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Il medico di famiglia dipendente non sarà più “di famiglia”

di Roberto Bellacicco

16 LUG - Gentile direttore,
l’autunno di lotta sindacale annunciato da FIMMG riapre questioni mai risolte e solo momentaneamente passate in secondo piano dall’emergenza Covid-19. Ciò che preoccupa maggiormente la categoria è l’ipotesi di passaggio alla dipendenza che sta progressivamente acquisendo consenso tra esponenti politici (Lega Nord e M5S – On. Menga).
 
Nel 1978, con una certa lungimiranza, il legislatore aveva voluto un medico di famiglia con il compito non solo di curare ma anche di difendere i diritti del paziente, probabilmente già ipotizzando una deriva aziendale della sanità italiana. Per fare questo il medico di famiglia doveva necessariamente essere libero ed indipendente dalle aziende sanitarie (anni ’90) perché nella scelta tra difendere l’azienda e difendere il paziente avrebbe sempre dovuto scegliere la seconda opzione anche a costo, come poi è effettivamente avvenuto, di scontrarsi con i manager aziendali.
 
Il legislatore ha anche voluto uno schema di lavoro flessibile ed adattabile, non limitato ad un badge e ad un orario di lavoro prestabilito ma in grado di adattarsi alle esigenze in continuo cambiamento del territorio.
 
La flessibilità del medico di famiglia ha consentito infatti di adattarsi al progressivo aumento del carico di lavoro in assistenza primaria (quasi raddoppiato nel decennio 2007-2017 secondo il report Health Search 2019 della Simg) senza pregiudicare eccessivamente l’assistenza al cittadino e cercando di compensare il taglio di posti letto voluto dal decisore politico. In altre parole quella flessibilità, in assenza di correttivi organizzativi, ha consentito di inserire in un palloncino da 2 litri ben 5 litri di acqua proprio perché il palloncino può gonfiarsi ed espandersi fino ad un certo limite. La medicina di famiglia è riuscita a farlo fino ad oggi ed ha assicurato una efficiente cura delle cronicità (rapporto OCSE – State of Health in Europe – 2019).
 
Lo status di libero professionista convenzionato con il SSN è esattamente questo: libertà e indipendenza (progressivamente ridotte) rispetto alle aziende sanitarie e flessibilità nel lavoro per adattarsi ai mutamenti in corso.
 
Perché questo status è messo in discussione non solo tra i decisori politici ma anche, aspetto ben più importante, all’interno della componente più giovane della categoria?
 
Perché quel famoso palloncino è andato ben oltre il limite consentito dalla sua elasticità e perché le aziende sanitarie hanno cominciato da alcuni anni un’opera di ostruzionismo organizzativo, contrattuale e culturale nei confronti della MG. In una sanità italiana ingabbiata da regole economicistiche avere una figura difficilmente controllabile è un problema per i manager sanitari. Questa è la reale motivazione alla base del task shifting che sta coinvolgendo tutti i medici e in particolare quelli convenzionati.
 
Un contratto nazionale bloccato nei suoi principi fondamentali al 2005 e quindi non più adeguato ai tempi che sono nel frattempo mutati ha creato un malcontento generalizzato che non può ricevere risposte esclusivamente dall’aumento contrattuale di un paio di euro specialmente per chi ha davanti a sé 30 anni di professione. Basti pensare ai temi sull’accesso libero, sulla reperibilità, sui vincoli prescrittivi, sui micro team, sulle mancate tutele INAIL, sul fenomeno della prescrizione indotta e sul compenso eccessivamente sbilanciato verso la quota capitaria.
 
Il malcontento in crescita di una parte della categoria è il principale alleato di chi vuole la dipendenza perché chi si trova a piedi nudi sui tizzoni ardenti ha solo voglia di scappare, senza preoccuparsi troppo di dove andare. Il malcontento contrattuale va di pari passo con quello formativo dove l'atteggiamento attendista, se non francamente conservatore, di parte della categoria sul CFSMG ha prodotto una spinta sempre più forte verso la formazione universitaria e il riconoscimento, richiesto da Fnomceo nel 2018 ma non ancora attuato, di titolo di specialista in medicina generale.
 
La dipendenza può in effetti piacere alla parte più giovane della categoria perché risponde maggiormente all'ambiente culturale in cui si è formata ovvero l’ospedale universitario dove la MG non viene né conosciuta né insegnata a causa dello storico e controproducente muro contro muro tra università e categoria. Avere ferie, tfr, tutele inps/inail e uno stipendio fisso con 13esima può far passare in secondo piano un aspetto cruciale della dipendenza: essere dipendenti di un direttore generale che deve a sua volta rendere conto alle esigenze di bilancio dell'azienda e alle esigenze politiche dell’amministratore pubblico che lo ha nominato.
 
Spetta a ciascun medico la strada che più preferisce ma il paziente deve sapere che il medico di famiglia dipendente rientrerà all'interno di uno schema aziendale che non sempre riesce a rispondere alle esigenze dei cittadini sul territorio. Niente più telefonate alle 22, niente più libera scelta, niente più risoluzione di problemi e conseguenti soluzioni per tappare i buchi di un sistema cronicamente definanziamento.
Un medico di famiglia non più “di famiglia”.
 
Roberto Bellacicco
Medico in formazione spec. in Medicina Generale
Taranto
 


16 luglio 2020
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