Competenze infermieristiche. Ecco cosa ne pensiamo noi, studenti in medicina
di Eleonora Franzini Tibaldeo
31 DIC -
Gentile direttore,
a fronte del dibattito che si è sviluppato e articolato intorno alla proposta delle nuove competenze infermieristiche, io, come studentessa di medicina, mi sento direttamente coinvolta: anche noi futuri medici ci troviamo in una situazione di mancanza di prospettive lavorative e di necessità di una riforma che implichi nuove competenze e autonomie che ci rendano in grado di affrontare la complessità del sistema attuale. Allargando quindi la visione del problema a tutte le classi sanitarie, vedi la crescente disoccupazione giovanile, il blocco dei turn-over, lo spending review, la riduzione delle borse di specialità, ecc - e il mancato adeguamento della formazione rimasta ancora agganciata a vecchi schemi nozionistici, si può notare che la necessità di ridefinire le competenze è parallela alla necessaria riforma della sanità.
Dunque che fare? Continuare a rimbeccarci reciprocamente come i capponi manzoniani, noncuranti del triste e comune destino? Oppure cercare nuove soluzioni ma soprattutto riforme, pur rimanendo ciascuno nel proprio ambito di competenze garantendo la cura e l’assistenza al malato?
Dichiarare una professione sanitaria meglio di altre al punto dal sostenerla nel suo sviluppo in ambito territoriale e non solo, senza tra l’altro dimenticare la radicale differenza formativa e quindi la necessaria coesistenza di più figure professionali, non è imprudente?
L’analisi condotta dal
Dr. Bottega (QS 27 Dic) ci fa riflettere su come la situazione attuale non abbia una grande possibilità di cambiamenti in quanto dipendente da altre figure istituzionali e da ingranaggi difficili da modificare in tempi ristretti, e lo stesso
Prof. Cavicchi (QS 30 Dic) ha sottolineato la necessità di una “co-evoluzione” degli operatori ma giammai di una loro contrapposizione. Pertanto noi giovani medici e infermieri, siamo tutti vittime della “politica di definanziamento” e non credo che il ridefinire una professione a scapito di altre sia la logica vincente in questo momento.
Credo anche profondamente che se le proposte avanzate fino ad oggi si sono limitate a ricalcare vecchi schemi, non dobbiamo poi stupirci se ciò che apporteranno saranno niente di più che una serie di rattoppi ad uno scafo ormai fragile e cadente. La mia speranza è che arrivi il nuovo e che ci sia dunque la valorizzazione del nostro lavoro nell’ottica di garantire la cura.
Eleonora Franzini Tibaldeo
Studentessa in medicina, Università di Torino
31 dicembre 2013
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