Farmaci biologici: una nuova sfida per i sistemi di approvvigionamento
Libertà prescrittiva del clinico, continuità terapeutica e sostenibilità. Questi i valori alla base della ricerca di nuovi modelli di approvvigionamento dei farmaci biologici originator e dei rispettivi biosimilari, anche alla luce delle norme previste dal nuovo Codice degli Appalti e della nuova Legge di Bilancio. Proprio in questa direzione vanno i tavoli di confronto tra personale medico e amministrativo, farmacisti e farmacologi organizzati da QuintilesIMS*.
31 MAR - Ai tavoli di lavoro organizzati da QuintilesIMS* con il contributo non condizionato di Janssen, farmaceutica di Johnson & Johnson, personale medico e amministrativo è stato chiamato a confrontarsi sulle modalità di approvvigionamento dei farmaci biologici originator e dei rispettivi biosimilari da parte delle Aziende Sanitarie alla luce delle norme previste dal nuovo Codice degli Appalti e della nuova Legge di Bilancio.
L’esclusione della sostituibilità automatica tra biologico originator e biosimilare, la scadenza brevettuale di numerosi farmaci biotecnologici (trastuzumab, rituximab, bevacizumab, cetuximab, adalimumab …) e il prossimo ingresso dei loro biosimilari complicheranno lo scenario e rendono sempre più urgente la ricerca di nuovi modelli di approvvigionamento in grado di assicurare ai pazienti i farmaci di cui hanno bisogno, garantendo libertà prescrittiva del clinico, continuità terapeutica e sostenibilità.
La realtà odierna del Sistema Sanitario Nazionale deve tenere conto di almeno due principi generali: la salute del paziente e i costi. La situazione economica rende purtroppo sempre più pressante l'influenza del secondo fattore e ciò è particolarmente vero per i farmaci biologici. Frutto della ricerca scientifica più all'avanguardia, questa categoria di farmaci rappresenta ad oggi una solida certezza per molte malattie prima molto difficili da combattere e una concreta speranza per tante altre in futuro; sono chiamati “biologici” perché rispetto a quelli tradizionali sono delle molecole proteiche complesse che mimano alcune sostanze presenti nel nostro corpo e agiscono su uno specifico recettore con lo scopo di modificare il processo della malattia. L'altra faccia della medaglia rappresenta il costo, spesso altissimo, di questi prodotti che deriva non solo dalla lunga attività di ricerca che ha permesso di metterli a punto, ma anche dalla complessità necessaria per produrli.
Per questo motivo i farmaci biologici rappresentano sì un prestigioso traguardo della scienza, ma anche un grande problema per la sanità pubblica, alle prese con bilanci sempre più tirati. In questo solco si inseriscono i farmaci biosimilari che nascono a seguito della scadenza brevettuale dei biologici detti “originatori” o “originator”. Tuttavia essi rappresentano un caso a parte rispetto alla dicotomia farmaci originali/equivalenti, in quanto diversamente da questi, per i farmaci biologici non è raccomandata l’interscambiabilità automatica. Non si tratta di principi attivi di sintesi ma di farmaci che richiedono un processo produttivo complesso che parte da una cellula vivente di mammifero modificata geneticamente. Non a caso i biologici non sono mai stati inseriti nelle liste di trasparenza.
Che i biosimilari possano rappresentare una prospettiva interessante è ormai chiaro a tutti: offrendo un potenziale vantaggio economico e contribuendo alla sostenibilità finanziaria dei sistemi sanitari, possono supportare l’accesso dei pazienti alle nuove opzioni terapeutiche.
Su questi temi, da due anni QuintilesIMS* porta avanti un progetto che mira a stimolare il confronto tra clinici e payor sui sistemi di approvvigionamento dei farmaci biologici che nel tempo e in diversi tavoli interdisciplinari ha messo a confronto specialisti di diverse aree terapeutiche (nefrologi, reumatologi, dermatologi, ematologi …), farmacologi, immunologi clinici, farmacisti ospedalieri e farmacisti ASL provenienti da diverse realtà regionali.
In questo percorso partecipato QuintilesIMS si sta ora focalizzando sulle singole realtà regionali.
