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Le dotazioni infrastrutturali? Sono il cuore della “quarta riforma”, ma è ciò che manca nella maggior parte delle proposte in circolazione

di Ivan Cavicchi

30 APR -

Gentile direttore,
la riflessione che propongo viene da una “imbeccata” che mi è stata offerta da due interessanti articoli comparsi su questo giornale casualmente nello stesso giorno, il 24 aprile 2024:

Le dotazioni infrastrutturali Le questioni che affrontano questi due articoli (nel primo caso esplicitamente e nel secondo implicitamente) ruotano intorno ad un concetto chiave introdotto dalla Svimez nella sua audizione che è quello delle “dotazioni infrastrutturali”. Un tema che in genere tutti gli esperti o gli aspiranti riformatori o i problem solver e quelli che propongono per la sanità improbabili piani quinquennali, tralasciano di affrontare.

Le “dotazioni infrastrutturali” sono più o meno le “infrastrutture critiche” definite tali addirittura con una direttiva europea (114/2008). Non perdo tempo a definirle ma pensando alla sanità avanzo la seguente tesi.

Strutture e infrastrutture in sanità hanno come si dice in logica una “implicazione stretta” per cui non sono separabili quindi il cambiamento dell’una implica il cambiamento dell’altra.

Svimez La Svimez (Associazione per lo Sviluppo dell'Industria nel Mezzogiorno) ha lo scopo di promuovere lo studio delle condizioni economiche del mezzogiorno d'Italia, al fine di favorirne lo sviluppo

In audizione si è detta molto preoccupata della proposta di legge sul regionalismo differenziato dicendo fondamentalmente che la realizzazione dell'autonomia differenziata è impossibile senza mettere a disposizione le risorse per ridurre i divari tra le regioni. E siccome il governo vuole fare il regionalismo differenziato a costo zero (così è scritto nella proposta di legge) si capisce che l’obiezione della Svimez è un bel problema. Nel senso che il regionalismo differenziato rischia di mettere semplicemente a regime le differenze e le diseguaglianze che già ci sono. Cioè di giustificare le disparità e le sperequazioni soprattutto tra nord e sud ma senza rimuoverle.

Per sostenere questa tesi importante la Svimez ha fatto ricorso all’argomento delle “dotazioni infrastrutturali”:

La deospedalizzazione come destino Ma la tesi della Svimez sul rapporto tra lep e infrastrutture vale pari pari per la questione dei posti letto in ospedale.

La tesi con la quale sia Zocchetti che Maffei in polemica con le 75 società scientifiche che al contrario hanno denunciato lo sfascio in cui versa la rete ospedaliera in Italia, giustifica e spiega il taglio massiccio dei posti letto come una scelta razionale per rispondere in modo adeguato dicono loro ad un “cambio della domanda”.

Un modo molto fatalistico di ragionare come se la deospedalizzazione fosse un destino ineluttabile al quale la sanità non può sottrarsi. Cioè se necessità allora inevitabilità.

Il che potrebbe essere anche vero ma non di meno anche molto problematico. In nessun caso e da nessuna parte il taglio dei posti letto nel nostro paese ha comportato una riforma delle dotazioni infrastrutturali del sistema, meno che mai un ripensamento dell’ospedale ma men che mai un vantaggio per le comunità

Non si tratta di tornare indietro Le 75 società scientifiche nella loro conferenza non hanno chiesto come crede Maffei di riavere in dietro i posti letto soppressi e meno che mai hanno chiesto di riaprire i 125 ospedali chiusi ma hanno chiesto di riformare l’ospedale quindi la rete ospedaliera o direbbe la Svimez di riformare le “dotazioni infrastrutturali” di riferimento visto che il suo principale parametro organizzativo(posti letto per numero di abitanti) risale prima al regio decreto Petragnani del 1938 poi alla riforma ospedaliera Mariotti del 1968 mutuato dalla 833 e finito, passando per ben due contro-rifome. la 502 e la 229, nel PNRR diventando il dm 70.

Ma dopo questo lungo giro che è durato all’incirca un secolo il parametro di base degli ospedali non è cambiato è stato solo ridotto e ridimensionato e men che mai sono cambiate le sue dotazioni infrastrutturali di riferimento.

Si tratta al contrario di andare avanti Il forum delle 75 società scientifiche ha denunciato semplicemente questo anacronismo pazzesco e inspiegabile decidendo di prendere le distanze dal tavolo di lavoro messo in piedi dal ministro Schillaci ma per la semplice ragione che questo ministro non ha nessuna idea utile per riparare ai danni di una de-ospedalizzazione scriteriata e selvaggia e per rispondere alla sfida di definire una riforma delle dotazioni infrastrutturali. L’unica cosa che questo ministro vuole fare è assecondare il dm 70 cioè rassegnarsi a un destino dell’ospedale declinante ritenuto ineludibile quando non lo è. E’ ineludibile per Schillaci perché privo di una strategia non sa dove sbattere la testa ma non per le società scientifiche che al contrario una strategia precisa ce l’hanno e come.

