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QS Edizioni - lunedì 25 novembre 2024

Regioni e Asl

Mafia. Da Nord a Sud la sanità è bottino ghiotto. Allarme Direzione Antimafia su appalti e servizi

di Lucia Conti
immagine 3 marzo - La mafia sta cambiando. E non è una buona notizia. La sua penetrazione all’interno di appalti e servizi pubblici, infatti, è aumentata, ma si è anche estesa a nuovi ambiti, come la sanità. Dove, “senza sparare un colpo di arma da fuoco, gli imprenditori delle mafie sono entrati nelle ASL, nei Comuni e negli Ospedali”. L’allarme nella Relazione Annuale della Direzione nazionale antimafia (Parte 1, Parte 2, Parte 3)
Non c’è da stupirsi, considerato che sempre più spesso gli scandali in sanità riempiono le pagine di cronaca, ma c’è da preoccuparsi, perché la sanità italiana rischia di diventare sempre più schiava della mafia. La sanità è infatti entrata a pieno titolo nella Relazione Annuale della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (Dnaa) come uno dei settori di cui la criminalità organizzata cerca di impadronirsi.

Si legge nella Relazione, presentata ieri al Senato: "La penetrazione” della mafia “all’interno di appalti e servizi pubblici, appare non solo aumentata quantitativamente, ma, anche modificata qualitativamente. Ed infatti, mentre sul piano della sua estensione, il fenomeno, nel corso del tempo, si sta allargando sempre più. E riguarda non solo, i tipici settori degli appalti legati alle attività edilizie, stradali, al ciclo dei rifiuti, ma, anche, in quello della sanità e dell’assistenza pubblica, dove, senza sparare un colpo di arma da fuoco, gli imprenditori delle mafie (in Sicilia, Calabria, Lazio e Campania, ma, anche altrove) sono entrati, ora in un modo ora in un altro, ora operando dall’esterno ora dall’interno, nelle ASL, nei Comuni e negli Ospedali”.

Anche i metodi, però, sono cambiati: se una volta era privilegiato il meccanismo della violenza, oggi la strumento più usato è quello della corruzione e del riciclaggio. “Per sintetizzare, le mafie oggi sparano meno ma sono sempre vitali e, soprattutto, fanno più affari di ieri”.

In sanità, spiega l’Antimafia, la penetrazione delle imprese mafiose “più che svolgere una azione diretta di interdizione sulla concorrenza – con sistemi intimidatori quando non violenti – punta sulla collusione dell’imprenditore mafioso con coloro che gestiscono le gare. In altri termini appare sempre più esteso il fenomeno del funzionario o del politico a libro paga, che viene delegato dal sodalizio ad ottenere il risultato di agevolare sistematicamente, sempre e comunque, le proprie imprese nella acquisizione di appalti e servizi pubblici in un dato settore”.

È per questo che, come si legge nella parte del documento dedicata all’attività antimafia nel Distretto di Milano, che sempre più spesso si riscontra “la presenza di figure riconducibili al paradigma della ‘borghesia mafiosa’, canali di collegamento tra la società civile e la ‘ndrangheta”, nella quale rientrano funzionari, imprenditori e politici, ma anche “medici”.

Fino a qui, la teoria. Ma quali sono stati, nella pratica, i casi all’attenzione della Dnna nel 2015?
 
Nella relazione si cita, ad esempio, l’attività della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, con la vicenda della gara per l’assegnazione dei servizi di gestione della “camera mortuaria” dell' Azienda Ospedaliera Sant'Andrea di Roma, che ha visto coinvolto anche il direttore generale dell’Ao, Egisto Bianconi. Attraverso alcuni complici (tra cui la moglie), il boss Guerino Primavera aveva fatto da intermediario e garante per un titolare di una ditta di pompe funebri, avvicinando il direttore generale dell’azienda ospedaliera (con cui il titolare della ditta aveva stretto accordi corruttivi) nonché il responsabile unico del procedimento e presidente della commissione di gara. In cambio dell’aggiudicazione, il titolare della ditta aveva promesso a Guerino Primavera l’assunzione della moglie, versando un corrispettivo mensile, a fronte di una fittizia prestazione di lavoro.

“Le inchieste giudiziarie più recenti”, tra le quali la Relazione cita quella sull’ospedale israelitico (“in cui era prassi rappresentare nelle cartelle cliniche prestazioni non eseguite allo scopo di ottenere dalla Regione rimborsi superiori a quelli dovuti”), hanno documentato, secondo la Dnaa, “in termini di assoluta certezza ed ancora una volta, come la corruzione sia diffusa e radicata al punto da essere ormai ‘sistema’”.

Nel casertano, il clan Zagaria “mantiene una forte la sua struttura imprenditoriale” e “l’ala militare, sia pur mantenendo un basso profilo, rimane tuttora capace di controllare il territorio rimanendo molto radicata nella provincia di Caserta e, soprattutto, in grado di mantenere saldi i rapporti con le pubbliche amministrazioni, non solo locali ma anche di livello superiore”. Per la Dnaa “significative, in tal senso, appaiono le indagini che hanno consentito di accertare il controllo, da parte delle criminalità organizzata casertana, e, segnatamente proprio del clan Zagaria, degli appalti nel delicato settore della sanità”.

