Le prime “tre” priorità per la sanità 2020. Forum con i sindacati della dirigenza medica e sanitaria. Rispondono Anaao, Cimo-Fesmed e FVM (seconda parte)
di L.F.
Aspettative, timori e richieste per il 2020 della sanità concentrate nelle prime tre priorità che si dovrebbero affontare per dare una svolta al sistema sanitario italiano. In questa seconda puntata rispondono Carlo Palermo, Segretario Nazionale Anaao Assomed, Guido Quici, Presidente nazionale Cimo-Fesmed e Aldo Grasselli, Presidente Federazione Veterinari e Medici (FVM)
16 GEN - Con l'arrivo del nuovo anno
Quotidiano Sanità ha voluto promuovere un forum con diverse associazioni sindacali del settore per mettere a fuoco preoccupazioni e aspettative. Dopo la
prima puntata in questa seconda ecco cosa ci hanno detto
Carlo Palermo, Segretario Nazionale Anaao Assomed,
Guido Quici, Presidente nazionale Cimo-Fesmed e
Aldo Grasselli, Presidente Federazione Veterinari e Medici (FVM)
Nel 2020 sono molteplici le sfide che attendono la sanità italiana. Quali sono le vostre 3 priorità?
Carlo Palermo, Segretario Nazionale Anaao Assomed
Il 2020 può realmente rappresentare l’anno della svolta per il nostro servizio sanitario, almeno per quanto riguarda t
re delle criticità che da anni mettono in pericolo la qualità delle cure erogate e la sopravvivenza stessa del SSN: il depauperamento delle dotazioni organiche, la remunerazione dei professionisti e la formazione specialistica post lauream. Tutti fattori che sono implicati, direttamente o indirettamente, in quello che noi definiamo disagio lavorativo e quindi nella scarsa attrattività del lavoro in ospedale e nella fuga verso il privato o verso l’estero che oggi osserviamo da parte di una quota consistente del nostro mondo professionale, anche prima di raggiungere i limiti pensionistici.
Come invertire la rotta?
E’ importante sicuramente dare seguito alle promesse avanzate da parte del Presidente del Consiglio Conte in merito al finanziamento del SSN. Avere per almeno un arco temporale, che potrebbe essere un quinquennio (2020/2024), la
certezza di un incremento annuale del FSN intorno ai 2 mld può rappresentare il primo passo verso la salvezza, il livello minimo di finanziamento per affrontare le criticità emergenti. Serve, soprattutto, per avviare un grande piano assunzionale il cui costo è valutabile in 2,5 mld di € considerando la riduzione di medici, dirigenti sanitari e infermieri avvenuta negli ultimi 10 anni, circa 46 mila unità. In questa ottica, è molto importante avere previsto nel Patto per la Salute e nel Decreto Fiscale per il 2020 il superamento del limite posto con l’articolo 11 del DL “Calabria” relativo alle risorse destinate all’incremento delle dotazioni organiche rispetto al 2018. Senza questa modifica, le Regioni in piano di rientro avrebbero impiegato decenni per recuperare il personale perso dal 2009 in avanti. In sostanza, si è deciso di portare la disponibilità economica dal 5% attuale al 15% dell’aumento del finanziamento del fondo sanitario regionale rispetto all’anno precedente.
Per essere realmente efficace, tale incremento percentuale deve associarsi ad un aumento della quota corrente del FSN mantenuto nel tempo. In presenza di uno sblocco largo delle assunzioni, per far fronte alla carenza attuale e futura di specialisti
deve essere rapidamente emanato il regolamento quadro inter-ministeriale che permetta una attuazione omogenea della norma contenuta nell’articolo 12 del DL “Calabria” favorendo, con le integrazioni introdotte nel Patto per la Salute, l’assunzione a tempo determinato degli specializzandi del 3°, 4° e 5° anno con un contratto di lavoro a tempo parziale collegato a quello dell’Area della Dirigenza sanitaria. Ad oggi sono circa 13.000 i medici in formazione interessati e rappresentano, insieme con i circa 15.000 specializzati degli ultimi tre anni, una platea adeguata per tamponare la prima ondata pensionistica che avremo entro il 2022.
