No alle “quote rosa”, a noi donne basterebbero le “quote per merito”
di Mirka Cocconcelli
28 GEN -
Gentile Direttore,
sono una donna, un chirurgo-ortopedico donna, a cui piace lavorare con colleghi, donne e uomini, indistintamente. Le donne non sono più brave degli uomini, così come gli uomini non sono più bravi delle donne.
Considerato che le intelligenze e le competenze sono equamente distribuite tra sessi, ritengo che sia interesse delle istituzioni non privarsi del contributo fattivo della sua ampia componente femminile, visto che due terzi del personale SSN è donna.
L’11 dicembre 2015, all'Arcispedale Santa Maria Nuova, a Reggio Emilia, durante il Congresso nazionale delle donne in neurochirurgia è emerso che le stesse neurochirurghe hanno detto no alle 'quote rosa' e sono scese in campo in prima persona per discutere temi che sono spaziati dalle pari opportunità professionali, ai tumori cerebrali, passando per epidemiologia e distribuzione gender correlata
(Neurochirurghe in congresso, no a quote rosa ma in Italia vita dura, ADNKronos Salute 7 Dic 2015).
Le neurochirurghe hanno definitivamente bocciato le quote rosa aspirando invece a conquistarsi quei ruoli finora appannaggio degli uomini.
Certo, per noi donne, è più difficile emergere ma anche più stimolante, in quanto il grado di civiltà di un popolo si misura altresì dalla posizione sociale raggiunta dal gentil sesso .
Alle donne che lavorano in ambienti prettamente maschili (leggasi giornaliste, magistrate, economiste, metal-meccaniche, politiche, chirurghe, etc.) nessuno ha regalato niente e tutto quello che hanno ottenuto se lo sono guadagnato con sacrifici, tanti sacrifici!
A mio avviso le norme che impongono per statuto di inserire “quote rosa ” in organismi pubblici violano il principio di uguaglianza fra i generi e non c’è peggiore ingiustizia dell’uguaglianza fra disuguali, pertanto, provo un’istintiva repulsione ed idiosincrasia per sistemi normativi di aiuto, quali le “quote rosa”, che rappresentano la negazione del sistema meritocratico e democratico e concordo pienamente con l’analisi del Prof. Cavicchi.
Allora, mi domando, perché non creare quote anche per gli omosessuali, per i bisex, che potrebbero sentirsi ugualmente discriminati?
Un approccio corretto al problema consiste nel recuperare la diversità come presupposto e come valore intrinseco, in una serena alleanza fra generi.
Al posto delle quote rosa o azzurre o arcobaleno si dovrebbero istituire “le quote di risultato”, ossia la sottoscritta viene giudicata per quello che effettivamente vale, in termini professionali/scientifici/relazionali, indipendentemente dal sesso di appartenenza, che è assolutamente ininfluente ai fini di una graduatoria meritocratica.
Non mi interessa che il magistrato che mi giudica, il medico che mi cura, il politico che mi amministra, sia maschio o femmina, è fondamentale che sia una persona tecnicamente preparata, professionalmente valida e che faccia con coscienza ed onestà il mestiere per cui è pagata.
La scarsa presenza femminile ai vertici di tutte le istituzioni/organizzazioni, private e pubbliche, è un problema effettivo e concretamente presente in tutta la società che, finora, è stata plasmata per rispondere ad esigenze e necessità prettamente maschili. Va cambiata la forma mentis, in quanto è necessario riflettere sulle diversità di genere che sono una ricchezza, un valore aggiunto, una chance per l’intera collettività ; al fine di recuperare quelle risorse umane che potrebbero andare perdute.
Io non chiedo privilegi, ma chiedo norme che mi aiutino a conciliare valori complessi come il lavoro e la cura della famiglia, senza essere obbligata a scelte drastiche fra carriera ed affetti, scelte a cui il sesso maschile, solitamente, è meno frequentemente assoggettato.
Aggiungo che se sei un medico donna con figli, il percorso è più problematico, infatti aver imboccato la carriera medica ha comportato per molte il divorzio, la scelta di rimanere single e comunque ha creato pesanti conflitti familiari
(dati II Conferenza ANAAO Assomed tenutasi a Napoli, dicembre 2016 e riportata da Adn Kronos Salute il 14 dic. 2016).
Nella black list dei problemi e delle inefficienze aggiungo scarsissime politiche a tutela della famiglia perché "Fare figli, accudirli ed educarli, non è responsabilità esclusiva del genere femminile, ma di tutta la società, se questa vuole crescere e progredire armoniosamente”.