Al centro del confronto le modalità di approvvigionamento dei farmaci biologici da parte delle Aziende Sanitarie. Le gare, storicamente nate in ospedale per gestire co-marketer di prodotti chimici/principi attivi equivalenti e non farmaci biotecnologici, per come oggi concepite, appaiono ormai obsolete ed inadeguate per gestire una complessità accresciuta e un inevitabile aumento della conflittualità (fra clinici e payer, fra payer e aziende farmaceutiche…), dei ricorsi e delle spese legali per sostenerli, in particolare in quelle realtà che contemplano il lotto unico o escludono o rendono difficoltosa la continuità terapeutica nel paziente stabilizzato con originator.
Il primo tavolo regionale, moderato dal professor Francesco Scaglione, direttore della Scuola di Specializzazione in Farmacologia Clinica presso l'Università di Milano, si è svolto nelle scorse settimane a Milano con la partecipazione del dottor Marco Gambera, direttore del Servizio Farmaceutico Territoriale ATS di Bergamo; l'avvocato Alessandro Lolli, Ordinario di Diritto Amministrativo e Diritto degli Appalti all'Università degli Studi di Bologna; il professor Francesco Locatelli, direttore Emerito Dipartimento di Nefrologia, Dialisi e Trapianto, all'Ospedale Manzoni di Lecco; il professor Agostino Cortellezzi, direttore dell'Unità Operativa Complessa di Oncoematologia al Policlinico di Milano e il dottor Fiorenzo Corti, Segretario Regionale FIMMG (Federazione Italiana Medici di Medicina Generale).
Alla luce delle difficoltà economiche con cui i vari sistemi devono confrontarsi, nelle Regioni italiane questo problema è stato affrontato con modalità differenti: alcune hanno imposto ai clinici l’uso dei farmaci biosimilari per ragioni di sostenibilità, altre hanno individuato sistemi di approvvigionamento più flessibili garantendo la disponibilità sia di originator, sia di biosimilari e tutelando così la libertà prescrittiva del medico.
Decidere un approccio al posto di un altro non è una scelta che può essere fatta alla leggera, diversamente da quanto accade per i farmaci equivalenti, per i biologici non è raccomandata l’interscambiabilità automatica: lo switch può avvenire solo per motivi clinici e non può mai scontrarsi con il diritto del paziente alla continuità terapeutica. Diritto garantito per legge.
L'obbiettivo dunque non è la scomparsa degli originator, ma una progressiva riduzione del loro costo che potrebbe avvenire gradualmente e senza scosse. La via dell'imposizione appare in tal senso la più pericolosa: le forzature indispettiscono e creano forti tensioni tra clinici e payors e non è neanche scontato che i risparmi economici così ottenuti possano essere reinvestiti in altri ambiti con successo.
Bisognerebbe dunque puntare ad ottenere un prezzo medio per i biologici che possa consentire un trattamento appropriato e sostenibile dei pazienti lasciando la libertà prescrittiva al clinico.
Il biosimilare, nelle indicazioni approvate, rappresenta un'opportunità di risparmio, condivisa anche dal clinico, nel paziente drug naive. La continuità terapeutica va però garantita per motivi clinici. Lo switch in medicina è sempre stato effettuato per motivi clinici (ricerca di una maggior efficacia o di una migliore tollerabilità): perché effettuare uno switch in un paziente stabilizzato solo per motivi economici? Il biologico in sé include un grado di rischio di effetti collaterali e ogni individuo è a sé, lo switch di per sé espone a variazioni di efficacia e di safety imprevedibili esponendo il clinico anche da un punto di vista medico-legale. Il medico accetta il rischio per un farmaco se lo ritiene vantaggioso, non per motivi economici. Difficilmente un magistrato potrebbe accettare motivazioni economiche.
Rispetto a quanto emerso dai lavori è apparso chiaro che imporre il biosimilare sempre e comunque va a scontrarsi con il diritto alla continuità terapeutica del paziente che, se mostra una buona risposta terapeutica al trattamento e non manifesta effetti collaterali, ha diritto di proseguire con il farmaco di partenza; al contrario impuntarsi sull'uso del farmaco biologico originator sempre e comunque fa lievitare i costi, impedendo di fatto l'accesso alla cura per tanti altri malati che pure vantano lo stesso diritto alla salute di un paziente arrivato prima.
La mediazione resta dunque la strada maestra da seguire, ma la soluzione non è semplice.
Un modello di approvvigionamento con gare d'appalto a lotto unico non appare il sistema migliore nel caso dei farmaci biologici non essendo prevista la sostituibilità automatica. Secondo la nuova Legge di Bilancio (comma 407) continuerà infatti a non essere consentita la sostituibilità automatica tra farmaco biologico di riferimento e un suo biosimilare. L’esistenza di un rapporto di biosimilarità tra un farmaco biosimilare e il suo biologico di riferimento sussiste solo se accertato da EMA o da AIFA.
