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Aborto. Impossibile a Jesi: tutti i medici sono obiettori


Dieci ginecologi, ma tutti obiettori di coscienza. Una situazione che, di fatto, ha bloccato il servizio di interruzione volontaria di gravidanza nell'ospedale marchigiano. Cgil e Aied chiedono soluzioni chiare e certe per garantire l'applicazione della legge 194.

10 SET - Qualche mese fa la CGIL e la FP di Pesaro denunciavano la vicenda dell’ospedale di Fano dove tutti i ginecologi risultavano essere obiettori di coscienza causando, di fatto, lo stop al servizio di interruzione volontaria di gravidanza prevista dalla legge 194/78.
Oggi la stessa vicenda di “diritti negati” si verifica nelle Marche. A denunciarla la Cgil e Fp Cgil regionale, spiegando che anche nell’ospedale di Jesi tutti e 10 i ginecologi si dichiarano obiettori e le donne, quindi, non possono abortire anche quando decidono, nel loro diritto previsto dalla legge, di farlo.
“Sono trascorsi 34 anni dall’emanazione della legge sulla tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza eppure la sua concreta attuazione è ancora piena di ostacoli di ogni genere tanto da mettere seriamente in pericolo la salute delle donne e i loro diritti”, affermano Daniela Barbaresi - segretaria Cgil Marche, e Alessandro Pertoldi, segretario generale Funzione Pubblica Cgil Marche.
 
Sulla vicenda è intervenuto tempestivamente anche l’assessore regionale Mezzolani per garantire che nei prossimi giorni a Jesi possa operare un medico non obiettore proveniente dall’ospedale di Fabriano il quale effettuerà  gli interventi di Ivg anche nell’ospedale jesino. Anche se “si tratta di un intervento apprezzabile per rispondere all’emergenza”, Barbaresi e Pertoldi chiedono però che “venga garantita adeguatamente sul territorio tutti i servizi previsti dalla legge: certificazione per l’Igv, contraccezione d’emergenza, intervento d’Igv”.

I sindacalisti sottolineano peraltro come, secondo i dati dell’ultima relazione annuale del Ministero della Salute, già nel 2009, a fronte di 2.458 interruzioni volontarie di gravidanza effettuate da donne residenti nelle Marche, il 24,7% degli interventi sono stati fatti fuori provincia e il 9,9% fuori regione: percentuali pari quasi al doppio rispetto alla media nazionale.
 
“Il numero sempre più ampio di obiettori di coscienza e in generale i disagi e le difficoltà nell’attuazione della Legge 194 rischiano di svuotare nei fatti i contenuti della legge e, oltre a colpire le donne in un momento particolarmente difficile e delicato della loro vita, penalizza anche medici, anestesisti e infermieri non obiettori che vedono ricadere su di loro tutto il carico delle interruzioni di gravidanza”, denunciano Barbaresi e Pertoldi ricordando che, sempre secondo l’ultima relazione del Ministero, nelle Marche gli obiettori di coscienza, di poco inferiori alla media nazionale, costituiscono il 62% dei medici, il 50% degli anestesisti e il 43% del personale non medico.   

“Desta preoccupazione anche la complessiva situazione dei 67 consultori familiari nelle Marche la cui operatività è resa sempre più difficile dalla mancanza di organico e in particolare delle necessarie figure professionali specialistiche a partire dalla figura del ginecologo, tanto che in molti consultori non è possibile avere la certificazione per l’Igv. Pertanto – concludono i sindacalisti della Cgil -, abbiamo richiesto alla Regione di garantire adeguatamente sul territorio tutti i servizi previsti dalla legge necessari a tutelare la salute e i diritti delle donne, e nell’ambito del confronto avviato sull’attuazione del piano Socio Sanitario e sui Piani d’area vasta, di aprire uno specifico approfondimento su queste tematiche per verificare l’effettivo stato d’attuazione della legge 194/78 nel territorio marchigiano, compresa la somministrazione della pillola RU486, e più in generale sulla situazione e sul funzionamento dei consultori”.

Sul caso è intervenuto anche l’Aied (Associazione Italiana per l'Educazione Demografica). “Il caso di Jesi – si legge in una nota - non è l’unico in Italia e rende evidente come in alcune regioni  il servizio dell’interruzione di gravidanza è nella pratica inesistente, come da tempo ormai denunciato da molte organizzazioni e operatori del settore”.
 
“Negli anni in cui l’aborto farmacologico era sperimentale – ha dichiarato Laura Olimpi, Presidente della sezione Aied di Ascoli Piceno -  la regione era una delle poche ad aver avviato la sperimentazione ed a consentire quindi alle donne che lo volevano di evitare l’aborto chirurgico, quando possibile; ora che la RU486 è stata finalmente autorizzata al commercio anche in Italia, la Regione si è guardata bene dal redigere le linee guida e quindi nessun ospedale ha ancora iniziato ad usarla. In un’intera provincia, quella di Fermo, la legge 194 è totalmente disattesa e praticamente da sempre non si effettuano interventi nel locale ospedale”.

Inoltre, aggiunte Olimpi, “dove qualche ginecologo non obiettore si trova viene praticato una specie di numero chiuso, con un tetto massimo di interventi a settimana sempre più piccolo di quello che serve, costringendo chi resta fuori ad affannosi giri per la regione alla ricerca di chi ti accoglie, e sono quasi sempre le extracomunitarie a dover girare perché sembra esserci una preferenza per le residenti nel creare le liste. E le donne, spesso con difficoltà economiche o senza mezzo di trasporto, arrivano in molti casi all’ospedale di Ascoli, dove del servizio Ig si occupa la sezione Aied locale. Anche ad Ascoli, infatti, tutti i medici sono obiettori. In questo ospedale lo scorso anno solo una donna su tre era del territorio,  le altre provenivano dalla costa o dal vicino Abruzzo, ma soprattutto da Ancona o dal resto della Regione”.
 
“Il problema – afferma l’Aied - è tecnico perché gli aspetti morali e politici dell’aborto sono stati superati da tempo, come da ultimo ha dimostrato la sentenza di giugno della corte costituzionale  nei confronti del tentativo del giudice tutelare di Spoleto di invalidare la legge. Un governo tecnico non dovrebbe quindi avere difficoltà nel risolvere ‘tecnicamente’ il fenomeno dell’obiezione di coscienza diffusa, se inquadrato come deve essere nell’ambito della violazione di un diritto sancito dalla legge.  Occuparsi di questo problema – conclude l’Associazione -- è di certo più urgente che mettere al lavoro decine di esperti per presentare un ricorso inutile (e per molti versi crudele) sulla sentenza di Strasburgo sulla legge 40 sulla procreazione assistita”.
 
 

10 settembre 2012
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