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La sanità pubblica potrà mai “far pace” con l’economia?

di Ivan Cavicchi

02 DIC - Gentile direttore,
vorrei ringraziare  questo giornale e tutti coloro che hanno  voluto discutere del mio ultimo libro. Una discussione  preziosa  e significativa della quale vorrei richiamare  alcuni aspetti importanti:
- l’eterogeneità  dei ruoli, delle funzioni e quindi dei punti di vista di coloro che sono intervenuti   cioè una discussione  che si è configurata  come una rappresentazione, seppur in piccolo, di quello che a volte ho definito “il popolo della sanità”;
- la convergenza dei  diversi  punti di vista su una questione comune  che è il bisogno di cambiamento;
- l’intendere il cambiamento  non come qualunque e meno che mai   superficiale o parziale ,  ma come un cambiamento riformatore;
- la  consapevolezza di tutti  di dover  risolvere  il problema del  “ riformista che non c’è”  che se indica la mancanza di una controparte innovatrice, indica  anche  un limite culturale che   tutti coloro che sono intervenuti  hanno dimostrato  di non avere.
 
Rileggendo ad uno ad uno gli articoli pubblicati, la sensazione che si ha  è una crescita della consapevolezza circa la posta in gioco e le sfide che in ogni caso, nel bene e nel male, ci attendono. Per spiegarmi meglio vorrei avvalermi di un esempio. Molti  studiosi si sono chiesti come  mai i  filosofi  dell’antichità, decisamente i più grandi pensatori del loro tempo,  non  si siano mai accorti  delle macroscopiche  contraddizioni  tra le loro raffinate  dottrine morali  e la schiavitù.
 
La risposta è molto semplice: a quel tempo  anche per quei filosofi non era concepibile una società senza schiavi per cui era già tanto che alcuni di essi ponessero  il problema  di riconoscere loro  dei diritti. In sostanza l’esempio ci dice che per cambiare  ciò che  “comunque è sempre identico a se stesso”   è necessario  immaginare  “ciò che può essere altro da se stesso”. Quando  “ciò che è” diventa la premessa  di  “ciò che può essere”, si entra nella logica della costruzione di una alternativa.
 
Allo stato attuale molti di noi in sanità nei confronti  della necessità di un cambiamento sono nella stessa posizione dei filosofi antichi. Molti di noi, come  ad esempio gli economisti , i neoliberisti, i marginalisti, i manutentori, gli assessori, i gestori, non riescono  ad immaginare  quale altra sanità pubblica sia possibile, fino a convincersi, che non si può fare altro che  gestire al meglio, in certi casi, o contro riformare, in altri casi, quello che c’è. La discussione  su questo giornale, mi ha fatto capire invece  che  alcuni  hanno cominciato ad immaginare un altro genere di sanità pubblica. Oggi costoro  in fin dei conti,  stanno prendendo le distanze da ciò che, nonostante tutto, è sempre identico a se stesso, semplicemente interrogando le loro esperienze, le loro visioni, le loro convinzioni o leggendo libri come il mio. La politica sbaglierebbe e di molto se ignorasse che nella sanità è in atto questa  importante presa di coscienza. Di cosa stiamo parlando?
 
La spesa sanitaria, in quanto parte consistente di quella pubblica, è diventata un  capitale, quindi un cespite, a cui attingere non per perseguire fini di salute, ma per sistemare altre cose: la ripresa economica, la pressione fiscale, le politiche occupazionali, il fiscal compact ecc. Il definanziamento strutturale  della  sanità, iniziato effettivamente con i tagli lineari, è solo all’inizio e per altro già programmato per ora fino al 2017. Esso subentra ad un lungo periodo di sottofinanziamento, ed ha l’obiettivo manifesto di   privatizzazione di fatto un bene pubblico riallocando con un andamento crescente  risorse fiscali dalla sanità  all’economia.
 
L’eccessiva  severità  finanziaria di queste politiche, nella loro aggressività,  per lo meno ha il pregio di farci capire che le soluzioni di questi anni che si credevano tali, a partire dai Patti per la salute, dalle politiche  marginaliste, da quelle per la razionalizzazione e l’ottimizzazione, sono platealmente inappropriate e  non perché sbagliate ma perché insufficienti  a dare all’economia ciò di cui ha drammaticamente bisogno.  A fronte di ciò cresce il numero di coloro che si stanno rendendo conto che non è più possibile continuare con quelle politiche  ancora oggi adottate in nome della sostenibilità perché la loro insufficienza di fatto accentua  il processo di privatizzazione. Una via d’uscita è immaginare una sanità pubblica che costi strutturalmente di meno e che produca strutturalmente  più salute. Quindi non si tratta più di subire l’economia, come abbiamo fatto fino ad ora, ma di  fare noi economia producendo in un altro modo risorse e salute, cioè, riformando i modelli  di tutela e quindi le strutture di spesa  portanti  del  sistema  attuale. Solo così la sanità pubblica  può fare pace con l’economia.
 
Ebbene coloro che su questo giornale si sono  sforzati di immaginare una sanità pubblica altra, sono i riformatori possibili di cui abbiamo bisogno. Non posso che augurarmi che essi  crescano  con le loro proposte  poiché  se ciò avvenisse  avremmo probabilmente risolto il problema del “riformista che non c’è. Grazie e complimenti.
 
Ivan Cavicchi

02 dicembre 2013
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