Sempre la nuova Legge di Bilancio (comma 407), stabilisce che le procedure pubbliche di acquisto dei farmaci biologici dovranno svolgersi mediante utilizzo di accordi-quadro con tutti gli operatori economici quando i medicinali sono più di tre a base del medesimo principio attivo.
Una alternativa proposta nel tavolo di lavoro è quella di accordi-quadro in multifornitura (anche in market place) previsti dal nuovo Codice degli Appalti, poco diffusi perché il nuovo codice è recente, ma comunque già una realtà in ambito sanitario (es. fornitura di letti ospedalieri).
Il nuovo codice degli appalti non prevede il prezzo più basso ma il prezzo economicamente più vantaggioso e proibisce il massimo ribasso, consentendo anche di fissare limiti di ribasso massimo (per evitare eccessivi ribassi e prezzi dumping). L’accordo-quadro in multifornitura è una gara che prevede la possibilità di acquistare più farmaci da diversi fornitori a seguito della pubblicazione di specifici bandi (imprese pre-selezionate tramite gara), con prezzi di riferimento e % di acquisto per ciascun prodotto, valorizzandone diversità e peculiarità. Si tratta di una sorta di market place, un paniere da cui il clinico può attingere e scegliere tra più fornitori e permetterebbe di conciliare le esigenze dei clinici e dei payer, garantendo libertà prescrittiva al clinico e continuità terapeutica al paziente, con un’attenzione particolare alla sostenibilità del sistema.
Sul fronte della sicurezza del paziente una delle carenze odierne del sistema è la farmacovigilanza, ecco perché, stando ai partecipanti al tavolo di lavoro, si renderebbero necessarie per tutti i nuovi farmaci, sia biologici che similari, misure di farmacovigilanza attiva nell’ambito di specifici piani di rischio. Le attuali normative di farmacovigilanza impongono la segnalazione degli eventi avversi, ma non implicano sanzioni a chi viene meno a quest'obbligo e soprattutto non forniscono un riscontro sulle segnalazioni stesse. I dati raccolti dovrebbero invece essere revisionati da personale esperto che sappia sistematicamente trasmettere le informazioni al territorio e agli ospedali. Per una visione esaustiva degli eventi avversi associati a un farmaco diventa essenziale anche il coinvolgimento e l’apporto dei medici di medicina generale.
Un altro elemento di novità da tenere in considerazione è che il nuovo Codice degli Appalti prevede procedure di valutazione delle imprese che partecipano alle gare pubbliche. ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione) prevedrà un rating di impresa. Quali parametri/valori aggiuntivi potrebbero essere presi in considerazione per esaminare le aziende coinvolte nelle gare indette da Aziende Sanitarie per l’acquisto di “farmaco biologici”? Nelle proposte delle future procedure di approvvigionamento si dovrà valutare il valore aggiunto dell’azienda che propone il farmaco biologico, ma sulla base di quali parametri?
Fermo restando che il primo criterio è la qualità del prodotto, garantita dall’autorizzazione all’immissione in commercio, dal tavolo di Milano arriva l’indicazione di potenziali parametri che potrebbero costituire ragionevolmente il punteggio del farmaco, tra i quali:
• Disponibilità di dati clinici nella pratica reale (real world evidence) in aggiunta a quelli relativi agli studi di registrazione (capacità di effettuare studi di fase 4);
• Strumenti di certificazione legati a processi di farmacovigilanza attiva e piani di rischio;
• Tracciabilità delle procedure di distribuzione e immagazzinamento;
• Garanzia di fornitura, episodi pregressi di stock out o altri problemi di fornitura (sarebbe auspicabile un registro nazionale per garantire la massima trasparenza);
• Formazione del personale per l’uso corretto del farmaco (unrestricted grant), interventi educazionali su farmacovigilanza …
La definizione dei parametri dovrebbe essere comunque condivisa tra le Regioni sulla base di linee guida applicabili a livello nazionale per evitare squilibri in un sistema che è già particolarmente soggetto a ineguaglianze tra le diverse Regioni.
Il tema resta aperto e bisogna anzitutto prendere atto della sua urgenza. Continuando a rimandare un approccio serio e sistematico si va incontro a difficoltà sempre maggiori sul fronte della sostenibilità dei bilanci e soprattutto si penalizza la salute dei pazienti che è e deve restare il primo obiettivo di tutti gli addetti ai lavori.