CoViD-19, influenza e morbillo, una salvifica alleanza fra vaccini
di Giovanni Di Guardo
07 GEN -
Gentile Direttore,
quella di Domenica 27 Dicembre è stata, per l'Italia, una memorabile giornata che è stata già consegnata alla Storia! Infatti, nell'incredibile lasso di tempo di soli 12 mesi dall'identificazione e dal sequenziamento genetico di SARS-CoV-2, il betacoronavirus responsabile della CoViD-19 e della drammatica pandemia che ha fatto sinora registrare almeno 80 milioni di casi su scala planetaria, 1.800.000 circa dei quali ad esito fatale, sono state somministrate al personale medico ed infermieristico operante all'interno di varie strutture sanitarie del nostro Paese le prime dosi del vaccino prodotto congiuntamente dalla Pfizer e dalla BioNTech e basato sull'innovativa tecnologia dell'RNA messaggero.
Premesso che altri vaccini basati sulla medesima (vedi quello messo a punto da Moderna) o su altre tecnologie (vedi quello prodotto da Oxford-AstraZeneca) hanno da poco ricevuto o stanno altresì per ottenere le relative approvazioni da parte delle Autorità e/o Agenzie preposte a livello statunitense (FDA), europeo (EMA) ed italiano (AIFA), la grande sfida che ora ci attende è quella di vaccinare buona parte della popolazione italiana, così come di quella europea e mondiale, al precipuo fine di poter conseguire - auspicabilmente entro la fine del 2021 - la cosiddetta "immunità di gregge", fattispecie quest'ultima che trova il suo indispensabile prerequisito nel fatto che almeno il 70% della popolazione venga sottoposto alla vaccinazione anti-CoViD-19.
Nelle settimane scorse si è fatto un gran parlare delle "varianti" di SARS-CoV-2 identificate nel Regno Unito ed in Sudafrica, che hanno fatto seguito a quella che si è "selezionata", per così dire, fra i visoni allevati nei Paesi Bassi e in Danimarca e che da questi ultimi si è quindi trasferita all'uomo. Per quanto questi fenomeni vadano monitorati con la massima cura e attenzione e per quanto gli stessi possano costituire fondati elementi di preoccupazione, non andrebbe tuttavia dimenticato che anche i coronavirus, al pari di tutti gli altri virus a RNA (quali più, quali meno), sono costantemente soggetti nel tempo a mutazioni dei rispettivi genomi che, ove di grado contenuto, non dovrebbero rappresentare, di regola, un motivo di allarme, ivi compresa la possibilità che i ceppi virali mutati non vengano adeguatamente riconosciuti dalla risposta immunitaria elaborata dell'ospite nei confronti dei vaccini.
Nel caso delle succitate varianti di SARS-CoV-2 (così come di altre identificate in Italia, in Europa e nel mondo), infatti, la percentuale di mutazioni presenti a livello della proteina S ("Spike protein") - grazie alla quale il virus è in grado di entrare nelle nostre cellule - non giustificherebbe al momento elementi di preoccupazione sufficienti a ritenere che questi ceppi virali mutati possano "eludere" l'immunità conferita dai vaccini anzidetti nei confronti della proteina S "in toto". Senza poi contare il fatto che per qualsivoglia virus, che è un agente biologico che non può prescindere, in alcun modo, dalle cellule di un organismo vivente per vivere e riprodursi, avere di fronte a sè una "platea" di quasi 8 miliardi di esseri umani da infettare, equivale a dire che quel virus ha fatto "bingo"!
È stata giustamente sottolineata, a più riprese, anche l'utilità della vaccinazione anti-influenzale "di massa", al precipuo fine di rendere più agevole la diagnosi della CoViD-19, viste e considerate le strette analogie clinico-sintomatologiche che la "classica influenza stagionale" presenta rispetto alle forme "paucisintomatiche" di CoViD-19 - di gran lunga più frequenti, unitamente alle forme asintomatiche, rispetto a quelle gravi nella popolazione generale -, oltre che allo scopo di evitare la comparsa di quadri clinico-patologici associati d'influenza e di CoViD-19.
Assai meno si è parlato, di contro, dei grandi benefici conferiti dalla vaccinazione di massa nei confronti del morbillo, una malattia che causa tuttora, su scala globale, non meno di 100.000 decessi su base annua ed il cui agente causale è un virus a RNA (un morbillivirus) in grado di trasmettersi da uomo a uomo con una facilità sorprendente e ben superiore rispetto a quella propria di SARS-CoV-2 e che, in quanto tale, ha pochissimi "uguali" fra i virus a tutt'oggi conosciuti. A tal proposito, il Dr Mina ed altri studiosi poco più di un anno fa hanno descritto, sulle pagine della prestigiosa Rivista Science, il meccanismo patogenetico attraverso il quale il virus del morbillo sarebbe capace d'indurre una singolare condizione di "amnesia immunitaria" nei pazienti infetti. Ciò equivale a dire che il sistema immunitario di un individuo che dovesse sviluppare il morbillo "si dimenticherà", per così dire, di tutti gli agenti biologici, virali e non, che quello stesso soggetto dovesse avere "incontrato" in precedenza a seguito di un'infezione naturale, così come pure a seguito di una vaccinazione.
Ciò premesso, proviamo ad mmaginare, per un solo istante, quale "catastrofe" potrebbe avere origine dal "ritorno" del morbillo in un contesto d'immunità di gregge già acquisita dalla popolazione generale - per via vaccinale, auspicabilmente entro la fine del 2021 - nei confronti della CoViD-19, ragion per cui mai e poi mai dismettere, senza la benché minima esitazione, le campagne di vaccinazione di massa nei confronti del virus del morbillo!
Prof. Giovanni Di Guardo
Docente di Patologia Generale e
Fisiopatologia Veterinaria,
Università di Teramo,
Facoltà di Medicina Veterinaria
07 gennaio 2021
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