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I piani di rientro delle aziende in rosso. Frittelli (Tor Vergata): “Ma si pensa veramente di risolvere il problema facendo fuori il DG?”

La realtà è molto più complessa. E chi parla dirige un grande policlinico universitario laziale. La Regione forse più in difficoltà per i bilanci delle sueaziende ospedaliere. Ma pensare che la soluzione sia in un piano di rientro lacrime e sangue senza attaccare le contraddizioni gestionali che ingessano i bilanci è solo una scorciatoia senza sbocco

03 NOV - Da poco più di un anno dirigo una delle aziende sanitarie italiane in rosso, il Policlinico di Tor Vergata. Sono orgogliosa di lavorare nel Servizio Sanitario Nazionale, perché, grazie alla grande professionalità dei più che ci lavorano, riusciamo ad offrire a questo Paese, seppure in condizione di grande difficoltà, un servizio che cura i primi e gli ultimi. Per questo motivo ritengo che la riduzione dei disavanzi, che certamente mettono in pericolo la sostenibilità di un sistema, sia, ancor prima che un problema economico, un problema etico.
 
Lascio ai massimi sistemi spiegare perché  si consente che, a fronte di una riduzione della spesa per la sanità continui a crescere quella pubblica ma non mi sento esentata da una analisi rigorosa sulla sostenibilità del mio piccolo orizzonte Policlinico Tor Vergata. A prescindere da qualunque legge e da qualunque timore di decadenze punitrici. Se vogliamo raggiungere l’obiettivo, abbiamo bisogno di grande lucidità nell’affrontare la situazione, a partire dalla mia.
 
Nel Lazio i conti economici delle Aziende ospedaliere sono a dir poco disastrosi. Come noto, per tali strutture, il sistema di remunerazione si basa sulle tariffe e sui Drg, ovvero sulle prestazioni realmente erogate, con l’aggiunta di un contributo sulle funzioni, che rappresenta l’unica arma di “politica” economica delle regioni per incentivare gli indirizzi di politica sanitaria, nell’ambito di quanto indicato, piuttosto genericamente, dall’articolo 8 sexies del d.lgs 502/92 e smi.
 
Le aziende sanitarie, invece, sono remunerate per quota capitaria, con un finanziamento, pertanto, non direttamente correlato alle prestazioni rese. Per la prima volta questa Regione sta tentando in maniera decisa di rafforzare il territorio, costituendo case della salute, cercando di mettere in atto quanto previsto dalla legge Balduzzi sulle cure primarie, attraverso un accordo con i MMG sulla loro presenza nei giorni festivi, ma, di fatto, l’ospedale e il territorio sono ancora mondi separati e ci vorrà del tempo prima che siano poste in atto forme efficaci di collegamento.
 
In un processo “disaggregato” di cura, l’ospedale è spesso l’unico luogo fisico in grado di assicurare le cure e nelle regioni, come il Lazio,  nelle quali il territorio è ancora carente -  sia come medicina di prossimità che di iniziativa che di continuità -  molto del peso, anche economico, è comunque ancora dislocato sulle grandi strutture ospedaliere.
 
Quindi, un primo snodo per uscire dalla crisi è un raccordo strutturato e non “volontaristico” tra ospedale e territorio, sulla base di una attenta analisi epidemiologica e sociale dei bacini di utenza. Ma se si scarica tutto sul piano di rientro delle aziende ospedaliere, temo che dalla partita sia difficile uscire.
 
Inoltre, tre anni (come “drasticamente” previsto nel disegno di legge di stabilità 2016) sono un periodo assolutamente insufficiente per uscire dai grandi deficit. Tale perentorio termine rischia solo di indurre il direttore generale a “tagliare” settori importanti di assistenza, in maniera lineare, non avendo a disposizione adeguati spazi e tempi per un credibile e sostenibile efficientamento della struttura organizzativa. Al di sopra di un certo ammontare del deficit dovrebbe essere previsto un periodo “gestionale” più esteso, non minore, ad esempio, di 5 anni, per dare il giusto respiro al piano di rientro aziendale.
 
