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La Toscana e la sanità a “doppio” binario

di Danielle Vangieri

05 FEB - Gentile Direttore,
affermava Noam Chomsky: creare problemi per poi offrire le soluzioni, compreso far accettare come un male necessario la retrocessione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici. E’ quanto sta avvenendo anche in Toscana dove, da qualche anno, si è fatta strada, nella maggioranza politica che guida questa Regione, l’idea della giustezza del cosiddetto doppio binario in sanità che si declina con il riconoscimento al terzo settore, e al privato tout court, di un ruolo sostitutivo del servizio pubblico e la spinta, sempre più pressante, verso forme assicurative e mutualistiche. Spinta, alimentata dall’aumento della compartecipazione alla spesa dei cittadini, in particolare per le attività specialistiche e diagnostiche.

L’aumento della compartecipazione (ticket, contributo sulla digitalizzazione, ecc.), rendendo quasi equivalente la spesa nel pubblico e nel privato -dove però c’è il vantaggio di tempi di attesa minimi- ha comportato un importante spostamento di persone -in particolare del ceto medio, più penalizzato dalle fasce di reddito, volute dal governatore Rossi nel 2011-, con una notevole perdita di risorse per il servizio sanitario regionale che, oramai, si avvia verso un ruolo residuale, almeno in certi settori. Nuovamente torna utile la succitata affermazione di Chomsky.

Un’evoluzione profonda della natura del sistema sanitario regionale che ha profondamente modificato il nostro giudizio, anche in questo settore, in merito alla cosiddetta “anomalia toscana”. L’anomalia toscana, utilizzata come concettualizzazione di una diversità politica della nostra Regione di fronte a scelte di altre regioni, o nazionali, non esiste più, è definitivamente defunta.

Un’evoluzione che è stata anche metodologica e di stile comunicativo. Mentre sino a qualche tempo fa, infatti, si aveva un certo pudore a sostenere pubblicamente tagli lineari e processi di privatizzazione del sistema - anche perché per fortuna la sanità, e il più generale diritto alla salute, sono ancora oggi avvertiti dalla maggioranza dei cittadini come diritti fondamentali -, in questi ultimi tre anni, complice una voluta massiccia dose di luoghi comuni, demagogia e populismo, anche chi sino a ieri si sperticava (magari non pensandolo veramente in cuor suo) a difendere il servizio sanitario nazionale è saltato dall’altra parte della barricata e, anzi, vuole convincere che i processi di privatizzazione, la compartecipazione alla spesa, i tagli, sono un destino ineluttabile.

Non solo, sulla base del postulato che le risorse sono poche, non mettendo quindi minimamente in discussione le politiche di austerity, è divenuto necessario proporre ricette che venendo, pedissequamente, incontro alle richieste esterne vedono le regioni trovare in casa propria le soluzioni per assecondarle.

Cosa per cui il 22 dicembre dello scorso anno, la Giunta regionale toscana (o meglio il suo governatore), propone la sua ricetta, con l’ambizione che assurga a modello nazionale, da esportare nella Conferenza Stato/Regioni, licenziando una proposta di legge il cui cuore non sta tanto, e solo, negli accorpamenti delle attuali 12 aziende sanitarie in 3 mega aziende di Area Vasta, con conseguente riduzione dei direttori generali, sanitari e amministrativi (il tutto a regime produrrebbe un risparmio di circa 3milioni di euro); ma il vero cuore, e i veri tagli (300milioni e più) riguarderanno il lavoro pubblico, i suoi professionisti e i suoi operatori, con un’inevitabile ricaduta negativa sulla qualità dei servizi e il taglio delle prestazioni sanitarie. Il taglio consisterà nei futuri accorpamenti dei dipartimenti aziendali e negli esuberi forzosi del personale sanitario.

La proposta dal governatore Enrico Rossi è dunque traducibile in: aggredire il sistema sanitario dal lato del lavoro pubblico, già oggi fortemente penalizzato dal blocco del turn over, dal suo ridimensionamento, iniziando a tagliare dai già conteggiati 1200/1500 dipendenti che avrebbero i cosiddetti requisiti pre Fornero. Si produce risparmio aggredendo uno degli architravi, quello del lavoro sanitario pubblico, con il solito obiettivo di smontare il sistema pubblico.

