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Incompatibilità di ruoli e incarichi e questione morale

di Marcella Gostinelli

27 GEN - Gentile Direttore,
ho letto l’interessante  articolo del prof. Cavicchi: “Incompatibilità. Dopo la nuova delibera di Cantone il problema resta”. Voglio ringraziarlo perché pone in quelle pagine una questione importante oggi e non solo per le professioni sanitarie e che è quella del pluralismo nell’intendimento della morale. Che cosa si deve intendere oggi per “morale?” Cosa significa per noi essere degli uomini morali ed avere dei comportamenti morali? E’ un interrogativo poco problematizzato dal pensiero contemporaneo  in generale nonostante che l’interesse della società civile, per i problemi morali stia crescendo in ogni direzione.
 
E’  chiaro però che sulla  tematica “incompatibilità/compatibilità” degli incarichi di presidente e di senatore insieme ci sono, nella comunità infermieristica, morali diverse: quella della maggioranza degli infermieri con i loro rappresentanti che  sentono possibile  la compatibilità degli incarichi e quella di una minoranza, senza rappresentanti , che sentono impossibile la compatibilità degli incarichi. Entrambi sembra  che sappiano  quali siano   i contenuti della morale, ma  non sono  concordi sul modo di intenderla , pertanto non c’è stato e non ci sarà  dialogo, ma solo un dibattito tra sordi. 
 
Il problema a mio avviso non è  tanto la mancata definizione comune  di una  morale quanto il mancato impegno nel capire il posto ed il ruolo che il bene morale avrebbe dovuto avere per la collettività che si rappresenta e governa. E  non si tratta neanche di differenti concezioni di bene, ma di capire anche e prima i  differenti modi di intendere l’uomo, il malato, il professionista sanitario  e tutto quello che lo circonda, il rapporto tra i mezzi e i fini  e cosi via dicendo. Le diverse morali non discusse, non comunicabili non definibili determinano comunità chiuse dove la maggioranza degli individui che concordano con una morale rappresentano una  maggioranza che  separa con l’indifferenza  una minoranza con una morale diversa, non comunicabile e da qui la convinzione radicata ,da parte del   potere tracotante  di chi rappresenta gli infermieri ,  dell’impossibilità del  confronto morale perché ritenuto  scomodo.    
 
Chi rappresenta la professione infermieristica , nello specifico di interesse, non ha messo il doveroso impegno nel l’individuare   ciò  che poteva  intersecare  gli universi morali differenti; ha  invece  offerto  l’indifferenza  verso quei  contenuti  morali che la minoranza avrebbe voluto che fossero rappresentati  o ancora più precisamente l’indifferenza verso il modo di intendere la morale e la vita morale delle minoranze.  Questa arrogante  certezza  della rappresentanza su quale sia il bene comune  ha reso e rende  impossibile comunicare  sul piano relazionale, ma anche impossibile l’influenzamento reciproco dimostrando  di essere cosi , sul piano esistenziale, impermeabile. Ed essere impermeabili sul piano esistenziale è già moralmente scorretto.
 
Oggi, vedendo al merito della questione, come il direttore Fassari suggerisce nel suo articolo del 7 gennaio, e valutando l’operato non ho e non abbiamo niente di cui gioire e molto di cui dolersi  come  l’aggravarsi  di una vera crisi professionale caratterizzata dalla mancata consapevolezza nella comunità infermieristica , nella rappresentanza, nella società civile ed istituzionale di quali siano concretamente le autonomie della professione infermieristica e da qui tutto il resto compreso l’abbandono di tutti gli infermieri che producono e che ogni giorno sono in conflitto fra ciò che vorrebbero e dovrebbero servire e ciò che realisticamente servono al cittadino ed al malato; i due mondi separati, sconosciuti , distanti e distinti della università e della linea produttiva ; professori infermieristici chiusi nel loro mondo senza mai esprimersi nel merito delle condizioni lavorative dei loro colleghi operativi e che sembra si permettano anche di dire che gli infermieri dovrebbero fare più ricerca e criticare di meno senza però aver mai visitato un reparto o senza aver mai espresso un pensiero sul demansionamento o sulla decapitalizzazione del lavoro o sul mancato riconoscimento di un sapere specifico o sul mancato esercizio della libera professione infermieristica intellettualmente intesa .
 
Università in cui ancora quei professori permettono che si insegni per due ore il “rifacimento del letto” partendo dal rifacimento del letto invece che dalla complessità del malato per poi arrivare come dettaglio anche al rifacimento del letto. Dall’osservazione di tutto ciò  si intuisce quanto siano  forti e influenti  presidenti e senatori  in questione se riescono a   salvaguardare senza imbarazzo quello che secondo loro è il bene comune anche di fronte a tanta evidente criticità.  Quello che può preoccupare però  è che le morali prima di essere delle costruzioni più o meno razionali e definite sono pezzi di vita vissuta , valori agiti nella pratica concreta, atteggiamenti concreti determinati da diversi influssi , pertanto pretendere di ignorare ciò che per le minoranze è  bene morale significa ignorare la pratica in cui quella morale   nasce e consiste.
 
Come può essere ben comprensibile  se la teoria morale della rappresentanza perde il contatto con la pratica morale di una parte della collettività, può accadere che  la teoria morale , quella della rappresentanza,  si sostituisca alla pratica morale di tutti,  ed allora forse converrebbe riavvicinarsi a quella minoranza ed alla sua realtà pratica per il bene di tutti.
 
Marcella Gostinelli
Infermiera

27 gennaio 2015
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