Grandi ospedali. Il S. Camillo a Roma. Morrone: “Risparmiare senza abbassare la qualità si può”
di Emanuela Medi
A dimostrarlo l’esperienza dell'ospedale romano, che ha ridotto di 60milioni il disavanzo portandolo da circa 200milioni a 135milioni circa. Ma per il manager alla guida del nosocomio dal 2011, serve “un grande Piano socio-sanitario del Lazio che preveda il coinvolgimento di tutti, affinché ci sia un vero impegno democratico”
12 NOV - Tagli, tagli e ancora tagli alla sanità. Alla quale si chiede, però, di mantenere comunque alti i livelli di performance. Impossibile, secondo la maggior parte dei medici e dei direttori generali. Ma non secondo
Aldo Morrone, direttore generale del San Camillo di Roma. “Al San Camillo abbiamo lavorato molto sui servizi esternalizzati – spiega in questa intervista a
Quotidiano Sanità - avviando una profonda rimodulazione: per esempio la ristorazione, il cui valore previsto era di quasi 11 milioni di euro nel 2012, a consuntivo è stato pari a 9,9 milioni”. Attraverso un attento monitoraggio, poi, l’importo per i servizi di manutenzione ordinaria e straordinaria è stato ridotto da 41,7 milioni di euro nel 2010 a 18,1 milioni del 2012. Tutto questo pur con un numero di personale ridotto da 4.479 operatori nel 2010 a 4.139 nel 2012, a causa del blocco quasi totale del turn- over e garantendo un alto livello di risposta ai bisogni sanitari della popolazione.
Non che i continui tagli alla sanità piacciano a Morrone. Secondo il quale, piuttosto che tagliare, bisognerebbe riqualificare. Per il dg del San Camillo, infatti, serve “un grande Piano socio-sanitario della Regione Lazio che preveda il coinvolgimento di tutti, in modo che ci sia un vero impegno democratico”. Le priorità, secondo Morrone, sono lo sviluppo della sanità del territorio affinché faccia da filtro agli ospedali e la riqualificazione dei piccoli ospedali diversificando gli interventi a seconda delle richieste della persona che vi afferisce, se le problematiche esposte sono di natura sanitaria, o sociale, economica, psicologica, e dare risposte appropriate. “In questo modo non andrebbero perse risorse e competenze e si potrebbero ridurre i costi”. Ma per Morrone bisogna anche “eliminare le risorse lineari perché non si possono avere gli stessi criteri per i tagli e per le risorse analoghi per grandi e piccoli ospedali”.
Dottor Morrone, come si colloca il San Camillo nella realtà ospedaliera della Regione Lazio?
L’Ospedale San Camillo è la struttura di maggior rilievo nella sanità pubblica della Regione Lazio, in quanto è un ospedale squisitamente regionale mentre gli altri due grandi ospedali hanno una differente denominazione: il Policlinico Gemelli è una struttura accreditata e il Policlinico Umberto I è per metà a carico della Regione Lazio e per metà Universitaria. I numeri, ne cito pochi, indicano da soli l’importanza della nostra struttura. Abbiamo mille posti letto, 5mila dipendenti, 122 Unità Operative Complesse, praticamente tutta l’attività clinica-medica-chirurgica viene riconosciuta all’interno del San Camillo che, a ragione, è l’Ospedale di riferimento della Regione Lazio. Abbiamo delle strutture condivise con l’Università “La Sapienza”, quali la genetica, l’attività dei trapianti, la ricerca sulle cellule staminali. Inoltre abbiamo numerose scuole Universitarie come la Laurea in Scienze Infermieristiche e la laurea in Scienze Radiologiche. Non da ultimo al San Camillo afferisce il trasporto dei feriti più gravi per incidenti stradali e Il trasporto dei neonati in condizioni di criticità in quanto la terapia intensiva neonatale è riconosciuta tra le più accreditate in Italia.
Con quale bacino di utenza, e con quali costi.
Il San Camilllo è DEA di II livello per la macroarea 3, ha un bacino di utenza di circa 2 milioni e mezzo di abitanti, copre un’area di 425mila mq, Forlanini compreso (circa 40 ettari), di cui 81mila coperti, per un volume di 1.476mila mc.
Nel 2012 abbiamo avuto un totale di 31.929 ricoveri ordinari, 14.11 in day hospital per un totale di 292.495 giornate di degenza. Il numero complessivo delle giornate di degenza è stato determinato quasi esclusivamente dalla riduzione dei codici bianchi - per effetto del ticket - e della crescita dei codici rossi che assorbono il maggior numero di risorse sia nell’ambito dei servizi di emergenza, che per quelli di degenza, ai quali questi pazienti sono indirizzati.
La sfida principale affrontata in questi anni è stata il mantenimento di un alto livello di risposta ai bisogni sanitari della popolazione, e la necessità di migliorare l’equilibrio economico dell’Azienda con un numero di personale ridotto da 4.479 operatori nel 2010 a 4.139 nel 2012, a causa del blocco quasi totale del turn- over.
