Farmacia. Tar Lombardia: “La separazione di parte del laboratorio galenico è in astratto compatibile con normativa”
Con la sentenza n. 659/2020, il Tar ha annullato il diniego reso nei confronti di una domanda di ampliamento del laboratorio galenico in locali separati avanzata da una farmacia milanese, che aveva impugnato il provvedimento di rigetto, unitamente al parere reso al riguardo dal Ministero della Salute, interpellato dalla Regione Lombardia. Il Collegio ha sostenuto che l’ampliamento “lungi dal pregiudicare la facilità di accesso al servizio erogato, è preordinato a consentire l'erogazione di un servizio migliore”.
12 MAG - Il Tar Lombardia, con sentenza n. 659/2020, ha annullato il diniego reso nei confronti di una domanda di ampliamento del laboratorio galenico in locali separati avanzata da una farmacia milanese, che aveva impugnato il provvedimento di rigetto, unitamente al parere reso al riguardo dal Ministero della Salute in data 30.05.2019, interpellato dalla Regione Lombardia.
Si precisa che si tratta di una pronuncia di primo grado e, pertanto, potrà essere oggetto di impugnazione, con conseguente valutazione della questione da parte del Consiglio di Stato.
In particolare, la farmacia aveva richiesto all’ATS competente l'autorizzazione all’ampliamento del proprio laboratorio galenico presso un diverso stabile, situato fuori dal territorio comunale, ritenendo che l’ampliamento del laboratorio, mediante spazi fisicamente separati dal resto della farmacia, ma pur sempre connessi ad essa per via organizzativa e telematica, potesse contemperare le esigenze di sviluppo dell’attività con la migliore condizione di lavoro dei farmacisti collaboratori.
In proposito, i Giudici hanno premesso che la compressione del principio di libertà di stabilimento (art. 49 e ss. TFUE) e del principio di libertà d’iniziativa economica, anche sotto il profilo del principio d’uguaglianza (artt. 3 e 41 Costituzione), insita nel monopolio della vendita del farmaco e nel particolare regime d’organizzazione territoriale delle farmacie, sarebbe giustificata nei limiti in cui ciò è ritenuto necessario dal legislatore a garanzia della qualità del servizio farmaceutico, ovvero per garantire ai cittadini facilità d’accesso al servizio senza discriminazioni territoriali.
Nel caso di specie, il Collegio ha sostenuto che l’ampliamento del laboratorio “lungi dal pregiudicare la facilità di accesso al servizio erogato, è preordinato a consentire alla farmacia l’erogazione di un servizio migliore”. Pertanto, il diniego di autorizzazione si risolverebbe “nell’imposizione di un vincolo illogico e irragionevole alla libertà del farmacista (professionista e imprenditore) di organizzare la propria farmacia nel modo più efficiente, secondo la propria autonoma valutazione”.
Il Tar ha, infatti, precisato, che, da un’analisi della normativa richiamata nel provvedimento impugnato (articoli 109, 110 e 119 del R.D. 1265/1934), “non si ricava affatto una chiara incompatibilità in astratto della separazione fisica di una parte del laboratorio galenico con la restante parte della farmacia, né si ricava – per converso - la necessità che, ai fini del corretto espletamento del servizio farmaceutico, debba sussistere un collegamento fisico, oltre che funzionale, tra tutti i locali della farmacia, ivi inclusi quelli che nulla hanno a che vedere con l’accesso degli utenti”.
Nello specifico, le norme esaminate non impediscono l’utilizzo da parte di una farmacia di un laboratorio esterno, in alcun modo accessibile al pubblico, situato non solo fuori dalla sede farmaceutica, ma altresì dal territorio comunale, e quindi, non collegato fisicamente agli altri locali dedicati allo stoccaggio ed alla dispensazione al pubblico dei medicinali.
In primo luogo - per i Giudici - l’articolo 109, che stabilisce che nel decreto di autorizzazione sia indicata la località nella quale la farmacia deve avere la sua sede, con la specificazione che “l'autorizzazione è valevole solo per la detta sede”, non è d’ostacolo ad un’articolazione della stessa su più locali, non fisicamente collegati. La norma, di fatti, non impedisce che un locale afferente all’azienda farmaceutica possa essere ricompreso nell’autorizzazione, sia pure quale locale non accessibile al pubblico e perciò solo inidoneo ad incidere sul contingentamento delle sedi farmaceutiche, in quanto destinato soltanto ad ospitare una parte del laboratorio galenico.