Sarà pur vero che è cambiata la domanda di ospedale ma è altrettanto vero che rispondere a questo cambiamento con dei parametri tanto grossolani rudimentali e tanto superati senza mettere le mani nelle dotazioni infrastrutturali è un crimine vero e proprio

I collezionisti di ossa In sanità di solito a proposito di ospedali si parla sempre di “strutture” quasi mai di “infrastrutture”. Basta leggere l’ultimo articolo di Maffei di oggi. Ma la stessa cosa vale per il distretto, per la salute mentale, per la prevenzione e per qualsiasi altra cosa, Come se fosse possibile ridurre un pollo solo alle sue ossa. Ma come si può intuire un pollo siffatto è un paradosso perché un pollo del genere (cani a parte) nessuno se lo potrebbe mangiare.

Ma è un fatto che molti esperti della sanità come dimostra proprio l’ultimo articolo di Maffei sono come degli autentici “collezionisti di ossa” per citare l’omonimo film del 1999.

Tanto Zocchetti che Maffei ma anche tanti altri (penso al PNRR e a tutti coloro che in nome della prossimità quindi del territorio di fatto sono ideologicamente contro all’ospedale),in fondo in fondo sono dei collezionisti di ossa

Essi “contro” l’eccesso di ospedale pensano che sia possibile ridurlo come se fosse un intestino adottando quello che nei manuali di chirurgia r si chiama “operazione di Hartmann”. Una tecnica che asporta parti dell’intestino lasciando solo lo sfintere anale per evacuare. In questi anni negli ospedali si sono fatte “stomie” e “ectomie” di ogni tipo con lo scopo di ridurre soprattutto il numero totale dei posti letto. Ma sempre senza mai adeguare le dotazioni infrastrutturali. Cioè se mi si passa la battuta “tagliando e riducendo il tubo ma senza mai riformare un tubo”.

“Calabria salviamo la sanità pubblica” Pochi giorni fa ero a Cosenza ad un convegno sulla sanità della Calabria organizzato da Alleanza Europa Verdi Sinistra Italiana. Dopo 14 commissariamenti e il fallimentare decreto Calabria dell’ex ministro Grillo, la rete ospedaliera della Calabria è stata falcidiata ma senza compensare in nessun modo la riduzione del numero degli ospedali e dei posti letto con le famose dotazioni infrastrutturali di cui parla la Svimez e sulle quale il silenzio dei collezionisti di ossa è financo imbarazzante.

In Calabria l’art 32 della Costituzione è stato praticamente sospeso. Ma ormai tutta l’Italia sta diventando come la Calabria. E tutti come ho già scritto a seguito del prossimo def diventeremo probabilmente calabresi

L‘Aogoi ci dice che in 10 anni in Italia sono stati chiusi ben 125 ospedali. Le cifre rese pubbliche dal forum delle 75 società scientifiche fanno paura. Solo in Calabria si sono chiusi 18 ospedali.

La tesi della “conseguenza necessaria” sarebbe giusta se alla fine il saldo di salute della popolazione calabrese rimanessi quanto meno invariante e se ad ogni intervento sulla struttura vi fosse un analogo intervento sulla dotazione infrastrutturale Ma in realtà non è così. Oggi ai collezionisti di ossa resta da spiegare come mai alla “conseguenza necessaria” corrispondono 5 mld di mobilità sanitaria che in genere dal sud vanno al nord e come mai in tutta Italia le condizioni funzionali e organizzative degli ospedali sono peggiorate e come mai quasi tutti i pronto soccorso come dice la Simeu, sono in tilt e come mai gli operatori ospedalieri sono tutti alla disperazione.

La procedura di Hartmann Prima la Calabria aveva tanti posti letto addirittura più dello standard nazionale di riferimento però con un sistema territoriale di servizi inconsistente, oggi dopo che sono entrati in campo i collezionisti di ossa il territorio resta sempre inconsistente ma i posti letto in virtù della “causa necessaria” sono stati drammaticamente resecati naturalmente seguendo scrupolosamente la procedura di Hartmann. Cioè lasciando solo lo sfintere

Prima in Calabria il parametro dei posti letto certamente era oltre lo standard consentito dai collezionisti di ossa ( ricordo che per costoro ciò era un intollerabile scandalo) ma per la comunità calabrese comunque era una garanzia nel senso che i calabresi certo non avevano i servizi nel territorio ma per lo meno avevano gli ospedali e i loro ambulatori. Scalcinati certo e male in arnese come scrive Maffei ma pur sempre ospedali. I collezionisti di ossa hanno cominciato a dire che erano ospedali pericolosi e che nell’interesse primario dei cittadini andavano chiusi. Ma oggi i calabresi quella unica garanzia per quanto problematica che avevano non ce l’hanno più. Molti ospedali sono stati chiusi senza dare alle comunità nessuna contropartita e ovviamente senza adeguare in nessun modo le dotazioni infrastrutturali di cui parla lo Svimez

Conclusione Diversamente dai collezionisti di ossa continuo a credere che se un pollo è un pollo e che per quanto le ossa siano importanti esso non può essere fatto solo da ossa. Le dotazioni infrastrutturali per quello che mi riguarda sono il cuore della mia proposta di “quarta riforma” consapevole che però è ciò che manca nella maggior parte di proposte che vedo in circolazione.

Ivan Cavicchi



30 aprile 2024
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