Il risparmio sui contratti di specializzazione, a seguito dell’assunzione degli specializzandi da parte delle Regioni, associato comunque ad un ulteriore finanziamento statale, permetterà di incrementarne il numero a partire dall’anno accademico 2020/2021 ad almeno 11.000/11.500, di cui 10.000/ 10.500 statali, tra contratti strutturali e non, e 1000 regionali. Innescando tale circolo virtuoso si comincerebbe a rispondere alle attese dei medici intrappolati nell’imbuto formativo, circa 8 mila, destinati altrimenti ad incrementare nei prossimi anni per l’arrivo alla laurea degli studenti iscritti dalla magistratura amministrativa. L’aumento degli specializzandi e del numero dei futuri specialisti aiuterà ad affrontare la seconda ondata di pensionamenti che avremo dal 2023 in avanti. Se si vuole, questi provvedimenti rappresentano l’anticipo di una riforma della formazione post lauream in cui lo specializzando si possa formare per la parte teorica nell’università (primo biennio) e per la parte pratica degli anni successivi negli Ospedali del SSN (Learning Hospital) con stipendi adeguati e tutele previdenziali e sindacali più ampie.
Se si vuole fermare la fuga verso l’estero dei giovani laureati, è fondamentale recuperare il gap oggi esistente tra le remunerazioni dei medici e dirigenti sanitari nel nostro Paese e quelle del resto dell’Europa occidentale, valutabile mediamente in oltre 40 mila € lordi per anno. Sotto il profilo della valorizzazione economica del nostro lavoro, dopo la firma del Ccnl 2016/18, può aiutare l’avvio in tempi rapidi della trattativa per la chiusura del contratto 19/21. Chiediamo, inoltre, a tutte le forze parlamentari l’approvazione dell’articolo 25 del “Milleproroghe” che agendo in deroga all’articolo 23, comma 2, del D.lgs 75/2017, permette il ritorno nei fondi accessori, in un arco di tempo che va dal 2020 al 2026, della cosiddetta Retribuzione Individuale di Anzianità (RIA).
Si tratta di una prima ricaduta positiva della firma avvenuta il 19 dicembre scorso del contratto di lavoro dopo 10 anni di blocco. Finalmente si potranno utilizzare risorse aggiuntive per poter completare l’armonizzazione dei fondi accessori, premiare il merito e remunerare il disagio. La defiscalizzazione della produttività aggiuntiva, già concessa al lavoro privato e agli insegnanti pubblici, rappresenta una ulteriore leva per incrementare la remunerazione dei professionisti, mettendo al servizio dell’abbattimento delle liste di attesa milioni di prestazioni in più certe e non aleatorie. Così come la rivalutazione dell’indennità di esclusività, ferma sostanzialmente ai suoi valori originari del 2000 con uno svilimento del valore economico valutabile in oltre il 40%.
In definitiva, ci attendiamo per il 2020 un insieme di misure per migliorare il lavoro negli ospedali e nel SSN, per renderlo attrattivo per i giovani ed i meno giovani riducendone la precarizzazione e migliorandone la qualità e i suoi contenuti economici. Un processo già meritoriamente avviato dal Ministro Speranza per ridare valore al lavoro nel SSN.
Guido Quici, Presidente nazionale Cimo-Fesmed
Le condizioni di lavoro dei medici per CIMO-FESMED sono la priorità assoluta. I sanitari sono davvero allo stremo, in condizioni di disagio e demotivazione professionale. Se è in atto una fuga dei medici dal SSN è perché il medico non si sente “tutelato”, non solo sul fronte delle aggressioni fisiche quanto su quelle legali e reputazionali, alimentate da attori concentrati sull’espansione del contenzioso sul rischio professionale. Al tempo stesso il medico è stanco di essere esposto a condizioni di stress per garantire turni di servizio legati a vistosi vuoti di organico.