Il calo della fertilità è ben evidente tra le donne medico che, a causa dei carichi di lavoro, hanno meno figli di quanti ne desidererebbero o rinunciano del tutto a formare una famiglia, per evidenti problemi.
Quali?
Ad esempio gli orari di apertura degli gli asili pubblici che sono inadeguati ad un lavoro articolato su tre turni (Matt., Pom., Notte) e, fortunatamente, esistono i nonni (per chi li ha!!!) che suppliscono alle carenze di orari dei nidi e materne che, ovviamente, non esplicano un servizio h 24!!!
L’avere figli spesso influisce sulla carriera, soprattutto della donna chirurgo, perchè non ha orari, perché compromette l'accesso ai ruoli apicali, perché ha meno opportunità di aggiornarsi e, per le precarie con contratti co-co-co, la possibilità di ottenere il rinnovo contrattuale.
Il grosso problema del precariato nell’ambito medico penalizza pesantemente le giovani dottoresse ed il quadro peggiora ulteriormente se si considerano le donne impiegate nelle specialità chirurgiche.
Politici che non sanno di cosa parlano (come al solito!!!) ci sbandierano il part-time come una soluzione salvifica, però neanche il part-time è una soluzione percorribile per conciliare i tempi vita-lavoro. Infatti, lo afferma l’indagine dell’ANAO Assomed del dicembre 2016, da cui emerge che l’88,6% dei medici, pur avendone necessità, non ne ha fatto richiesta per paura di ripercussioni sulla carriera. Il part time ti penalizza e non accedi ai ruoli apicali. Al di là della retorica delle quote rosa e degli stereotipi di genere da cui dissento completamente io chiedo, cosa ha fatto la politica per la tutela della donna medico?
Invece di “ciurlare nel manico” servono i fatti!
Quali?
Primo punto: A tutt’oggi se una collega rimane incinta non è una gioia come dovrebbe essere, ma una vera iattura per i colleghi del reparto, perché per molti mesi/anni non si avrà alcuna sostituzione.
Dato che è fondamentale l’organizzazione del lavoro nei reparti ospedalieri, soprattutto chirurgici, sarebbe opportuno assicurare la tempestività nelle sostituzioni per maternità, cosa che non avviene mai e dico mai! Infatti, grazie al blocco del turn over, non si sostituisce tempestivamente la donna assente per maternità (l’assenza può durare fino a 2 anni!) ed i medici che rimangono in reparto si devono sobbarcare i turni della donna assente, creando notevoli disservizi a tutta l’equipe, soprattutto nell’organizzazione del piano ferie, turni notturni, sostituzioni per malattie, pensionamenti ed un reparto chirurgico, già carente di risorse umane, è costretto a doppi e tripli turni.
Cari politici, un medico in meno in reparto, fa la differenza, eccome se fa la differenza!
Secondo punto: introdurre la flessibilità nell’orario di lavoro (non il part-time, la flessibilità!!), oltre ad introdurre tutele per le giovani colleghe, spesso precarie per troppi anni, con stipendi e contratti co-co-co che fanno ridere i polli.
Terzo punto: si dovrebbero creare delle materne-nido aziendali organizzati H 24, secondo i 3 turni ospedalieri (M/P/N)
Queste sono solo alcune delle proposte concrete e fattibili che andrebbero recepite con urgenza e dovrebbero essere prioritarie nell’agenda politica, vista la femminilizzazione della professione medica.
Una buona politica dovrebbe partire da queste considerazioni: basta con il blocco del turn over e basta con una retorica che non porta alcun risultato pratico e basta anche con le quote rosa, perché noi per essere assunte in ospedale, non abbiamo usufruito delle famigerate e deleterie quote rose, ma siamo entrate per merito, superando regolari concorsi!
Alla politica non chiedo di aiutarmi perché sarebbe pretendere troppo, ma chiedo che non mi ostacoli e mi fornisca risposte adeguate a problemi concreti, affinché queste istanze diventino il fulcro delle politiche sociali e lavorative del nostro paese, ma la mia, purtroppo, è solo una:“
Vox clamantis in deserto!”
Concludo ribadendo che non voglio alcun privilegio di sorta, fornitemi dei mezzi adeguati per combattere ad armi pari ed ad emergere ci penserò io.
Parafrasando Archimede: “Datemi un punto di appoggio e vi solleverò il mondo!!”
Dr.ssa Mirka Cocconcelli
Chirurgo ortopedico
Socio onorario Obiettivo Ippocrate
28 gennaio 2018
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