La vicenda del
procedimento disciplinare avviato dall’Ordine dei Medici di Bologna a carico dell’Assessore alla Salute dell’Emilia-Romagna Sergio Venturi consente di svolgere qualche riflessione generale sull’impegno istituzionale dei sanitari e sui compiti istituzionali degli Ordini delle professioni sanitarie.
Come si è appreso dagli organi di informazione, nel 2016 la Giunta regionale emiliana ha adottato su proposta del Dott. Venturi una delibera che dettava linee di indirizzo sul 118, prevedendo la
legittimità della presenza degli infermieri sulle ambulanze senza la presenza del medico.
Il contenuto della delibera è corretto e non possono esserci dubbi sul punto. Ciò che però qui importa sottolineare è che quella stessa delibera è stata dettata su decisione del massimo organo di governo di una Regione nell’esercizio delle sue funzioni di indirizzo politico-amministrativo.
È davvero difficile immaginare sia la natura dell’illecito disciplinare che potrebbe essere contestato al Dott. Venturi, sia l’esistenza stessa del potere disciplinare in capo all’Ordine visto che, dopo la riforma Lorenzin, l’art. 1, lett. l) del decreto 233/1946, gli Ordini devono tenere conto della normativa nazionale e regionale vigente e delle disposizioni contenute nei contratti e nelle convenzioni nazionali di lavoro, nessuna delle quali in questo caso sembrano essere state violate.
Ma lasciando comunque ai giuristi valutare i profili di legittimità dell’azione disciplinare in esame, è chiaro che mettere il Dott. Venturi sotto procedimento significa perseguire un presunto illecito deontologico da questo commesso in qualità di medico.
Sennonché, nel caso specifico, egli
ha agito come Assessore regionale e pertanto non può certamente dubitarsi del fatto che egli abbia svolto funzioni volte alla cura di un interesse generale, che nulla hanno a che vedere con l’esercizio della professione medica. Né può certamente dirsi che, in quanto medico, egli non avrebbe dovuto proporre e concorrere (con gli altri componenti della Giunta) ad adottare un atto che si vorrebbe contrario alla categoria medica.
Quando si è parte di organi politici e istituzionali si devono fare gli interessi pubblici e generali, non quelli di parte, che siano individuali, associativi o corporativi. Anche perché non consta che la legge preveda che professionisti o esperti siano incompatibili a ricoprire cariche istituzionali nei settori di competenza o in cui svolgono la loro attività lavorativa.
Altrimenti bisognerebbe arrivare all’assurdo di dire che l’Assessore alla salute non può mai essere un esercente la professione sanitaria, in quanto di per sé incompatibile, con il risultato di non potersi avvalere in un settore che sappiamo specialistico di soggetti competenti, che possono mettere a frutto le loro esperienze e conoscenze.
La vicenda in questione pone poi il problema dei poteri e delle funzioni degli Ordini delle professioni sanitarie.
Oltre ai poteri disciplinari di cui si è detto, dopo la riforma della legge Lorenzin vengono in evidenza soprattutto due norme del decreto 233/1946: l’art. 1, lett. a), che prevede che gli Ordini agiscono quali organi sussidiari dello Stato per tutelare gli interessi pubblici, garantiti dall’ordinamento, connessi all’esercizio professionale; l’art. 1, lett. h), secondo cui concorrono con le autorità locali e centrali nello studio e nell’attuazione dei provvedimenti che possano interessare l’Ordine.
È evidente che
gli Ordini sono chiamati a svolgere funzioni “alte”, di interesse pubblico generale, in via sussidiaria rispetto allo Stato e comunque concorrendo con gli enti e gli organi pubblici statali e locali.
Gli Ordini delle professioni sanitarie sono cioè chiamati “ad alzare l’asticella” delle loro azioni, abbandonando la logica meramente corporativistica per assumere finalmente quel ruolo, al cui rispetto da sempre la FNOPI richiama il sistema ordinistico degli Infermieri, di enti pubblici fondamentali per garantire la tutela della salute e la corretta organizzazione e gestione del servizio sanitario nazionale.
Per questo
compito di un Ordine sanitario è confrontarsi con una Regione rispetto al contenuto di una delibera, facendone oggetto di discussione e pure di critica, ma non attaccare disciplinarmente chi ha concorso ad adottarla, così privilegiando quell’approccio personalistico, ormai dilagante, che va solo a danno delle nostre istituzioni pubbliche.
Fnopi