Infermieri: si vuol cambiare tutto per non cambiare nulla
di Walter De Caro
26 AGO -
Gentile direttore,
per l’infermieristica, anche e forse più di altre professioni sanitarie, credo sia giunto il momento di voltare pagina. Rinnovamento da mettere in atto non solo attraverso la compiuta applicazione delle norme già in essere, ma con la consapevolezza e la forza per operare da protagonisti nella ridefinizione complessiva dei servizi sanitari, in un periodo in cui è necessario agire ancora più intensamente per limitare gli effetti negativi della congiuntura economica sulle risorse e conseguente sulla salute dei cittadini.
Qualsiasi riflessione su una professione non può non partire dal ruolo fin qui avuto e svolto dagli stessi professionisti e dall’incisività sulle scelte strategiche della classe dirigenziale (clinica, organizzativa, accademica e ordinistica).
In tale ambito, credo che non si possa non partire dalla reale riarticolazione del ruolo degli infermieri nei servizi sanitari e del loro percorso di carriera orizzontale e verticale. Finora l’unica regola di crescita (formale ed economica) è stata quella di distanziarsi dalla pratica clinica, svolgendo un ruolo in ambito manageriale o formativo.
Tuttavia esistono da moltissimi anni e da più parti esigenze pressanti per lo sviluppo organico della componente “specialistica”, del ruolo infermieristico (anche in parte presenti nelle norme), attuate in forma slegata e senza supporto della contrattazione. Esigenze specialistiche legate alla sempre più composita specializzazione ospedaliera ed esigenze di salute “territoriale” legate all’anziano fragile, alle urgenze minori, alla gestione e al trattamento delle cronicità, delle lesioni cutanee e delle stomie, alla promozione della salute e degli stili di vita, anche in ambito scolastico. Tutte attività che potrebbero essere pienamente soddisfatte dagli infermieri; per queste ultime, in particolare, credo che la chiave di volta possa essere individuata nell’attribuzione, senza giri di parole e sotterfugi presenti in diversi documenti, della possibilità di “prescrizione” agli infermieri, anche solo nell’alveo dei bisogni precedentemente elencati, su base regolamentata. Ma il solo parlarne, anche con alcuni colleghi, sembra essere un reato.
Già nell’ultima fase della scorsa legislatura, fu presentata una
proposta di legge n. 5425 (Farina Coscioni, Turco e altri della delegazione radicale), che poteva costituire, una base di partenza e riflessione. Sono tantissime le Nazioni, a partire dai paesi anglofoni, dai paesi scandinavi e non ultima anche dalla Spagna, dove gli infermieri, con regole e limiti ben definiti, spesso di co-gestione con altri professionisti, sono stati abilitati alla prescrizione. Non stiamo parlando di invasione nel settore medico, di fare degli infermieri dei mini-medici, ma dell’armonico completamento del percorso assistenziale di responsabilità infermieristica attraverso l’indicazione di presidi sanitari, di ausili terapeutici e di farmaci direttamente connessi necessari alle urgenze minori, alla prevenzione, alla continuità del percorso di cura e al trattamento delle cronicità.
L’esperienza degli altri paesi, adeguatamente documentata in letteratura, dimostra l’assoluta competenza e nessun rischio, anzi, per l’utenza nello sviluppo della componente prescrittiva da parte degli infermieri. Punto.
Queste sono “evidenze” tanto care ai medici. Ma forse si preferisce applicare e metterle in atto a corrente alternata o a convenienza.
I medici in Italia, come indica l’OCSE sono troppi (e quest’anno per non smentire le abitudini del paese i numeri dei posti a bando per l’università sono in aumento) ed è ovvio che per non perdere l’esclusività e la primazia in alcuni ambiti si opporranno strenuamente, nonostante le esigenze dei cittadini, basta aver visto l’ampio dibattito Quotidiano Sanità sul tema, certamente meno rivoluzionario, retrò come impostazione, e, a mio avviso, per certi versi carente e slegato dal contesto reale della
bozza di accordo Stato Regioni in tema di competenze.
