Codice deontologico medici e infermieri: due pesi e due misure?
di Alessandro Vergallo
01 GIU -
Gentile Direttore,
l’ultimo intervento del Dott. Benci sulla
proposta di legge sull’atto medico merita interesse, attenzione, ma anche buona memoria. Vi si sottolinea, nella definizione degli ambiti professionali propri dei medici, non solo la scarsa valenza di un Codice Deontologico, ma anche l’inopportunità di un intervento legislativo. Alcuni passaggi che argomentano su questi due concetti, lasciano perplessi.
Scrive Benci: “Viene spesso, inoltre, evocato il codice di deontologia medica
come unico atto regolatore dell’attività medica. Il codice deontologico è, lo ricordiamo un atto normativo, non giuridico, di diretta emanazione della rappresentanza istituzionale della professione medica … Vi è da domandarsi, in primo luogo, se il codice deontologico sia un luogo idoneo per una definizione che, laddove si ritenga opportuno cristallizzarla, spetti in modo naturale al legislatore. … La domanda è retorica e la risposta non può che essere negativa”.
In primo luogo, mi pare che attribuire alle
parole della Presidente FNOMCeO Chersevani, cui rimanda il link, il significato di una “evocazione” del codice di deontologia medica “come unico atto regolatore dell’attività medica” sia fuorviante. Infatti, mi pare che la Presidente FNOMCeO si fosse limitata a definire gli
articoli 3 e 13 “un utile punto di riferimento, anche perché i percorsi legislativi sui temi professionali rischiano di essere molto lunghi e confusi”.
Ebbene, un concetto che mi pare almeno simile (la difficoltà dei percorsi legislativi) veniva espresso proprio da Benci
in un altro intervento, in relazione al “cambiamento normativo che può coinvolgere la legge ordinaria (legge 42) o la normazione secondaria relativa alla modifica del profilo professionale” finalizzato al “riconoscimento di ulteriori attività alla professione infermieristica e, per extenso alle altre professioni sanitarie”, laddove egli affermava che tale “cambiamento normativo” è “politicamente impratica¬bile per i tempi lunghi che comporta”.
In secondo luogo,
in quello stesso intervento, Benci asseriva che “Nel 1999 il sistema di abilitazione è cambiato radicalmente proprio con la legge 42/99 che permette una lettura meno rigida in quanto si pone come un atto di legislazione ordinaria … e richiama anche atti di normazione extra-giuridica come i codici deontologici. E’ dalla lettura combinata – in diritto “dal combinato disposto” – di questi tre richiami che si ricava “il campo proprio di attività e di responsabilità dell’infermiere”.
Occorre ricordare, a questo proposito, che un esplicito riferimento al codice deontologico infermieristico (con valore regolatorio) già contenuto nell’art. 3 della
Bozza di accordo sull’implementazione delle competenze infermieristiche, è stato poi accantonato dal comma 566 della Legge di Stabilità (190/2014), quasi un blitz legislativo, dato che oltretutto questa legge è una manovra finanziaria.
Orbene, forse finché era utile portare il codice deontologico infermieristico a supporto della definizione del “campo proprio di attività e di responsabilità dell’infermiere”, la sua valenza regolatoria andava bene, mentre così non è per un altro codice (quello di deontologia medica), dato che potrebbe essere interpretato in contrasto con l’obiettivo di rendere osmotici i confini tra la professione medica e quella infermieristica?
Scrive ancora Benci: “il codice di deontologia medica tenta di blindare i tradizionali ambiti di competenza medica, alcuni dei quali, sono superati da molti lustri, in alcune attività: la somministrazione di farmaci in protocolli di emergenza sono realtà dal 1992 nell’ordinamento giuridico italiano”. Orbene, non mi pare che codesti “protocolli” derivino da una legislazione nazionale, ma casomai da atti regionali, i quali ormai rappresentano la scorciatoia preferita per bypassare ordinamenti legislativi nazionali (anzi, sono demandati da questi a surrogarli utilizzando lo strumento della “legislazione concorrente”, prevista da un Titolo V della Costituzione la cui necessità di riforma è stata invocata, a quanto pare, solo per poterla dimenticare). Per inciso, non è forse vero che tali atti regionali altro non hanno fatto che formalizzare ex post, quasi per attrazione, prassi adottate in autonomia da alcune aziende, ancor prima di una qualunque base normativa, che invece, più o meno diversamente da Regione a Regione, li ha poi in qualche modo sdoganati?
Continua Benci asserendo che
la proposta di legge sull’atto medico “viene presentata come recepente il codice di deontologia medica”. In realtà, nella presentazione del 25 marzo 2015, si legge: “Si ritiene da più parti che i tempi siano maturi per approvare una legge che recepisca l’importante e puntuale giurisprudenza prodotta in Italia sull’atto medico”, mentre i riferimenti all’etica e alla deontologia paiono puramente accessori.
Ma, a parte questo inciso, oggi questa proposta, dapprima quasi sbeffeggiata, sembra apparire invece ben più pericolosa agli occhi di chi la osteggia: è forse un caso che tale “pericolosità” (ammesso e non concesso che esista) emerga nel mentre era già in itinere la
mozione approvata il 29 maggio dalla FNOMCeO, che sembrerebbe aver iniziato a raccogliere
un invito del Prof. Cavicchi?
Sulla questione è intervenuto anche il
Dr Polillo, ben esplicitando un concetto che ha un significato difficilmente contestabile, riassunto nelle seguenti parole: “Ieri la FNOMCeO pare abbia fatto propria questa posizione, e questo è già un fatto positivo. Si tratta di consolidare una nuova strategia che non vuole essere una chiamata alle armi di natura corporativa, ma la richiesta di assunzione di responsabilità da parte dei soggetti a cui tale responsabilità compete per legge: Ministro della salute, governo e Parlamento”.
Non solo, andrebbe forse notato: è un concetto che riveste anche maggior rilievo e livello se paragonato a certe prese di posizione della pregressa presidenza IPASVI, allorquando la commistione di ruoli istituzionali l’aveva condotta persino a dichiarare: “se si bloccano gli infermieri si blocca tutto e visto che abbiamo il pacchetto di maggioranza stavolta lo metteremo sul tavolo".
Conclude Benci: “La proposta D’Incecco si presenta, insomma, come un enorme pasticcio giuridico dagli effetti non direttamente calcolabili in termini di ricadute nell’ordinamento e nell’organizzazione.” Orbene, mi pare che l’intero iter dell’ordinamento legislativo in materia di competenze professionali sanitarie, ad iniziare dalla Legge 42/99, per arrivare, ad oggi, al Comma 566 della Legge di Stabilità, sia stato, se non altro, molto più pasticciato.
Alessandro Vergallo
Presidente Nazionale AAROI-EMAC
01 giugno 2015
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