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Harry Potter e le piccole case di cura. Perché è assurdo chiudere quelle con meno di 60 letti

di Pietro Galluccio

22 NOV - Gentile direttore,
mi sono spesso chiesto durante questi mesi, quale fosse la ragione che ha portato un Oscuro Signore (impiegato? dirigente? amministratore? parlamentare?) di un altrettanto Oscuro Ente (Ministero? Conferenza stato-regioni? Regione?) a sancire che la soglia minima per gestire una casa di cura dovesse essere di 80 (prima) o di 60 (poi) posti letto (ndr. Vedi sutdio di QS sui nuovi standard ospedalieri).
 
Scusate i punti interrogativi ma, per quanto singolare possa apparire, il nostro Paese è fatto così: la signorina che in questo momento sta facendo le pulizie in fondo al mio corridoio o l’infermiera che sta somministrando le terapie nel reparto di fronte, indossano (giustamente) un cartellino che le identifica e le fa riconoscere a chiunque, perché ciascun cittadino/utente sappia chi ha di fronte. Invece il signore (o la signora) che una mattina ha maturato questa bella pensata, che ha sconvolto la vita di migliaia di operatori non solo non ci ha concesso l’onore della sua conoscenza, rimanendo del tutto anonimo, ma non ci ha nemmeno proposto le ragioni che giustificano quel provvedimento. Quindi, a distanza di mesi non sappiamo né da chi, né perché sia nata quella “bella pensata”.
 
Sono Medico Responsabile e co-proprietario di una piccola casa di cura ortopedica, in fondo al tacco, nel Salento. Il turismo sta iniziando ad apprezzare le nostre coste e le nostre piazze, ma da decenni siamo terra di emigrazione sanitaria verso il profondo Nord. Siamo da sempre bacino di utenza di ospedali e di case di cura di regioni più attrattive e storicamente meglio organizzate nell’offerta sanitaria.
 
Mi sono laureato a Bologna, come mio padre, mi sono specializzato in ortopedia. Ho frequentato nel percorso formativo alcuni fra i più importanti punti di riferimento per l’ortopedia del centro nord,  pubblici o privati (Istituti Rizzoli di Bologna, l’ICOT di Latina, l’Humanitas di Rozzano, l’Ospedale di Pietra Ligure, il Policlinico san Matteo di Pavia etc), tornando carico di appunti, di fotografie, di moduli non solo su tematiche ortopediche, ma anche e soprattutto su tematiche organizzative.
 
Ho cercato e cerco tutt’ora di imparare, da chi è più avanti di me, non solo come si impianta una protesi di anca, ma come si posiziona il paziente su quel letto operatorio ed il letto in quella sala: le attrezzature ed il personale intorno a quel letto ed percorsi di quell’istituto intorno a quella sala; come si gestisce l’approvvigionamento dei materiali o le emergenze; la formazione del personale  e la pianificazione delle prenotazioni etc etc etc.
 
Ho copiato, sissignori ho fatto il cinesino, per decenni, adattando alla mia piccola casa di cura quello che avevo visto in strutture di eccellenza, a Bologna come a Latina, come a Milano. Ho fotografato, ho invitato ed ospitato chirurghi, eccellenti superspecialisti di specifici settori, ho fotocopiato protocolli e procedure che ho visto utilizzare, insomma, come mi era stato insegnato in qualche Master (ho fatto anche quelli), ho sfruttato il “vantaggio” di essere retroguardia, guardando quelli che erano davanti a me, cercando di capire quello che da loro potevo mutuare.
Dopo vent’anni sono riuscito a strutturare in fondo al tacco una piccola casa di cura di 32 letti (solo 26 accreditati), che è arrivata ad effettuare 2.900 ricoveri nel 2009, di cui il 97 % chirurgici, impiantando 300 – 400 protesi articolari, circa 600 interventi di artroscopia  al ginocchio, 100 ricostruzioni artroscopiche dei crociati e 100-150 ricostruzioni artroscopiche di  spalla, 200-250 interventi di traumatologia etc etc
 
Ma soprattutto una piccola casa di cura che in questo momento ha in lista oltre 1.000 pazienti, perché, pur essendo il primo reparto ortopedico di tutta la provincia, per numero di interventi effettuati all’anno, non riusciamo più, con il budget che da 4 anni viene puntualmente ridotto, ad offrire ai nostri concittadini la quantità di interventi che ci richiedono. Nel 2012 abbiamo potuto operare “solo” 2.300 pazienti.
 