Credo che le competenze cliniche avanzate e la prescrizione (da acquisire con radicale cambiamento della formazione di 2° livello universitaria) possano e debbano essere il vero focus per il prossimo sviluppo professionale e contrattuale. Permetterebbe realmente di andare incontro alle esigenze dei cittadini in loco, liberandoci finalmente dal modello ospedalo-medico-centrico (che caratterizza anche l’attuale modello di formazione).
E’ doveroso aprire un serio dibattito in merito, magari sperimentare e poi attuare, con l’auspicio di avere la forza e le competenze per superare il lobbysmo (spesso anche degli infermieri che vedono tale possibilità come molto distanza) che frena ogni minimo tentativo di superamento delle fissità caratterizzanti il sistema.
Un altro tema che ritengo meritevole di riflessione è quello della formazione universitaria.
Gli infermieri, il cui ingresso all’università in Italia è del 1965 (Scuole ai fini speciali per DAI) dal 1992-93 - a pieno titolo - con i diplomi universitari e le lauree di base e dal 2004-05 con le Lauree di 2° Livello, hanno, ad oggi (dati Miur) solo 35 professori e ricercatori di ruolo accademici, di cui 6 non abilitati all’esercizio della professione (biologi, medici), tra cui l’unico ordinario.
Il percorso formativo, prevede circa il 50% di CFU per le discipline infermieristiche. Gli infermieri rappresentano circa il 50% degli studenti delle Facoltà Mediche. I docenti, compresi i ricercatori a tempo determinato, delle Facoltà assommano ad oltre 12.000, di cui è bene ribadire soli 35 del settore infermieristico. Quindi, una componente già infinitesimale e tra l’altro invasa da medici.
In tale ambito è doveroso notare come anche pochi giorni fa (sebbene di un concorso riferito al lontano 2008) l’università Magna Grecia di Catanzaro con
questo verbale pubblicato sulla G.U. n. 64 del 13/08/2013 ha dichiarato idonei due medici, uno specialista in Medicina Interna e uno in Tisiologia e Malattie dell’apparato respiratorio quali Professori Associati di Scienze Infermieristiche.
Orbene questa scelta, conferma che le scienze infermieristiche in ambito accademico, rappresentano un settore (tra l’altro integrato in quella di Igiene) in cui tutti, possono esercitare la docenza di ruolo e la presidenza di corso di laurea/laurea magistrale, tranne che dagli infermieri abilitati alla professione. Delle due l’una, o l’infermieristica non è in Italia considerata una disciplina autonoma o se, per converso, lo è, credo sia opportuno rivendicare con la massima forza che la docenza e la ricerca accademica debbano essere esercitate unicamente-prevalentemente da infermieri (di documentata competenza) abilitati alla professione.
Nell’ambito dello sviluppo accademico, facendo un confronto anche se improprio con altra disciplina, quella della Psicologia, sviluppatosi in epoche simili, si può facilmente notare che questa ha avuto ben altra rapidità. Lo psicologo è divenuto professione regolamentata nel 1989 e immediatamente dopo la disciplina, già nel 1991 ha ottenuto la dignità di Facoltà (Università di Roma La Sapienza), poi successivamente modificata in relazione alle modificazioni statutarie. Ad oggi, secondo la regolamentazione pre-riforma risultano 8 specifici settori scientifici disciplinari, di cui per citarne solo 1, la “Psicologia Generale” ha ben 286 professori e ricercatori di ruolo. (Nota a margine, iscritti all’Ordine sono circa 83.000 vs 410.000 infermieri)
Ma la cosa interessante è ancora di più, per l’infermieristica, l’assenza di unità organizzative autonome proprie (Sezioni, Dipartimenti, Facoltà) all’interno dell’università, cosa tra l’altro in linea con le norme generali per settori di così scarsa numerosità di professori di ruolo. La gestione strategica della formazione è quindi tuttora medica (quasi tutti i presidenti dei corsi sono medici); i direttori didattici (ex coordinatori di tirocinio tecnico pratico) sono da questi nominati (spesso nel Consiglio degli incardinati ovviamente medici) cosi come quasi totalità dei docenti infermieri risulta affidataria di contratti annuali per il singolo insegnamento (nella quasi totalità dei casi gratuito e ovviamente oltre l’attività assistenziale principale svolta presso le ASL o gli Ospedali). Conseguentemente, in virtù di tale perverso meccanismo, il carico economico dei Direttori didattici e dei docenti infermieri è affidato unicamente alle Aziende Sanitarie, mentre le risorse delle quote di iscrizione ai corsi restano alle Università, senza che queste si impegnino per un piano di reclutamento o per il finanziamento di progetti di ricerca infermieristica. E' facile immaginare le reazioni se tale modello fosse attuato per altri corsi di di laurea, ad esempio quello in Medicina e Chirurgia.