Quando ho iniziato il mio incarico di direttore generale, l’Ospedale era in forte disavanzo perché tutte le risorse erano state impiegate nella costruzione- ai primi del 1900- e poi in successive ristrutturazioni.
Il compito affidatomi era stato quello di ridurre il disavanzo, pur mantenendo alta la qualità e l’efficienza delle prestazioni. Il disavanzo è stato ridotto di 60milioni, portandolo da circa 200milioni a 135milioni circa.
Abbiamo lavorato molto sui servizi esternalizzati avviando una profonda rimodulazione: per esempio la ristorazione, il cui valore previsto era di quasi 11 milioni di euro nel 2012, a consuntivo è stato pari a 9,9 milioni. Il servizio di pulizia e sanificazione è sceso da 11,3 milioni del 2010 a 9,9 milioni. Riguardo i servizi di manutenzione ordinaria e straordinaria, attraverso un attento monitoraggio abbiamo ridotto l’importo complessivo dal valore di 41,7 milioni di euro nel 2010 ai 18,1 milioni del 2012. Abbiamo ottenuto un notevole decremento dei costi del servizio di manutenzione delle apparecchiature elettromedicali rispetto il vecchio appalto.
Siamo convinti che ulteriori riduzioni di spesa possono essere ottenuti rivalutando e ripensando ad esempio il ruolo e la figura del Forlanini, un ospedale che dovrà avere un futuro diverso dall’attuale.
Come?
Il Forlanini è una grande struttura sia come capacità di utilizzo (600mila mc) sia come area verde. Potrebbe essere sede di una “Città della Scienza, dell’Innovazione e dell’Informatica”, oltre che di strutture che potrebbero svolgere attività di supporto all’Ospedale San Camillo che, per vocazione, rimarrebbe il centro di assistenza clinico-scientifica della Regione Lazio. I cittadini, e non lo dico solo in senso metaforico, potrebbero riappropriarsi di questa bellissima e importantissima composizione architettonica e farla “vivere”, abbattendone idealmente le “mura”.
Quale è la sua idea della Sanità nella Regione Lazio?
Io credo che in questo momento la Regione abbia deciso di rinviare gli atti aziendali delle varie ASL, dei Policlinici, IRCS ecc, proprio perché è necessario provvedere a un piano di programmazione regionale per capire quali possano essere le funzioni delle varie unità operative all’interno delle Aziende Ospedaliere e Sanitarie locali in modo da rimodulare le funzioni. Io credo che bisogna distinguere e meglio definire le attività ospedaliere presenti sul territorio, da quelle attività degli ospedali di primo e secondo livello, per evitare che tutti facciano le stesse cose: la medicina di famiglia, la territoriale, i medici di base ecc.
Ne deriverebbe una migliore organizzazione degli interventi, appropriatezza delle cure, efficienza delle attività prodotte, indirizzo delle risorse con un notevole risparmio economico.
Ma tutto questo come si potrebbe realizzare?
E’ un compito a carico della Direzione Programmatica della Regione Lazio insieme a tutti i Direttori Generali e a tutte le forze che operano nel campo della sanità. Io penso ad un grande “Piano socio-sanitario” della regione Lazio che preveda il coinvolgimento di tutti, in modo che ci sia un vero impegno democratico. Alla Regione spettano le decisioni per un miglioramento intanto delle prestazioni sanitarie, riducendo ad esempio l’eccesso di diagnosi e di cure assolutamente inappropriate che oltre a determinare un costo eccessivo certamente non migliorano la mortalità e morbilità delle situazioni.
Si parla sempre dei piccoli ospedali, questi non devono essere eliminati, ma bisogna dare loro una differente “mission”. Noi non abbiamo una medicina sul territorio che faccia da filtro. Lo vediamo per i Pronto Soccorso che sono l’unica struttura cui ricorre il cittadino perché aperti 360 giorni l’anno per 24 ore in grado di dare risposte sanitarie reali. Molti piccoli Ospedali potrebbero essere rimodulati creando centri con attività anche di Pronto Soccorso in modo da dare al cittadino una risposta concreta sul territorio. In questi stessi luoghi si potrebbero valutare e quindi poi diversificare gli interventi, a seconda delle richieste della persona che vi afferisce, se le problematiche esposte sono di natura sanitaria, o sociale, economica, psicologica, e dare risposte appropriate. In questo modo non andrebbero perse risorse e competenze e si potrebbero ridurre i costi.
