Infermieri e demansionamento. Se il Codice deontologico fa giurisprudenza
È quanto si è verificato con una sentenza dei giudici della Corte di Appello di Roma che hanno motivato il demansionamento di un infermiere con il richiamo all'articolo 49 del codice deontologico dell’infermiere della Federazione Ipasvi. LA SENTENZA
10 DIC - La tematica del demansionamento si impone a livello legislativo con le recenti innovazioni introdotto dal c.d.
Jobs Act e nella aule di giustizia. Il nostro ordinamento è tradizionalmente sempre stato attento alle norme che attribuivano mansioni superiori tentando di circoscriverle con il dichiarato intento antisfruttamento e le mansioni inferiori con il dichiarato intento di tutelare la dignità del lavoratore.
La disciplina delle mansioni del pubblico impiego ha sempre avuto un regime speciale. Penalizzante rispetto ai lavoratori privati per quanto concerne le mansioni superiori e sostanzialmente vietando – a parte un ridottissimo numero di anni – le mansioni inferiori.
Il Jobs Act ha introdotto una forma di demansionamento legalizzato in caso di assetti organizzativi mutati incidenti sulla “posizione del lavoratore” e aprendo anche a ipotesi demansionanti all’interno dei contratti collettivi.
Nella vicenda giudiziaria di cui ci occupiamo il tutto parte da una circolare di una direzione sanitaria di presidio che attribuisce la chiusura dei rifiuti ospedalieri (R.O.T.) al personale Ota/Ausiliario e, in loro assenza, al personale sanitario presente nel turno di lavoro”. La disposizione sembra essere direttamente riferita prevalentemente a infermieri e ostetriche.
Un infermiere ha convenuto in giudizio l’azienda ospedaliera di fronte al giudice ordinario del lavoro chiedendo la disapplicazione della circolare sostenendo che tale attività non è di competenza infermieristica e deve essere inquadrato come mansione inferiore e quindi costituendo attività demansionante non può essere imposta dalla dirigenza aziendale. Il Tribunale di Roma (I sezione lavoro, sentenza 16 dicembre 2012, n. 2771), citando la normativa in vigore sulla disciplina delle mansioni non più in vigore che permetteva “occasionalmente e ove possibile con criteri di rotazione compiti o mansioni immediatamente inferiori”, disapplicava la norma in quanto la chiusura dei rifiuti non comportava l’attribuzione delle mansioni “immediatamente inferiori” (individuate, rispetto all’infermiere ex professionale, alla figura dell’infermiere generico) ma di un livello eccedente il livello immediatamente inferiore come quello di inquadramento della figura dell’ausiliario e della figura ad esaurimento dell’operatore tecnico addetto all’assistenza. Il Tribunale di Roma conclude stabilendo che la “mansione di chiusura e confezionamento dei R.O.T. costituisce demansionamento” se riferita alla professione infermieristica.
La Corte di appello riforma la sentenza di primo grado (sentenza , II sezione lavoro, sentenza 2 dicembre 2015, n. 8132) avendo cura di specificare che il thema
decidendum è “incentrato esclusivamente sul demansionamento derivante dall’applicazione della circolare impugnata”. Proseguono i giudici romani specificando che la circolare in questione aggiunge un’attività agli ordinari compiti infermieristici e “soltanto in ipotesi di carenza del personale ausiliario”. Dopo avere citato leggi specifiche del pubblico impiego la Corte di appello di Roma però cita a base della sua decisione una fonte extra-giuridica ancorché richiamata da una legge ordinaria: il codice deontologico della Federazione Ipasvi. Il principio di diritto ricavabile, secondo i giudici di appello trae la legittimità proprio dal codice deontologico.
Riportiamo per esteso il punto in questione:
“Trattasi evidentemente di un’attività di supplenza da svolgersi nell’interesse primario degli assistiti e dell’organizzazione del servizio, quindi pacificamente rientrante tra i compiti di compensazione previsti dall’articolo 49 del codice deontologico dell’infermiere, il quale espressamente sancisce in capo agli infermieri professionale un’ampia responsabilità su tutti gli aspetti igienico sanitari del reparto in cui operano”.
Riportiamo per completezza l’articolo 49 del codice deontologico (Ipasvi, 2009) che, come tutti gli articoli dell’articolato, non è curiosamente rubricato.
Art. 49
L’infermiere, nell’interesse primario degli assistiti, compensa le carenze e i disservizi che possono eccezionalmente verificarsi nella struttura in cui opera. Rifiuta la compensazione, documentandone le ragioni, quando sia abituale o ricorrente o comunque pregiudichi sistematicamente il suo mandato professionale.