Per realizzare, quella che Rossi ha definito la sua “rivoluzione copernicana” in sanità il primo passo necessario è accentrare in mano a figure la cui catena di comando fa capo direttamente alla Presidenza della Giunta (commissari e vicecommissari, oggi; i Direttori generali di Area Vasta e, per altro verso, i coordinatori interdipartimentali, a regime), affinché non ci siano sbavature nel disegno.

Un forte accentramento - in queste figure di “supermanager” - di una programmazione regionale fortemente legata al contenimento della spesa : i megadirettori tra le altre prerogative avranno quello di indirizzare e correggere la spesa sanitaria. Una perdita di ruolo del territorio, non solo a causa del ridimensionamento della loro autonomia organizzativa e gestionale, tramite le soppressioni delle ASL provinciali, ma, soprattutto, con il forte ridimensionamento, nella governance regionale, del ruolo dei territori, dei sindaci, dei decisori politici. Il tutto, accompagnato dalla dichiarazione, di una contestuale - cui a oggi nulla è dato sapere -, valorizzazione e un potenziamento della zona distretto, quanto in realtà nella proposta manca completamente la filiera territoriale: come funzionerà; quale sarà il ruolo dei sindaci e, aggiungiamo delle assemblee elettive nella programmazione, nell’allocazione delle risorse e nella verifica dei risultati; quanto conteranno i centri decisionali territoriali: immaginiamo sempre meno.

L’argomentazione a giustificazione della riforma è che, a fronte di riduzioni di risorse al sistema, abbiamo già detto ineluttabili, la razionalizzazione per concentrazione di livelli e l’economia di scala produrrebbero razionalizzazione e ottimizzazione delle stesse. Molti esperti, al contrario, avvertono sul fatto che le grandi fusioni organizzative in sanità sono ad alto rischio di fallimento e che oltre un certo livello di accentramento è a rischio di collasso l’efficienza dello stesso sistema. La stessa economicità diventa marginale mentre diventa pesantissima la ricaduta sulla qualità, il rischio clinico, la sicurezza, la stessa appropriatezza. Aggiungiamo che, al di là delle tesi di economia sanitaria, ciò che dovrebbe guidare le politiche, di un paese come di una regione, in questo complesso settore, sono gli obiettivi di salute e la qualità delle prestazioni offerte e non una mera logica economicistica e mercantile.

Come forza politica registriamo, negli ultimi passaggi regionali, la lontananza, oramai siderale, dalle affermazioni, anche recenti, in cui il governatore della Toscana, dichiarava come avrebbe dovuto, il governo nazionale, “passare sul suo corpo” prima di mettere a rischio la sanità pubblica attraverso nuovi tagli lineari. Ultimamente, i tagli lineari, abbiamo già detto, per Rossi, sono quasi legge di natura. Oggi, il corpo, pesantissimo, pronto a disfare il servizio sanitario regionale è quello dello stesso governatore e dei suoi commissari, e vicecommissari, e megadirettori.

Colpisce, infine, oltre alla tempistica (le elezioni incombono!), come il tutto si stia realizzando bypassando la sfera del confronto, della partecipazione, dello stesso, in parte, consenso politico, con un autoritarismo oramai smaccato che contrasta profondamente con la razionalità che pure imporrebbe che, in sistemi così complessi, riforme di natura così profonda richiederebbero, e meriterebbero, un confronto vero con i soggetti coinvolti: il comparto sanitario regionale tutto, il dipartimento, i suoi professionisti e operatori, i territori interessati, la politica. Oltre che di tempi congrui perché questo confronto non sia solo formale. Nulla di tutto questo, anzi, c’è un di più. Le voci che, ad oggi, hanno sollevato perplessità sulla riforma sono state liquidate giornalisticamente, e personalmente, dallo stesso Rossi, con grande fastidio e nel migliore dei casi come rigurgiti corporativi. Noi siamo, e saremo, tra le voci fortemente critiche su una riforma che non ci piace e non condividiamo nel metodo e nel merito.

Danielle Vangieri
Responsabile regionale sanità Rifondazione Comunista Toscana

05 febbraio 2015
© Riproduzione riservata

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