Tale situazione rappresenta un caso unico in tutto il mondo accademico; provoca l’impossibilità di uno sviluppo disciplinare specifico, la limitatezza nell’azione delle attività di ricerca, come si evidenzia, per dirla anche solo in termini spannometrici dalla scarsa produzione di letteratura infermieristica italiana e di visibilità scientifica per la professione.
Soprattutto provoca ripercussioni – serie - sull’identità della professione e sull’assistenza erogata ai pazienti.
Credo che qualcosa si debba e si possa fare, agendo normativamente sull’incentivazione del reclutamento della docenza universitaria infermieristica di ruolo, come in tutti gli altri Paesi occidentali e non (anche la Thailandia ha la Facoltà di Nursing), e non come alcuni pensano con il ritorno della professione ad una formazione tecnica ai confini del mondo accademico.
Sembra, anche che l’infermieristica venga utilizzata come una sorta di “palestra” per la formazione on-line. L’università di Roma La Sapienza infatti quest’anno nel bando di accesso ai corsi delle professioni sanitarie 2013-2014 prevede la presenza di un corso in infermieristica con 200 posti organizzato con l’Università telematica UNITELMA. In tale contesto, tuttavia risultava vigente un parere del Miur (n. 4270 del 2008) che vietava i corsi di laurea on line per le professioni sanitarie e permetteva solo l’erogazione dei Master.Forse l'orientamento è cambiato, sarebbe interessante saperlo come conoscere il parere degli aventi causa.
Forse per questo tipo di erogazione di formazione si potevano utilizzare altri corsi di laurea, magari quello di medicina no?
In ultimo, una breve riflessione sui collegi. Tra le poche proposte legislative presentate dalle ultime elezioni per la professione, alcune riguardano la trasformazione in Ordini. La cosa singolare che colpisce è che tutte le proposte stabiliscono per l’elezione degli organi collegiali solo il 10% degli iscritti. Questo in sfregio a tutti i sistemi tecnologici esistenti e alle necessità che sia garantita l’ampia partecipazione e rappresentatività degli iscritti a questi organi.
Forse veramente si vuol cambiare tutto per non cambiare nulla. E lasciare l'infermieristica in balia delle onde.
Non so se esistano o si possano individuare responsabilità di tale quadro. Forse non sempre il pantano in cui ci si viene a trovare è da addebitare a esclusiva colpa di altri. Osservando tuttavia i nomi dei “decisori” di settore, in tutti gli ambiti, non si può non notare che dagli anni novanta, quando iniziai il mio percorso professionale, al 2013, ricorrono sempre le stesse facce e gli stessi nomi (leaders medici, leaders infermieri, leaders accademici, dirigenti e consulenti ministeriali e anche nei sindacati la situazione non è ben diversa).
Mah! Sembra veramente che tutto sia cristallizzato, ben più di quanto avvenuto in politica.
Forse alcuni nostri leader la voce non l’hanno alzata, per davvero, se non in rare occasioni. Forse è prevalsa la linea dell’attendismo e del fare poco “rumore” per non disturbare troppo; un futuro migliore è stato promesso e auspicato, ma continuando così, invece di avvicinarsi, va pian piano allontanandosi.
Me ne dolgo, per me, per tutti gli infermieri, specie per i più giovani, e soprattutto per i cittadini, cui potremmo offrire infermieri più preparati, migliori performance nell’assistenza infermieristica e più salute per tutti!
Walter De Caro
Infermiere,
Presidente ARIL - Associazione Regionale Infermiere/i del Lazio
26 agosto 2013
© Riproduzione riservata
Altri articoli in Lettere al direttore