Per combattere la solitudine, per non perdere la tenerezza
di Marco Geddes da Filicaia
20 OTT -
Gentile Direttore,
la diffusione del Coronavirus, ci ripropone un dilemma morale, rispetto alla tutela della salute degli anziani, in particolare nelle RSA, nonché dei ricoverati, anche in condizione critica e, per alcuni, in fase terminale. Il dilemma fra affetti e supporto psicologico da un lato e interruzione dei contatti con l’esterno, vale a dire con parenti, amici, con quanto rende una vita, “vita”, e che per le persone in età avanzata o per coloro in cui una malattia consente, con ogni probabilità, uno spazio di vita limitato, sono legami che, ora interrotti, non si riannoderanno.
La scelta che è stata effettuata nei mesi passati e che si sta proponendo ora è quella di interrompere i cosiddetti “contati con l’esterno”, quale provvedimento provvisorio e temporaneo (ma che per alcuni diventa definitivo…) seppure consapevoli delle sofferenze che questa scelta comporta, sia per la persona ricoverata sia per amici e congiunti.
Uno degli effetti collaterali di questa pandemia, cosicché un elemento che emerge in quasi tutti i racconti di pazienti (e anche di operatori) “ …è la solitudine: quella di chi non ha potuto vedere i propri figli, i genitori, i compagni. La solitudine più dolorosa, però, è stata quella delle persone malate, sofferenti, che in solitudine sono morte” (dal libro: Emozioni virali. Le voci dei medici dalla pandemia, Il Pensiero scientifico editore). Al dolore per la perdita del parente, dell’amico, si aggiunge il dramma di non aver accompagnato e assistito la persona amata, la impossibilità ad una “elaborazione del lutto”, la difficoltà che è emersa nei mesi scorsi, in vari casi, non solo di vedere la salma, di assistere al rito funebre, ma perfino di rintracciarne il luogo di sepoltura.
Si sceglie, fra rischi del contagio (e della diffusione del virus) e lesione degli affetti e limitazioni delle libertà, quello che è – momentaneamente – il male minore.
Tale scelta, tale dilemma etico, pone tuttavia un quesito: abbiamo fatto tutto il possibile per limitare il “male minore”?
Gli interventi strutturali, tecnologici, organizzativi, procedurali hanno tenuto conto di tale problematica? Come l’hanno affrontata? Con quali strumenti?
All’inizio di questa epidemia ci siamo trovati impreparati e la carenza di mezzi di protezione non consentiva di dotare i visitatori di abbigliamenti idonei, mascherina, schermi protettivi che prioritariamente dovevano essere destinati agli operatori. Ci siamo necessariamente focalizzati sulle tecnologie biomediche per il sostegno vitale e il monitoraggio dei pazienti. Abbiamo costruito o ampliato i reparti di terapia intensiva.
Da quella fase emergenziale sono passati molti mesi e ora abbiamo il dovere di far fronte anche alla riduzione del “male minore”, a limitare la solitudine, a non perdere la tenerezza, a non affidarci per tali azioni solo alle “nude mani” degli operatori e alla loro capacità di abbracciare con lo sguardo. Dobbiamo assumere tutti i provvedimenti utili su questo fronte, anche per limitare la paura di “finire in ospedale”; paura, e talora terrore, di essere distaccato per sempre dagli affetti più cari, che porta fra l’altro a ritardi diagnostici, a dilazione nella somministrazione delle terapie e ad un aumento delle complicanze e della mortalità anche per altre patologie.
E’ un dovere morale affrontare questo problema. Risulta pertanto necessario:
• Favorire il colloquio diretto fra parenti e ospiti nelle residenze sanitarie, predisponendo spazi adeguatamente compartimentati, in cui la relazione visiva e vocale sia pienamente assicurata. Perfino carceri e penitenziari sono dotati di parlatorio con adeguate separazioni.
• Organizzare, nei casi in cui elementi affettivi e sanitari (pensiamo in particolare a situazione di aggravamento, a fasi terminali) lo richiedano, la presenza della persona cara adeguatamente istruita ed equipaggiata.
• Sviluppare sistemi di collegamento visivo e uditivo dimensionalmente ed ergonomicamente appropriati a persone allettate e anziane, al fine di facilitare la continuità di rapporti con l’esterno.
• Predisporre, in caso di decesso di persona sola, adeguate procedure per conservare la salma per un periodo congruo e per attivare contestualmente le opportune ricerche al fine di rintracciare i parenti prima di procedere a sepoltura o incenerimento.
Marco Geddes da Filicaia
20 ottobre 2020
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