Non si possono, poi, fare piani di rientro triennali con decadenza automatica del direttore generale, con un CCNL della Dirigenza sanitaria che contestualmente presenta forti “asimmetrie” rispetto a detta previsione quanto alla durata degli incarichi dei dirigenti e alle relative tempistiche di valutazione. I CCNL della dirigenza sanitaria, a queste condizioni, dovrebbero, pertanto, essere immediatamente posti in linea con la nuova previsione riferita al direttore generale al fine di dare congruità e coordinamento interno al complesso sistema.
 
Il secondo problema è la governance interna
. Non si esce dai grossi disavanzi se non si reingegnerizza in profondità l’organizzazione. Non basta comprare meglio, ma serve controllare cosa si compra e soprattutto come si usa, in relazione agli outcome clinici. Ci vogliono esperte professionalità interne. Le Centrali di committenza hanno necessità di acquisire i fabbisogni aziendali già definiti dalle stesse aziende in modo corretto ed appropriato. Non si può cassare o, peggio, impedire la nascita di strutture di HTA all’interno degli ospedali.
 
All’interno del policlinico abbiamo iniziato, con molta fatica, una discesa dal deficit ereditato. Lo stiamo facendo grazie ad una revisione dell’intera organizzazione ma, soprattutto, grazie a professionalità esperte, sia di acquisizioni che di HTA, e continueremo su questa strada con l’utilizzo di ulteriori professionalità in via di acquisizione, senza le quali sarebbe impossibile rimuovere le strutturali criticità che si traducono in costi inappropriati. Pertanto, ritengo, con profonda convinzione maturata sul campo, che il comma 4 dell’articolo 41 del disegno di legge di stabilità 2016 vada cassato.
 
Va benissimo una cabina di regia nazionale e regionale sull’HTA, ma c’è necessità che all’interno delle aziende ci siano esperti in grado di recepire,  controllare e “gestire” operativamente quanto stabilito con linee guida nazionali e regionali.
 
Infine, una volta vagliati positivamente i percorsi di HTA nel caso concreto, occorre affrontare il delicato tema dell’innovazione farmacologica e tecnologica in tutti quei processi nei quali il Drg non copre nemmeno il costo del dispositivo o del farmaco. Il direttore generale deve essere, senza dubbio, responsabile dei costi inappropriati dell’organizzazione, ma non può essere responsabile (ed eventualmente sanzionabile)  per la difficile sostenibilità complessiva dell’innovazione che certamente non può essere arrestata, soprattutto in un ospedale ad alta complessità.
 
Il Lazio, essendo in piano di rientro, non ha possibilità di definire tariffe più alte dei Drg, ma le aziende non possono essere lasciate sole a stabilire quali cure innovative prestare e quali negare. Va individuata una politica di sostenibilità a livello regionale e i centri prescelti dovranno essere remunerati attraverso un finanziamento per funzioni, come avviene, per esempio, nella Regione Lazio, con i trapianti, che altrimenti sarebbero insostenibili rispetto al Drg di riferimento.
 
Infine, un discorso a parte va fatto per le aziende universitarie, a “doppia” governance, dove il direttore generale ha, di fatto, minori strumenti che in un’azienda ospedaliera ed una maggiore complessità da gestire, anche in termine di costi, derivante dalla ricerca. In caso di aziende universitarie con necessità di piano di rientro, deve essere specificamente previsto dai protocolli d’intesa tra regione e università la possibilità che il direttore generale possa operare con un complessivo rafforzamento di tutti gli strumenti gestionali disponibili.
 
Tiziana Frittelli
Direttore generale della Fondazione Policlinico Tor Vergata

03 novembre 2015
© Riproduzione riservata

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