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Infermiere di famiglia. Irritazione “antistorica” dello Snami

di Emiliano Carlotti (Ipasvi Pisa)

20 APR - Gentile Direttore,
la forte, ma fondata, dichiarazione di Andrea Bottega, “La sola gestione dei non autosufficienti a domicilio in mano ai medici di medicina generale è fallimentare” ha scatenato l’ennesima reazione rabbiosa e scomposta del sindacato dei medici di medicina generale Snami, che definiscono gli infermieri improvvisati, pericolosi e fuori tema e che, senza troppi giri di parole, minacciano di tenere la professione infermieristica fuori anche dalla “panchina” se non si assoggetterà ai voleri dell’allenatore, ruolo che ritengono essere proprio. Non perdono, ovviamente, anche l’occasione per lanciare l’ennesimo attacco sul ruolo dell’infermiere nel triage al pronto soccorso.

In un primo momento, essendo convinto che la figura dell’Infermiere di Famiglia (anche se ritengo sia più corretto chiamarlo di comunità) sia non solo utile ma assolutamente necessaria, devo dire che il comunicato del sindacato Snami mi ha profondamente irritato.

Superata l’irritazione, ho capito che era stato scritto da una categoria in evidente difficoltà, che non riesce ad adattarsi al veloce cambiamento di una società costituita sempre più da individui anziani e affetti da malattie croniche, dove la sola figura del medico di medicina generale non può più garantire la completa presa in carico degli assistiti e delle comunità.

È ormai chiaro a tutti che l’unica strada percorribile è quella dell’istituzione di team multi professionali, in rapporto di reciproca ausiliarietà, che collaborano, coevolvono e si integrano, ognuno forte delle proprie specifiche competenze, con l’unico fine di ottimizzare la risposta che il servizio sanitario può dare ai bisogni di salute dei cittadini.

Ritenere che l’evoluzione degli altri sia una minaccia significa essere consapevoli di essere inadeguati al cambiamento ed allora si cerca di bloccare l’evoluzione per mantenere il proprio status: strategia naturalmente perdente.

Viene da chiedersi se il regime di convenzione fra i medici di medicina generale ed il servizio sanitario non sia il maggiore ostacolo al corretto indirizzo delle politiche sanitarie territoriali; questo ibrido contrattuale pone in capo ai medici di medicina generale i vantaggi dei lavoratori autonomi e quelli dei lavoratori dipendenti (come di fatto sono), oltre a dare a questa categoria un potere politico abnorme sia nei confronti delle altre professioni sanitarie, compresi i medici del servizio sanitario nazionale, che nei confronti del “sistema” servizio sanitario stesso. Questo disequilibrio non può che nuocere al sistema salute.

Portare all’interno del servizio sanitario i medici di medicina generale potrebbe essere il modo per creare la tanto auspicata contaminazione di conoscenze ed esperienze fra territorio e ospedale ed implementare la continuità assistenziale e di cura, per una completa presa in carico degli assistiti, ad oggi carente.

Trovo curioso il richiamo al buon senso di capire il profondo significato della distinzione dei ruoli; l’infermiere non può e soprattutto non vuole essere il sostituto di alcuna delle altre professioni sanitarie e chi si sente minacciato dalla professione infermieristica sicuramente non ha capito quale è il ruolo che l’infermiere ha e vuole avere.

È anacronistico continuare a credere che i pazienti sul territorio siano dei medici di medicina generale, come spesso questi ricordano. I pazienti, i cittadini e le comunità non sono di nessuno, il servizio sanitario e quindi tutti i dipendenti di questo, o che per questo prestano la loro opera, sono al servizio dei pazienti, dei cittadini e delle comunità.

Emiliano Carlotti
Presidente Collegio IPASVI di Pisa 


20 aprile 2017
© Riproduzione riservata

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