Mutilazioni genitali femminili: oltre la Giornata mondiale serve un cambiamento sociale
di Aldo Morrone
06 FEB -
Gentile direttore,
oggi, 6 febbraio, si celebra la Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili (Mgf). Una ricorrenza che anche quest’anno ci spinge a rinnovare il nostro appello a riflettere su una pratica da condannare in maniera assoluta, ma che potrà essere cancellata solo se si consentirà alle donne di poter ricorrere magari ad un’alternativa positiva, “gioiosa” (il passaggio fisiologico in cui non si è più considerate bambine può tramutarsi in un evento da festeggiare), senza in ogni caso dar loro la sensazione di tradire così la propria cultura d’origine. In tal modo, le donne saranno disposte ad accettare l’abbandono di questa pratica pericolosa, garantendo il futuro delle loro bambine senza ferirle nella loro intimità corporea e psicologica.
Ma andiamo con ordine. L’intensificarsi dei flussi migratori ha permesso di entrare in contatto con modalità altre di vivere la corporeità e la sessualità. Nel giro di pochi anni, ci si è trovati di fronte a comportamenti e pratiche in gran parte sconosciute. Le Mgf sono una pratica tradizionale (vietata in Italia per effetto della Legge n.7 del 2006, che la considera un grave reato), slegata da qualsiasi religione, e diffusa prevalentemente in Africa, dove interessano almeno 30 Paesi della fascia sub-sahariana, dalla Mauritania al Senegal ad Ovest, fino ai Paesi del Corno d'Africa (Somalia, Etiopia, Eritrea, Gibuti) ad Est; mentre a Nord arrivano a includere l’Egitto, ed a Sud la Tanzania, lambendo anche il Mozambico. Ma sono presenti anche in Iran, in Indonesia e in altri Paesi.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha stimato che siano già state sottoposte alla pratica oltre 200 milioni di donne nel mondo, e che oltre 3 milioni di bambine siano a rischio ogni anno. Le Mgf portano con sé gravissime conseguenze sul piano psico-fisico, sia immediate che a lungo termine, oltre che pesanti danni psicologici e sociali.
Oggi il fenomeno interessa direttamente anche i Paesi di destinazione dei flussi migratori, tra cui l’Italia; del fenomeno si parla tuttavia troppo spesso in termini allarmisti, sensazionalisti, e non scevri da pregiudizi culturali ed ideologici. Tutto ciò ha fornito un’immagine distorta della realtà e della diffusione delle mutilazioni, creando un muro interpretativo tra gli operatori sanitari, i mediatori e la popolazione coinvolta. Da oltre 30 anni l’Istituto San Gallicano (IRCCS) porta avanti, in Africa e in Italia, un’attività di assistenza e di ricerca clinica caratterizzata da un approccio transdisciplinare e dalla sensibilizzazione e la partecipazione, consapevole e professionale degli operatori, dei medici e dei mediatori culturali. Non si può infatti affrontare il tema delle mutilazioni genitali senza collegarlo a quello dell’affettività e della sessualità, senza sollevare l’importanza dell’incontro, delle relazioni, della traduzione in comportamenti e in azioni di emozioni, sentimenti e stati d’animo. Si tratta dell’essere uomo e dell’essere donna, dei ruoli e delle funzioni, delle somiglianze e delle differenze tra i generi.
Nonostante l’impegno nel cercare di accelerare i processi di abbandono delle pratiche sia in costante aumento, c’è ancora molto da fare. In quest’ottica, la formazione del personale socio-sanitario ed educativo può fornire notevoli contributi per una ridefinizione della problematica e delle strategie volte all’eradicazione del fenomeno. I medici occidentali spesso non hanno familiarità con le Mgf. Oltre ad una assenza di conoscenze cliniche delle procedure delle Mgf e delle sue complicanze, mancano anche le conoscenze sulle credenze e le tradizioni socioculturali che la sottendono. È necessario che le autorità europee creino un ambiente che non favorisca l’(ulteriore) emarginazione delle donne immigrate. Ad esempio, le leggi sull’immigrazione e l’asilo dovrebbero essere valutate in base a come colpiscono l’identità della persona e a quali potrebbero essere i potenziali legami con gli immigrati a favore delle Mgf. Le donne dovrebbero essere in grado di chiedere asilo politico per proprio conto e non solo come persone dipendenti dagli uomini. È necessario rendere le bambine consapevoli della possibilità di cercare aiuto e rifugio ad esempio attraverso linee telefoniche speciali, la scuola, servizi sociali e strutture di ricovero per le donne maltrattate che sono fondamentali per le necessità di questa popolazione target.
L’obiettivo del nostro appello è non solo quello di contrastare la Mgf, ma anche di riconoscere alle donne africane, e non solo, maggiori diritti. Non è solo un problema sanitario, è anche un mezzo per controllare la sessualità femminile. Quindi non combattiamo solo per l’eradicazione della Mgf come tale. Si tratta di una violenza di genere, che umilia la donna e nella sua sessualità. Questo significa che il nostro messaggio non è solo “non praticate la Mgf”: puntiamo piuttosto a facilitare un cambiamento sociale che veda la donna protagonista della sua vita.
Aldo Morrone
Dermatologo e infettivologo, direttore scientifico dell'Istituto San Gallicano (IRCCS) di Roma
06 febbraio 2019
© Riproduzione riservata
Altri articoli in Lettere al direttore