Le donne medico e una nuova vision in sanità
di Rita Nonnis
13 LUG -
Gentile Direttore,
l’articolo del
prof. Cavicchi sul “fenomeno” donne medico è davvero stimolante in quanto suggerisce la necessità di ripensare la sanità da un punto di vista organizzativo "filosoficamente" diverso, in cui le donne possono essere il motore trainante di un cambiamento di prospettiva. L’alta presenza delle donne in sanità, infatti, pone in discussione in maniera evidente i rapporti di potere e di priorità del sistema sanitario nel suo complesso.
Già a Caserta nel 2007 per la prima volta le donne dei vari Ordini dei Medici d’Italia si riunivano per “contarsi” ma anche per capire insieme come “contare”. Presentammo i dati e si ebbe la consapevolezza che la sanità stava diventando a prevalenza femminile e divenne più chiara la cognizione dei problemi che si manifestavano in questo processo di femminilizzazione. La Sardegna è stata, nel 2005, la prima regione d’Italia in cui il numero delle donne medico ha prevalso sulla componente maschile, dati che presentai proprio a Caserta. In quell’occasione si parlò di maternità, di carriere negate, di formazione e delle difficoltà oggettive che le donne medico incontrano quotidianamente. Nacque allora l'Osservatorio Nazionale FNOMCEO per la medicina declinata al femminile (allora si chiamava così) e in tutti questi anni sono stati fatti numerosi convegni, analisi, dibattiti per “fotografare” la condizione delle donne medico. Nel 2008, ad esempio, organizzammo un convegno ad Alghero “Sanità per le donne, donne per la Sanità” iniziammo a riflettere proprio sul ruolo delle donne nell’organizzazione in sanità. Furono due giorni di relazioni e dibattiti interessanti e iniziò ad emergere la consapevolezza che questa organizzazione della sanità stava stretta e non congeniale alle donne.
A questo proposito è interessante ricordare anche il convegno sulla Leadership femminile in sanità nel 2011 questa volta a Firenze in cui si è riflettuto sul diverso concetto di leadership e sulla difficoltà delle donne di fare carriera. Emerge dunque una situazione difficile e complessa, dove i bisogni delle donne medico oltre a non essere presi in considerazione mal si adattano ai modelli di cura attualmente esistenti. Un modello organizzativo dunque che non “accoglie” le donne e che nel tempo si è visto non rispondere più neanche alle esigenze attuali della medicina. In occasione dell’incontro di Cagliari, insieme all’anatomo patologa
Sandra Orrù, all’oncologa
Giuseppina Sarobba e alla radiologa
Anonella Calvisi già intervenute in questo dibattito, anche io come chirurga espressi la mia visione del sistema organizzativo sanitario e dell’ approccio con il/la paziente, in quella incredibile giornata in cui si parlava di miglior cura nel percorso diagnostico e terapeutico nel carcinoma della mammella. Un rapporto medico/paziente che anche in chirurgia non è più asimmetrico (medico con conoscenze, paziente privo di strumenti di controllo e scelta) ma è divenuto simmetrico. Un rapporto in cui il paziente è soggetto attivo e proponente e dove la strategia chirurgica non è solo spiegata al paziente attraverso il consenso informato ma, in qualche modo, concordata con lui/lei.
La cura è dunque relazione, elaborazione fra soggetti attivi e cooperanti. “Noi siamo la testimonianza di Voi” disse, nel contesto cagliaritano, una paziente operata al seno. Noi e voi sullo stesso piano, equivalenti, una simmetria necessaria che rafforza e consente la cura e che rappresenta un fondamentale elemento di orizzontalità. A mio avviso emerge quindi che è necessario un processo di riorganizzazione della struttura sanitaria che nelle sue linee portanti deve prevedere una sanità orizzontale, paritetica, di alto livello, dove il/la paziente viene presa in carico, la patologia inserita nel contesto personale e sociale della persona e dove la condivisione fra pari delle strategie diagnostiche e terapeutiche determina esso stesso il miglior percorso. Oggi non esiste più il medico isolato che stabilisce diagnosi e cure, ma l’operatore sanitario è attore di un "pezzo" di un cammino complesso di diagnosi che spesso è fortemente dipendente dalle tecnologie impiegate. Discutere di miglior percorso ci ha portato ad elaborare nuove riflessioni e la necessità di nuovi cambiamenti dove il parlarsi fra professionisti, l’elaborare insieme, porta ad un miglior controllo del problema che si sta affrontando e favorisce un percorso virtuoso che altri modelli organizzativi verticistici non consentono. Dunque vi è una orizzontalità di fatto della medicina che contrasta con l’organizzazione verticistica esistente ma che occorre tradurla stabilmente nel sistema. In questo concetto di “cura” le donne medico sono una risorsa importante soprattutto ora che il divario tra scienza medica e struttura organizzativa oltre a inefficienza produce costi troppo alti. La massiccia presenza delle donne medico, che sono naturali portatrici di un atteggiamento cooperativo ed inclusivo nella cura oltre che nei processi organizzativi, privilegia lo star bene complessivo a discapito di una imposizione di cura che non tiene conto del vissuto complessivo del paziente.
Lo dice molto bene il prof. Cavicchi quando pone il problema se si deve curare il carcinoma della mammella o la mammella carcinomatosa o quando suggerisce che la parcellizzazione e l’ultra specializzazione ci aiutano a capire meglio il linguaggio della “malattia” ma compito del medico è quello di rimodularlo nella persona da curare. E allora non di tagli si parli ma di nuova organizzazione sanitaria che non può prescindere da un riconoscimento organizzativo e dirigenziale del ruolo delle donne medico. Senza questo contributo di elaborazione e di attività la sanità è destinata a peggiorare prigioniera di tecnicismi e di lobbies economiche. Attualmente, infatti, il sistema sanitario è diventato un grande castello dispendioso e dispersivo e in questo contesto non riesce più a soddisfare i principi di universalità ed equità. Si pensa di chiuderne alcune parti per risparmiare, in realtà si tolgono o si limitano servizi e prestazioni, aumentando disequità e inefficienze. Si deve invece ripensare e ristrutturare su nuove basi, anche più economiche, ma sicuramente più rispondenti alla medicina moderna salvaguardando i principi dell’universalità e dell’equità per intero, non “mitigati”.
E allora, forse, come medico donne occorre fare di più, bisogna avere un atteggiamento meno subalterno a certa medicina (o meglio a certo establishment medico) ed elaborare con coraggio una nuova
vision in sanità proprio partendo dal concetto di cura che le donne comunicano. Un sistema che consenta e favorisca un benessere lavorativo complessivo in cui le donne medico possano esprimersi ed essere agenti propulsivi positivi del sistema sanitario. Incominciamo allora a parlare di miglior percorso e di migliore spesa in sanità. Le medico donne, almeno in Sardegna, hanno già incominciato.
Dott.ssa Rita Nonnis
Chirurga presso l’U.O di Chirurgia Generale 1, Azienda Ospedaliero Universitaria - Sassari
Vice presidente dell'Ordine dei Medici e degli Odontoiatri della Provincia di Sassari
13 luglio 2013
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