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Rems. Il diritto alla cura non può sottostare ai tempi e all’esito del processo penale

di Gianfranco Rivellini

17 FEB - Gentile Direttore,
ho letto il brillante resoconto da voi pubblicato sul convegno organizzato dalla Commissione Sanità del Senato, relativo a “Dopo il superamento degli Opg. Quali criticità e quali prospettiveSpero di sintetizzare correttamente la narrazione dei diversi e qualificati partecipanti, secondo la quale “per evitare un ritorno al passato”occorre potenziare i Dipartimenti di Salute Mentale, potenziare la cabina di regia regionale che dialoghi con gli Enti locali, modificare il codice penale per evitare l’invio nelle nuove residenze per le Misure di Sicurezza (REMS) di persone con provvedimento provvisorio e/o detenuti con sopraggiunta infermità.
 
La narrazione non sembra lesinare critiche ai protagonisti delle aule di giustizia, sostenendo “deve cambiare l’atteggiamento dei magistrati di cognizione che ancora prevedono il ricovero in Rems anche quando non è necessario, andando contro la stessa legge. C’è poi il problema di perizie spesso “stravaganti”,che non tengono in considerazione che il proscioglimento per incapacità di intendere e di volere debba essere dato con rigore”.  
 
Rilevante su tutti di l’intervento di Emilia Grazia De Biasi, Presidente della Commissione Sanità del Senato, che rimanda alla necessità di ulteriore novazione legislativa, precisamente il DDL 2067 di modifica del codice penale e del codice di procedura penale.
 
Sul tema è opportuno ricordare che la Commissione Giustizia di Palazzo Madama dopo un approfondito dibattito ha approvato un testo, rispetto al quale la De Biasi ed alcuni altri senatori del Partito Democratico meditano un sostanziale ribaltamento in Aula.
 
Il testo approvato in Commissione Giustizia è il seguente:
Tenuto conto dell'effettivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari e dell'assetto delle nuove residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza (REMS), previsione della destinazione alleREMS prioritariamente dei soggetti per i quali sia stato accertato in via definitiva lo stato di infermità al momento della commissione del fatto, da cui derivi il giudizio di pericolosità sociale, nonché dei soggetti per i quali l'infermità di mente sia sopravvenuta durante l'esecuzione della pena, degli imputati sottoposti a misure di sicurezza provvisorie e di tutti coloro per i quali occorra accertare le relative condizioni psichiche, qualora le sezioni degli istituti penitenziari alle quali sono destinati non siano idonee, di fatto, a garantire i trattamenti terapeutico - riabilitativi, con riferimento alle peculiari esigenze di trattamento dei soggetti e nel pieno rispetto dell'articolo 32 della Costituzione”.
 
Secondo la nutrita schiera dei senatori del Partito Democratico, attivi in Commissione Sanità, questo emendamento rischia di riportare le REMS alla condizione di “succedanei degli OPG”, se le medesime REMS non saranno riservate esclusivamente ai soli soggetti “per i quali sia stato accertato in via definitiva lo stato di infermità al momento della commissione del fatto, da cui derivi il giudizio di pericolosità sociale”.
 
Come psichiatra interessato al delicato rapporto tra salute mentale e giustizia vedo dietro il dibattito sulle REMS una buona dose, sia passato il termine, di “ideologia 2.0”, poco rispettosa di una lettura costituzionalmente orientata, perché discrimina sulla migliore esigibilità del diritto alla cura dell’individuo, in rapporto all’esito del processo penale.
 
E’ certamente necessario e doveroso potenziare le sezioni di salute mentale nelle carceri, ma questa scelta legislativa dovrebbe essere a prescindere, perché le carceri italiane sono popolate da migliaia di detenuti con problemi di salute mentale.
 
Diverso è invece sostenere che questa scelta legislativa è il necessario strumento per non ritornare ai vecchi OPG. In realtà a 18 mesi dalla riforma si è costretti ad ammirare il già noto vestito di arlecchino delle 20 sanità italiane, con disomogenea, sottostimata programmazione dei posti REMS (lista di attesa 290 persone al 31 gennaio 2017) e livelli organizzativi-professionali i più disparati.
 