Nel gennaio 2015 il gip di Napoli ha emesso un’ordinanza cautelare nei confronti di 24 persone per vari delitti, ricostruendo il regime di “assoluto monopolio” instaurato, dal clan negli appalti e negli affidamenti diretti di lavori all’interno dell’Ospedale di Caserta grazie alla collusione di numerosi pubblici amministratori asserviti al clan attraverso la dazione di utilità e somme di denaro.

Ancora nel casertano, un “tassello importante” dell’opera investigativa è rappresentato dalle indagini svolte sulla ASL di Caserta, “presso la quale si è accertata l’infiltrazione nel tessuto degli appalti dell’Asl di Caserta, di Angelo Grillo, imprenditore di punta del clan Belforte”. Anche in questo caso il sistema di penetrazione utilizzato è quello collusivo-corruttivo, “con modalità addirittura pervasive ed abituali, con una corruzione che potrebbe definirsi ‘a pioggia’. In un susseguirsi di mazzette, escort, viaggi premio, Grillo, un piede nella camorra di Marcianise ed un altro nei salotti politici e dell’alta burocrazia, corrompeva e conquistava appalti pubblici”.

Allarme anche in Sardegna e nel distretto di Cagliari, dove “l’illecito condizionamento nella fase di aggiudicazione delle gare di appalto”, da parte d’imprese provenienti da altre regioni, “sta emergendo nelle indagini relative alla stipula di un ‘contratto’ pluriennale per l’affidamento, mediante project financing, della concessione dei lavori relativi alla ristrutturazione e al completamento dei presidi ospedalieri San Francesco e C. Zonchello di Nuoro, San Camillo di Sorgono e dei presidi sanitari distrettuali di Macomer e Siniscola. Tale vicenda – si ricorda nella Relazione - è stata anche oggetto di alcune interrogazioni parlamentari aventi l’obiettivo di sollecitare l’approfondimento della singolare iniziativa contrattuale della Asl 3 di Nuoro, con particolare riferimento ai lavori di espansione e gestione di diversi presidi sanitari affidati, tra le altre, a una società multiservizi, la multinazionale ‘Derichebourg’, il cui ex amministratore delegato, odierno indagato, Lazzaro Luca è stato, nel 2013, tratto in arresto poiché considerato referente del cosiddetto ‘clan dei Casalesi”.

Ma anche l’UMBRIA si colloca tra le regioni in cui si registra “una forte presenza di cosche di ndrangheta” e l’analisi delle risultanze dell’attività svolta dalla DDA di Perugia nel periodo di interesse evidenzia “un pericoloso trend evolutivo nella dimensione quantitativa e qualitativa dei fenomeni criminali organizzati, con gruppi stabilmente insediatisi nel territorio ove hanno assunto caratteri di autonomi sodalizi, seppur sempre collegati all’organizzazione ‘madre’ calabrese”. Per la Dnaa, “la tranquillità ambientale, la ricchezza derivante dalle floride attività produttive del territorio, la poca dimestichezza della popolazione a riconoscere i tipici segnali della presenza mafiosa, hanno favorito progressivi insediamenti personali ed economico-produttivi di interi nuclei di famiglie mafiose, in particolare proprio di ‘ndrangheta, che, stabilitesi in Umbria per avvicinarsi a familiari detenuti o sottoposti a soggiorni obbligati ovvero attirati dal business della ricostruzione successiva al terremoto del 1997, hanno trovato in questo territorio le condizioni ambientali idonee per poter attuare in maniera silente una progressiva infiltrazione criminale ed economica”.
Le indagini hanno, in particolare, evidenziato interesse di imprese edili calabresi al settore degli appalti pubblici “ove, attraverso al pratica del massimo ribasso, si sono aggiudicati appalti, soprattutto nel settore edilizio, della gestione dei servizi sanitari e del ciclo dei rifiuti”.

Dunque, Nord, Sud, Centro, nessuna Regione italiana sembra essere esente dal rischio di infiltrazione mafiosa. E se la mafia si è evoluta, lo stesso deve accadere alle forze che la contrastano. “E’ necessario – secondo la Dnaa - individuare quale sia l’archetipo di relazioni umane, economiche, politiche che la associazioni mafiose intendono imporre (e impongono) nel contesto territoriale in cui sono insediate”. Ma se è fondamentale per capire le mafie, comprendere cosa vogliono i mafiosi, come vivono e come intendono il loro rapporto con il resto della società civile, “egualmente rilevante è comprendere la mafia dal punto di vista dei soggetti che interagiscono con la stessa e, segnatamente, dal punto di vista di coloro che la subiscono e dal punto di vista di chi, con la stessa, collabora, verificando se, anche muovendo da questi punti di osservazione, si giunga a conclusioni sovrapponibili”.
 
Lucia Conti
3 marzo 2016
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