Abbiamo cercato di creare una rete dei Direttori Generali dei grandi Ospedali da 800 posti letto in su, e ci siamo accorti che tutti inseguiamo le stesse prestazioni, ad esempio la chirurgia della cataratta potrebbe essere effettuata in una struttura presente sul territorio. Questa non diversificazione delle attività crea un danno alla efficienza del sistema. L’ esperienza del San Camillo ha dimostrato che si può ridurre un disavanzo di 60milioni cercando di combattere gli sprechi, i costi dei servizi, creando una centrale degli acquisti regionale, a mio parere anche a livello nazionale. Ho parlato prima della differenziazione, tra i grandi ospedali, di alcune attività: penso ai trapianti, per la quale dovremo avere una più incisiva politica che consenta di rimodulare l’attività dei centri di chirurgia generale (molti con scarsa attività) in centri trapianti, rafforzando la ricerca e l’alta specializzazione del San Camillo, centro di riferimento della Regione Lazio.Quindi da un lato è necessario ridurre la spesa, dall’altro rafforzare alcuni settori.
Sui tagli lineari mi sono più volte espresso considerandoli un “disastro”, ma dobbiamo eliminare anche le risorse lineari perché non si possono avere gli stessi criteri per i tagli e per le risorse analoghi per grandi e piccoli ospedali.
Tra le ultime interessanti attività di questo Ospedale vi è la “ formazione delle badanti”. Di cosa si tratta?
Questa è stata una intuizione della Unione Europea che ha investito una serie di fondi ai quali abbiamo collaborato attraverso il Ministero del Lavoro (Fondo Europeo Politiche migratorie 2010 per il finanziamento di interventi in Tema di servizi socio-assistenziali alla persona) e con la Ragione Lazio per la formazione e inserimento lavorativo di 85 assistenti alla persona in diversi ambiti clinico-assistenziali. L’obiettivo è stato quello di addestrare la persona a migliorare i rapporti con il medico, ma anche con la farmacia, i servizi, in modo da essere da supporto alle famiglie dei malati, contemporaneamente la preparazione clinico-assistenziale riduce il ricorso al medico e al Pronto Soccorso eliminando le degenze ospedaliere non in fase acuta, liberando così posti letto e i costi di degenze evitabili.
Il corso, che ha riscosso notevole successo, è composto da 80 ore suddivise in formazione di base e formazione specialistica.
Veniamo alla sua “ passione”. La creazione di Ospedali in Eritrea, Etiopia e più recentemente centri in Libano, nei campi profughi.
Il San Camillo ha sempre avuto una vocazione internazionale allo sviluppo socio-sanitario. Noi abbiamo aumentata e rafforzata una collaborazione sia al’interno dei paesi dell’area Mediterranea, come richiesto dall’Unione Europea sia nei paesi del Sud Est africano. Noi abbiamo svolto già in passato attività in Etiopia, in Eritrea e ora in Libano dove abbiamo un compito molto preciso quello di soccorrere le persone colpite da attentati, ferite di guerra, in particolare nei campi profughi Un’altro compito non secondario è la sorveglianza e il contrasto affinché non si diffondano malattie infettive ed epidemie. E’ in corso un progetto HIV con l’Ospedale di Bengasi tramite una convenzione che permette ai malati di Aids di potersi curare presso l’AOSCF. Al momento i centri in Libano sono stati attrezzati da noi ma in seguito saranno gestiti direttamente dalle autorità locali dopo aver provveduto alla formazione del personale. E’ un compito molto delicato che ci è stato chiesto anche dall’OMS nel raggiungimento di obiettivi di salute pubblica a livello internazionale. Voglio precisare che tutta questa attività non’è a carico del Servizio Sanitario Regionale, ma si realizza attraverso fondi che siamo riusciti a recuperare sia dalle Nazioni Unite sia dal Ministero degli Affari Esteri.
Per quanto riguarda l’attività in Etiopia, nel 2012 sono stati fatti due agreement tra l’Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini. Il primo con il Polo Universitario di Mekelle, la capitale del Tigray e con il Tigray Health Boureau cui spetta la gestione in autonomia della salute pubblica della Regione.
Vorrei ricordare che il primo accordo nasce da un’antica collaborazione risalente ormai a 20 anni fa, che permise di aprire nel Paese, il primo centro ospedaliero di dermatologia, iniziando un percorso che ha consentito all’Etiopia di poter contare oggi, su medici locali qualificati e su materiale di ricerca presentato in congressi internazionali. Questa attività di scambio di medici e di telemedicina per cui tutti gli specialisti del San Camillo possono essere interpellati dai medici Etiopi,riguarda in particolare la cardiochirurgia. Il secondo accordo riguarda attività di supporto al management sanitario che il quel Paese deve coniugare l’aumento della popolazione, la qualità delle cure e la scarsità di risorse finanziarie e umane. E’ di prossima apertura un ospedale interamente finanziato da un donatore privato Italiano a Sheraro, cittadina confine con l’Eritrea dove si trovano diversi campi profughi.
Recentemente sono tornato da un giro in Eritrea dove sono stati presi accordi con le autorità locali per aprire centri di assistenza e di formazione del personale locale. Esiste poi, presso il San Camillo, una casa di accoglienza interamente pubblica e gratuita (l’unica del genere in Italia)dove possono soggiornare i parenti durante il periodo di cura del malato.
Emanuela Medi
12 novembre 2013
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