10 novembre -
Gentile Direttore,
dopo aver visto con piacere la
lettera di Mario Sellini pubblicata lo scorso 28 ottobre sulla rivista, il nostro gruppo di lavoro ha sentito l’urgenza di rispondere all'interrogativo diretto, profondo e urgente che è stato posto dal Segretario Generale AUPI. “Qualcuno sta pensando al disagio psicologico dei malati di Covid-19 in ospedale o in isolamento domiciliare?” E a quello dei loro cari?
Malgrado si tratti di un'esigenza condivisa e riconosciuta da tutti, negazionisti a parte, mai come ora la popolazione necessiterebbe anche di un aiuto psicologico da porre allo stesso livello delle “cure del corpo”. Ufficialmente non si sta facendo molto. E’ già tanto se il sistema sanitario riesce a fornire un supporto di natura medica e, come temiamo, il cortocircuito del sistema è all’orizzonte.
Il nostro gruppo di lavoro, coordinato dal Prof. Negri Attà dell’Università degli Studi di Bergamo, e costituito da quattro medici di medicina generale di Milano e da quattro psicoterapeuti (a cui si sono aggiunti recentemente altri due colleghi – medico e psicologo), da circa quattro anni si dedica ad un programma di ricerca – intervento nella costruzione, sviluppo e implementazione di alcune modalità di integrazione tra medicina del territorio e psicologia. Il nostro progetto, sorto sulla ormai decennale esperienza dei colleghi di Roma (Prof. Solano), dal 2013 sino a prima della pandemia, ha previsto incontri mensili di tutto il gruppo di lavoro, visite in copresenza medico e psicologo per due ore la settimana (del tutto gratuite), colloquio di consultazione psicologica (minimo 1, massimo 3 a tariffe calmierate), incontri di minigruppo seguendo un approccio salutogenico su tematiche inerenti il benessere e, infine, incontri pubblici per diffondere le iniziative. Rispetto a questi interventi sono stati raccolti anche dati di ricerca a cui è seguita diffusione scientifica. Sempre in questi anni, il gruppo si è dedicato anche alla formazione dei medici di medicina generale con funzione anche di tutors.
Durante la prima fase della pandemia, il nostro gruppo era sotto shock come tutti e, non capendo bene come muoverci, abbiamo dovuto sospendere le visite congiunte medico – psicologo. Ma come? In un momento in cui c'era più bisogno noi non potevamo esserci? Il gruppo si è autoriorganizzato e, seppure nelle differenze di ciascuna coppia medico – psicologo, abbiamo cercato di declinare in modo creativo “la cura”.
Alcuni psicologi hanno offerto un ascolto telefonico gratuito ad alcuni assistiti indicati dal curante, anche rischiando di snaturare la preziosa copresenza. Questa ci è parsa, in un momento di grande confusione e incertezza, una modalità di cura che potesse tutelare tutti. In alcuni casi ritenuti necessari sono state proposte consultazioni online a tariffe calmierate. Il confronto tra medico e psicologo non è mai venuto meno e possiamo affermare che questa presa in carico, seppur minima, ha fatto davvero la differenza per alcune persone che sono state accolte e ascoltate proprio dallo psicologo che negli anni precedenti avevano incontrato presso l’ambulatorio insieme al medico.
Non ci siamo fermati qui. Abbiamo creato una piattaforma online, ancora attiva, in cui ciascuno poteva e può seguire le indicazioni di un protocollo di scrittura espressiva (ideato da tempo dal Prof. Pennebaker) denominato
#IoRestoaCasaeScrivo#. Ciascuno poteva e può inviare in forma anonima le proprie riflessioni circa situazioni traumatiche che ha vissuto o che sta vivendo, oppure può semplicemente attenersi alle indicazioni fornite dal protocollo e scrivere, tenendo però per sé quanto prodotto. Tutti i dati raccolti sono stati riportati in una recente pubblicazione internazionale.
In quel periodo, ma purtroppo anche ora, la sensazione è di non fare mai abbastanza per gli assistiti, oppure di riuscire sì “a fare qualcosa”, ma anche di trovarci ad osservare, talvolta impotenti, “valanghe” che continuano a cadere. Insieme a questo sconforto c’è una cosa che sentiamo ci ha consentito di non essere travolti, a nostra volta, da analoghe valanghe: la forza del nostro gruppo di lavoro. Proprio in quella quarantena infinita, ci siamo incontrati online non una volta al mese, bensì due. Il confronto, il sostegno, la ricerca di soluzioni inedite sono stati in quella circostanza un modo per riuscire a mantenere un senso di realtà, per sentirci vicini anche nel momento in cui due dei nostri medici si sono infettati.
E ora, cosa stiamo facendo? Cosa possiamo rispondere alle domande di Mario Sellini?
Oltre ad essere presenti durante alcune telefonate tra il medico e i pazienti COVID a domicilio, alcuni di noi hanno ripreso le visite in copresenza, laddove le dimensioni dell’ambulatorio lo consentano; altri medici invece hanno preferito sospendere la copresenza per ragioni di sicurezza legate alle dimensioni dello studio ma tramite mailing list, costruite nel corso di questi anni, mantengono un legame a livello emotivo e psicologico.
In ogni caso, l’obiettivo a lungo termine è di far sentire accompagnati i pazienti già in questa fase, per poter riprendere successivamente in gruppo (online) o in individuale uno spazio di elaborazione di un momento così critico in cui la dimensione personale è evidentemente interconnessa a quella familiare, sociale e istituzionale.
Siamo ben consapevoli che il nostro lavoro rappresenta una goccia nell’oceano, tuttavia auspichiamo che altri colleghi possano essere sensibili nell’aiutarci a diffondere questa “buona pratica” in cui medici, assistiti e psicologi siano insieme soggetti attivi nel processo di costruzione della salute. Per fare questo non servono grandi risorse economiche o creazione di nuovi spazi, in quanto gli ambulatori dei medici rappresentano il setting più prossimo, immediato e stabile nel tempo per i cittadini di qualunque età e posizione sociale.
Vogliamo concludere aggiungendo un ulteriore interrogativo a quelli posti dal Segretario, ossia: “Chi si prende cura, in questo momento, di chi cura”? Riteniamo che una possibile risposta, immediata e che esula da un approccio assistenzialistico del miraggio di risorse economiche che arriveranno, stia ancora una volta nella sinergia emergente dall’integrazione medico – psicologo. Il lavorare insieme, e sapere riflettere con gli altri colleghi sulla pratica a due, è uno dei modi migliore per occuparci di noi che curiamo.
Claudia Zamin
Ph.D, Psicologo-Psicoterapeuta
Membro del gruppo Medico&PsicologoInsieme