E’ proprio il concetto di compensazione che è stato sposato dai giudici romani per motivare la loro decisione. Non è certo la prima volta che il codice deontologico Ipasvi viene citato nelle sentenze di merito, è però la prima volta, a quanto ci risulti, proprio dell’articolo 49. Sono state citate le disposizioni sul segreto professionale, sulla tutela della riservatezza, sulla contenzione (altro articolo estremamente delicato): sono però argomenti che rientrano a pieno titolo in quella necessaria cristallizzazione dell’etica professionale che rappresenta la deontologia.
Quando la migliore dottrina medico-legale analizzò i rapporti tra la natura delle norme deontologiche ebbe modo di classificarle in quattro tipologie: a) norme deontologiche rapportabili a specifiche previsioni di legge; b) norme di natura prettamente etica; c) norme di natura prettamente deontologica; d) norme di carattere disciplinare (Aprile A., Benciolini P., Il codice deontologico dell’ostetrica/o: prime valutazioni, Rivista di diritto delle professioni
sanitarie, 2, 2000).
E’ difficile in effetti, individuare la natura della norma ex art. 49 codice Ipasvi, e se sia o meno (non lo è) incasellabile nelle quattro tipologie di norme caratterizzanti i codici deontologici. Potremo definire la natura della norma, ex art. 49, di carattere “aziendalistico” e non rapportabile alle usuali norme deontologiche.
Anche perché, tale previsione normativa, non ha eguali nella altre normazioni codicistiche. Sarebbe del tutto paradossale infatti se il ricorrente anziché un infermiere fosse stato un’ostetrica i giudici avrebbero potuto confermare la disapplicazione posta dal Tribunale di Roma. Eppure il campo di attività e responsabilità delle due professioni è proprio determinato dallo stesso corpus normativo. La differenza potrebbero farla proprio le disposizioni del codice deontologico di categoria e non le fonti normative giuridiche.
L’opposizione alla compensazione, lo leggiamo in quella sorta di interpretazione autentica costituita dal Commentario al Codice deontologico dell’infermiere della stessa Federazione Ipasvi, può avvenire laddove “non vi sia eccezionalità ma consuetudine” e laddove vi sia impossibilità a garantire adeguati standard assistenziali per sistematica inadeguatezza dell’organico”[Silvestro A. (a cura di) Mc Graw Hill, 2009]. Recentemente la presidente della Federazione Ipasvi ha denunciato, proprio su queste pagine, l’enorme carenza dell’organico su scala nazionale parlando di carenza di ben 18.000 infermieri di cui 3706 solo nel Lazio, la regione interessata dalla sentenza in questione. Inoltre, in questi giorni, un emendamento alla legge di Stabilità sta provvedendo
allo stanziamento di risorse per l’assunzione straordinaria di migliaia di unità mediche e infermieristiche, riconoscendo quindi, la grave carenza di personale. Vi è quindi da domandarsi se, in questo grave contesto carenziale, una norma deontologica debba o possa “compensare” proprio le gravi insufficienze di organico.
E’ anche paradossale che nell’anno in cui l’attenzione e il dibattito si sono polarizzate sulle nuove attività e competenze “avanzate e specialistiche” con tutte le polemiche sul “comma 566” della legge di stabilità 2015 la giurisprudenza di merito attribuisca agli infermieri competenze nella stretta gestione operativa dei rifiuti.
Queste considerazioni ovviamente vanno oltre la stretta vicenda processuale. Notiamo che verosimilmente non siano state effettivamente date le prove dell’attività demansionante del ricorrente e che una disamina dell’illegittimità della circolare poteva essere svolta solo dal giudice amministrativo (senza bisogno di dover provare l’effettiva attività demansionante).
Priva di pregio è altresì la ricerca della categoria “immediatamente inferiore” a quella infermieristica in quanto si basa sulla previgente normativa – poi abrogata – che permetteva le mansioni immediatamente inferiori. In questo caso, tra l’altro, i giudici romani citano a sproposito la legge 42/99 che avrebbe, a loro dire, abrogato la figura dell’infermiere generico (che invece era già a “esaurimento”) e che di conseguenza porterebbe la figura dell’ausiliario al livello “immediatamente inferiore” all’infermiere.
In conclusione registriamo, quindi, l’assoluta novità dell’interpretazione del “campo proprio di attività e responsabilità” dell’infermiere avutosi in sede giurisprudenziale utilizzando proprio l’inusuale articolo 49 del codice deontologico Ipasvi che ha di fatto introdotto, per via giurisprudenziale, la fattispecie del “demansionamento per compensazione”.
Luca Benci
Giurista
10 dicembre 2015
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