A pensare male, qualche volta si coglie il vero, diceva un noto politico della prima Repubblica, così potrebbe essere che ilDDL 2067 sia la concreta possibilità di operare un filtro in grado di perseguire la deflazione degli ingressi in REMS, per  tutti quei pazienti (80% dicono le statistiche, già in carico ai DSM) che hanno commesso un reato, fintanto ché per gli stessi il processo non abbia dimostratoin via definitiva lo stato di infermità al momento della commissione del fatto, da cui derivi il giudizio di pericolosità sociale” (emendamento 12.122, De Biasi, Dirindin).
 
L’emendamento De Biasi sembra procurare una risposta discriminatoria ad una domanda retorica, cioè se sia meglio attendere il giusto processo in carcere oppure in una REMS, quando vi sono evidenze già nella fase preliminare del processo che il reato è stato condizionato dal disturbo mentale.
 
E’ opportuno ricordare che la giustizia è un diritto che si esige con il giusto processo, la buona presa in carico del disturbo mentale è un diverso diritto che si esige con la immediata disponibilità dei percorsi più appropriati possibili. Non sarà così se verrà approvata una norma che discrimina il diritto alle migliori cure (REMS versus Sezioni Psichiatriche in carcere) soltanto in rapporto ai tempi ed all’esito del processo penale.
 
Terminerei queste riflessioni evidenziando come la tesi dell’esclusione delle REMS per pazienti non definitivi (in senso processuale) appare per altro in contrasto con lo spirito della riforma, in particolare con la novazione introdotta dalla legge 81/2014 in tema di applicazione di misure terapeutiche territoriali alternative all’invio definitivo in REMS.
 
A distanza di soli 18 mesi dal 31 marzo 2015 l’intreccio complesso tra percorsi sanitari e penali dovrebbe essere ponderato senza sbilanciamenti ideologici, posto che il dato fornito dal commissario Franco Corleone, secondo il quale nello stesso periodo si sono avuti 950 ingressi e 450 dimissioni dalle REMS altro non significa se non una flessibilità di approccio ai bisogni di salute mentale che ha indubbiamente interessato molti pazienti autori di reato in Misura di Sicurezza provvisoria, dunque in corso di processo penale, per i quali sono state approntate le doverose risposte territoriali a cura dei DSM interessati.
 
Diversamente, se verrà approvato l’emendamento De Biasi,  l’attuale congiuntura economica ed i tempi necessari per l’implementazione delle Sezioni carcerarie della Salute Mentale rappresenteranno il motivo più potente per manicomializzare le strutture carcerarie e restringere la possibilità che per i pazienti autori di reato siano approntate le misure alternative, previste dalla legge 81/2014, con buona pace del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della carta costituzionale. 
 
Dunque sia i numeri forniti dal commissario Corleone, sia le motivazioni cliniche e giuridiche appena citate dovrebbero consigliare più prudenza al legislatore con il beneficio del dubbio se perseguire assolutamente la modifica legislativa che imporrebbe di riservare le REMS esclusivamente ai soli soggetti “per i quali sia stato accertato in via definitiva lo stato di infermità al momento della commissione del fatto, da cui derivi il giudizio di pericolosità sociale”.
 
Riportando infine la dichiarazione del commissario Corleone “Bisogna trovare un coordinamento efficace tra regione, stato e garante dei diritti delle persone. È un a bella avventura che si può realizzare aiutando i processi di rafforzamento della psichiatria sui territori”non si può che concordare, ma pure ricordargli che egli è stato investito del potere sostitutivo di cui all’art. 120 della Costituzione.
 
A distanza di un anno ci si sarebbe potuti aspettare il varo di strumenti di monitoraggio per controllare di più e meglio i livelli organizzativi e gestionali approntati dalle aziende sanitarie e dalle Regioni, il grado di formazione specifica del personale sanitario, lo stato di attuazione degli accordi con le prefetture ed infine, ma non ultimo, la possibilità di partnership con organismi “statali”, quale l’Istituto Superiore di Sanità e la Scuola Superiore della Magistratura.
 
Gianfranco Rivellini
Psichiatra, Criminologo Clinico
Associazione Nazionale Medici Operatori Sanitari

17 febbraio 2017
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