Ho fatto tutto questo con la gioia di offrire ai miei pazienti, un servizio che per qualità, tecnologie, formazione fosse quanto più possibile vicino agli standard che avevo visto nel centro nord. Il complimento più bello lo ricevo quando, come l’altro ieri, una signora al termine della visita di dimissione: “Dottore grazie, è come quando stavamo in Svizzera!.
 
La miopia della mia regione sta invece facendo sì che la migrazione sanitaria per i ricoveri in ortopedia (MDC 8) aumenti. Nel periodo 2009 – 2011, sarebbe passata da 9.500 a circa 13.200 pazienti (+ 30 %). Dico sarebbe perché l’Agenzia sanitaria regionale pugliese i dati non li tira fuori neanche con la pistola, riesci ad averli solo sottobanco, “… non dire che te li ho dati io”.
Un altro dato invece mi conforta e mi entusiasma: le richieste di contenzioso, cioè le lettere che abbiamo ricevuto da legali per veri o supposti danni causati ai nostri pazienti sono state negli ultimi 5 anni (2008 – 2012) solo 29, a fronte di oltre 12.000 ricoveri effettuati (0.2 %). Questo dato che raramente viene posto in evidenza, se non nelle statistiche del Tribunale dei diritti del malato, non sta a significare che abbiamo “sbagliato” solo lo 0,2 % di interventi, ma che abbiamo saputo gestire gli errori e/o le complicanze che sicuramente abbiamo prodotto in misura maggiore con intelligenza e capacità. Basti pensare che solo la voce infezioni rappresenta dall'1 al 5% delle complicanze ortopediche nelle statistiche dei migliori centri internazionali.
 
Questa piccola clinica è inutile dirlo è accreditata, ovvero risponde a tutti i requisiti minimi previsti dalla normativa in vigore (il “Bindi” per gli addetti ai lavori), più gli altri, e non sono pochi, che la mia Regione ha preteso per le strutture accreditate. Solo per quelle private s’intende, perché per quelle pubbliche è stato inserito un articoletto in una Legge Regionale che ha differito (solo per loro e per gli Ospedali religiosi) ogni adeguamento ai requisiti, a quando non si sa!
 
Per paradosso dunque, tornando al nostro “Signore Oscuro” senza un nome e senza un volto, noi dovremmo chiudere questa piccola casa di cura, che è a norma per l’autorizzazione e per l’accreditamento, opera quanto nessun altro reparto pubblico o privato riesca a fare nella stessa Regione, ha una lista chilometrica di pazienti in attesa, un contenzioso ridottissimo, un costo minimale, oltreché certo ed invalicabile, mentre dovremmo invece lasciare aperte strutture che sono prive anche del nulla osta prevenzione incendi, costano nessuno sa quanto e magari rimangono anche semivuote. Chi vuole qualche esempio mi scriva!
 
Nessuno ci ha ancora chiesto come abbia fatto una piccola struttura, in fondo alla classe, ad organizzarsi in maniera evidentemente così efficace ed efficiente, mentre senza articolare un motivo e con un colpo velenoso della sua bacchetta magica, Lord Voltemort  la vorrebbe chiusa. 
 
Ma si può!!! Noi fidiamo in Harry Potter.
                                                                                                                                                   
Pietro Galluccio
Villa Bianca (Lecce)

22 novembre 2013
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