Per quanto concerne l’art. 110 dello stesso decreto 1265/1934, relativo all' “obbligo nel concessionario di rilevare dal precedente titolare o dagli eredi di esso gli arredi, le provviste e le dotazioni attinenti all'esercizio farmaceutico, contenuti nella farmacia e nei locali annessi, nonché di corrispondere allo stesso titolare o ai suoi eredi un'indennità di avviamento...”, il Collegio ha chiarito che neanche questa norma è dirimente, non potendo attribuire all’espressione «locali annessi», un riferimento univoco a locali fisicamente collegati.
In ambito giuridico - aggiunge il Tar - resta da stabilire se tale espressione implichi o meno un legame fisico. In effetti, la cosa accessoria non è legata stabilmente alla cosa principale e non è richiesto il legame fisico neppure per le pertinenze di cui al comma 2 dell’art. 818 del codice civile.
Prima di passare alla disamina della ratio del citato articolo 110, il Collegio ha ritenuto opportuno rammentare che strutturalmente le farmacie coniugano una disciplina civilistica e una pubblicistica, di cui si rendono necessari coordinamenti che non ingenerino effetti incongruenti con l’una o l’altra delle discipline interessate. Un esempio in tal senso è dato dall’art. 12 della L. 475/1968, in base al quale: “il trasferimento della titolarità delle farmacie, a tutti gli effetti di legge, non è ritenuto valido se insieme col diritto di esercizio della farmacia non venga trasferita anche l'azienda commerciale che vi è connessa, pena la decadenza”.
L’articolo 110 ha, quindi, proprio lo scopo di rafforzare il nesso tra il farmacista imprenditore e la sua azienda, senza porre particolari limiti alla definizione di quest’ultima, in specie quanto alle sue articolazioni. Secondo la giurisprudenza civilistica, infatti, i profili pubblicistici investono l’intero complesso aziendale e non singole componenti e non si traducono in ragioni di disarticolazione dell’azienda.
Peraltro, se più sedi fisicamente separate e oggetto di distinte autorizzazioni non infrangono per ciò solo il vincolo funzionale impresso ai beni del compendio aziendale dal farmacista imprenditore, non si giustifica come tale nesso possa essere reciso per la sola dislocazione fisicamente separata di una parte del laboratorio galenico.
Con riguardo, invece, alla presunta violazione dell’art. 119 del R.D.1265/1934, nella parte in cui il provvedimento di diniego fa discendere dal principio della responsabilità personale del titolare della farmacia l’impossibilità della stessa di essere articolata in locali separati, il Tar ha rilevato che la norma, alla luce delle modifiche intervenute anche sul profilo della responsabilità del farmacista in ordine al regolare espletamento del servizio (art. 11, comma 1, della legge n. 362/1991), non impone più una «gestione diretta e personale dell’esercizio e dei beni patrimoniali» da parte del titolare della farmacia (oggi declinata come “responsabilità del regolare esercizio e della gestione dei beni patrimoniali della farmacia” - art. 11 legge n. 475/1968, nella versione attualmente vigente), che ben può ipotizzarsi anche in relazione all’attività svolta in locali fisicamente separati da quelli in cui ha luogo l’accesso al pubblico.
Tale separazione, non diversamente dalla dislocazione della farmacia su più piani di un medesimo edificio, come nel caso in esame, può richiedere una determinata organizzazione interna dei rapporti fra il direttore tecnico e i suoi collaboratori, anche mediante l’uso delle deleghe, ma senza impedire con ciò la responsabilità personale del direttore di fronte all’Amministrazione.
Pertanto, l’autorizzazione di un locale aggiuntivo e separato non è di per sé idonea ad impedire la corretta erogazione del servizio da parte della farmacia.
Per il Collegio, non è pertinente, poi, il richiamo della difesa al precedente del Tar Puglia, poiché l’attività esaminata dalla sentenza leccese riguarda l’erogazione di prestazioni analitiche di prima istanza, che per loro natura, a differenza dell’attività di predisposizione dei preparati galenici, implica la collocazione nei locali della farmacia in cui è previsto l’accesso al pubblico.
Si segnala, infine, che la sentenza rimarca che la “quantità” degli allestimenti non modifica la loro natura di preparati galenici magistrali, evidenziando che, ove l’allestimento si concreti, come nella specie, nell’esecuzione di quanto prescritto da una ricetta magistrale, non può che rimanere un allestimento galenico, senza trasformarsi in prodotto “industriale” di una “officina farmaceutica”.
12 maggio 2020
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