema parallelo per la presa in carico delle persone e dei loro problemi di salute (e questa operazione generalmente richiede degli investimenti, propedeutici alle successive razionalizzazioni – al proposito vale la pena di ricordare che precedenti indicazioni del 2013 prevedevano per la Regione Toscana una necessità di riduzione di un centinaio di pl per acuti e una parallela necessità di implementazione di oltre 1.500 pl residenziali di lungodegenza e riabilitazione, da comparare con i nuovi standard di recente pubblicazione, relativamente alle strutture disciplinari necessitanti, rapportate ad un milione di abitanti).
Parallelamente, per quella garanzia di servizi alla popolazione evidenziata dal Governatore Rossi, sarà importante (e complesso) sviluppare un nuovo progetto politico per le cure primarie, in applicazione del Decreto 158/2012, con l'assoluta necessità di rivedere, con coraggio, i paradigmi organizzativi dell'intero sistema. L'analisi dei dati statistici (annuario ISTAT 2014) per la Regione Toscana evidenzia:
a. una popolazione regionale pari a 3.692.828, di cui 893.664 persone (24%) nella fascia di età > 65 aa;
b. 1.569.378 famiglie (di cui 501.550 composte da una sola persona e circa 160.000 con una condizione di disabilità/fragilità in almeno un componente di ogni famiglia – con le conseguenti necessità socio-assistenziali);
c. 12.101 decessi per tumore (dati ISTAT 2014 – rif. Anno 2011 – per le ripercussioni assistenziali palliative e le cure di fine vita (rif. Normative cure palliative e di fine vita – indirizzi Conferenza Stato / Regioni);
d.
2.931 MMG, 444 PLS, 624 Medici Guardia Medica – dati annuario ISTAT 2014) per i coinvolgimenti diretti nella presa in carico dei pazienti).
Stante la nuova strutturazione, di cui al DL 158/2012 (Balduzzi), che prevede l'istituzione delle UCCP (Unità Complesse Cure Primarie) e delle AFT (Aggregazioni Funzionali Territoriali), è ragionevole e logico superare i modelli del passato e “pensare” a nuove organizzazioni, multi-professionali e multi-disciplinari, con un gruppo di medici “associati”, in grado di assicurare la continuità del servizio e una maggiore presenza a livello ambulatoriale, preferibilmente con una trasversalità di saperi specialistici, per una migliore risposta ai bisogni di salute delle persone, e una forte presenza infermieristica sul territorio e a domicilio per una reale presa in carico delle persone.
Il nuovo modello, tenuto conto che la condizione economica del Paese, non consente l'implementazione del nuovo e il mantenimento dell'esistente; pertanto, stante la necessità di garanzia di continuità di servizi alla popolazione, diventa indispensabile sviluppare un nuovo sistema delle cure infermieristiche territoriali e domiciliari, in linea con i dettati del Decreto di cui sopra e con i principi fissati dall'OMS e dal PSN.
E' evidente che il ri-disegno del sistema e il ri-pensamento dell'organizzazione obbliga delle nuove definizioni di risorse (tipologia e numerosità), tenuto conto della domanda della popolazione, della tipologia delle strutture, dello sviluppo scientifico e tecnologico, dei servizi da garantire e , in particolare, dei nuovi saperi dei professionisti.
Tornando alle esternazioni riferite agli Operatori Socio Sanitari, l'analisi storica consente di evidenziare che all'inizio degli anni '70 le strutture ospedaliere si caratterizzavano per una presenza minimale di Infermieri Professionali (allora erano chiamati così) e un'alta numerosità di Infermieri Generici.
Scelte politiche successive (forse scellerate) hanno determinato che la figura infermieristica doveva essere “unica e polivalente”.
Negli anni successivi, probabilmente a seguito di prese d'atto delle negatività di tale progetto, sono state pensate altre figure professionali “di supporto” (e a volte il rimedio è peggiore del male!) e sono stati attivati corsi di formazione per Ausiliario Socio Sanitario Specializzato, per OTA e infine per OSS.
Inoltre l'inserimento delle nuove figure, peraltro sviluppato in maniera molto diversificata sul territorio nazionale, non sempre si è realizzato con una contestuale revisione dei modelli organizzativi e dei sistemi di cura e assistenza.
Oggi la figura dell'OSS è una realtà, ma certamente non è un Infermiere. Altrettanto certamente non è possibile – a priori – affermare che “sostituiamo l'Infermiere con l'OSS”.
Per garantire al meglio i cittadini e gli operatori vanno definiti criteri e standard di riferimento per ogni tipologia di struttura e per ogni livello delle articolazioni organizzative delle singole filiere professionali, in modo di permettere il corretto funzionamento del sistema e, parallelamente, consentire l'utilizzo razionale delle risorse, tenuto conto di tutti i cambiamenti sopra citati.
Alcuni dati di letteratura recente ipotizzano percentuali di 2/3 di infermiere e 1/3 di OSS.
Probabilmente le variabili da considerare sono altre: la tipologia di struttura, la numerosità di malati, la gravità delle patologie, la severità delle cure e dell'assistenza, la complessità del progetto clinico-assistenziale, i livelli di autonomia/dipendenza dei pazienti, etc. etc..
Ma non si può navigare “a vista” e serve un preciso progetto, meglio se con un preciso indirizzo governativo.
I dati statistici (ISTAT 2014 – Paese Italia) evidenziano che nel quinquennio 2009-2013, relativamente alle risorse assistenziali (contratti a tempo determinato e a tempo indeterminato), si è riscontrato quanto segue:
Medici - 4.268
Infermieri - 8.670
OSS + 4.424 (dati relativi agli operatori con contratto a tempo indeterminato)
OTA e Aus. - 5.399 (dati relativi agli operatori con contratto a tempo indeterminato)
Sembra più un “taglio lineare” per l'equilibrio economico-finanziario che per una riorganizzazione del sistema.
Salta all'occhio l'implementazione della figura dell'OSS …. ma è facile intuire che si tratta di una compensazione (peraltro parziale) delle uscite di OTA e Ausiliari Specializzati).
Colpisce maggiormente le diminuzioni del numero dei medici (- 4.268 con i dati OCSE evidenziano un esubero di 1 medico ogni 1.000 abitanti) e del numero degli infermieri (- 8.670 con i dati OCSE che evidenziano una carenza di 1,5 infermieri ogni 1.000 abitanti).
C'è davvero qualcosa (tanto!) che non funziona e che necessita di essere rivisto. Probabilmente da subito e con urgenza. In maniera multi-professionale e multi-disciplinare, con la massima attenzione alle necessità di oggi, evitando i riferimenti “nostalgici” del passato, non riproponibili nei sistemi di oggi che si caratterizzano per assetti normativi e percorsi formativi significativamente diversi rispetto al passato.
La definizione di regole (condivise), tenuto conto delle autonomie e responsabilità individuali, nonché del reciproco rispetto delle persone e delle professioni, sarà fondamentale per l'ottimale funzionamento del sistema.
E' auspicabile sperare che il Governatore Rossi non sia il solo a lavorare per il cambiamento.
Marcello Bozzi
Infermiere, Pescara
25 febbraio 2015
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