Non sono certo di aiuto alcune “innovazioni” contrattuali, quali la possibilità della pronta disponibilità pomeridiana o la regolamentazione dell’orario di lavoro non in linea alla normativa europea, che potrebbero peggiorare ulteriormente le condizioni di lavoro. Ovviamente, la tutela del medico è anche valorizzazione della professione: anche su questo, il contratto di lavoro non offre sufficienti garanzie di carriera a causa della ristretta percentuale di incarichi professionali legata alla capienza del fondo e, soprattutto, all’ampia discrezionalità aziendale nell’affidamento degli incarichi. Non da meno sono le condizioni di lavoro dei medici che lavorano nelle strutture private. Tutte queste dinamiche sono ben conosciute dai giovani colleghi, molti dei quali hanno già scelto di lavorare in altri Paesi.
Come Federazione CIMO-FESMED riteniamo sia scaduto il tempo dei proclami.
Chiediamo una rapida approvazione del Ddl contro le aggressioni al personale, ancora fermo presso la Commissione Affari Sociali della Camera, ed è necessario lavorare sui nuovi temi emergenti della responsabilità professionale, prima di tutto rendendo operativi i Decreti Delegati della Legge Gelli. E sulle condizioni di lavoro e sulla carriera professionale, la Federazione sta lavorando alla proposta di una nuova piattaforma contrattuale, anche per correggere le vistose anomalie dell’attuale contratto.
La seconda priorità è iniziare quella “terapia d’urto” necessaria a dotare la sanità di un progetto di visione e proiezione nel futuro. La costante involuzione dell’ultimo decennio ha reso sempre meno sostenibile il nostro servizio sanitario. La politica ha dimostrato di essere sempre meno attenta ai bisogni di salute dei cittadini e alla tutela dell’ottimo personale sanitario: riducendo la spesa sanitaria, operando tagli lineari e favorendo una sanità sempre più differenziata tra le regioni italiane, ha mancato una buona opportunità di rilancio.
Oggi manca una visione politica di ampio respiro per la sanità, che superi la logica di soluzioni tampone che, di fatto, hanno impedito al decisore politico di avere quella necessaria visione globale che tenga conto delle sfide evolutive della sanità: epidemiologiche, sociali, economiche e organizzative. E’ necessaria una terapia d’urto e non può che riguardare un rifinanziamento del nostro SSN. L’attuale incremento del FSN di 2 mld sarà appena sufficiente a onorare il contratto di lavoro scaduto nel 2018, a far fronte alle assunzioni del personale, ad innalzare del 2% la spesa sanitaria privata, ad abolire il superticket…ma, intanto, mancano risorse concrete per le cronicità e per i piani di prevenzione.
Come Federazione CIMO-FESMED riteniamo fondamentale che il Patto della salute rimetta in agenda tematiche quali l’assistenza ospedaliera e il piano emergenze urgenze, occorre impedire alle regioni di definire standard organizzativi “fantasiosi” finalizzati a conferire funzioni e ruoli dei sanitari in modo inappropriato. Più in generale, occorre rivedere il fondo sanitario nella sua composizione perché non è possibile “giocare” ancora con alchimie economicistiche che mettono in un unico contenitore il costo di una siringa, di un farmaco, di una prestazione, includendo anche il costo del personale.
Infine, riteniamo prioritario dare una nuova governance in termini di rappresentanza e rappresentatività sindacale. Sarebbe auspicabile avviare un percorso comune che conduca all’aggregazione di più forze sindacali. In questa ottica, è a buon punto il processo che renderà la federazione CIMO-FESMED un sindacato unico, mentre continua a procedere il consolidamento del Patto per la Professione Medica, che ricomprende anche ANPO-Nuova ASCOTI-FIALS Medici e CIMOP. La vera svolta potrebbe essere quella di ricondurre tutti i professionisti della salute, rispettando le autonomie contrattuali tra pubblico, convenzionato e privato e tra dirigenza e comparto, all’interno di un’unica area contrattuale, mediata da un’unica Agenzia, e con rapporti diretti con le regioni e il ministero della Salute.
Se ci sarà un vero “progetto salute”, se si vorrà davvero investire in sanità, avremo un futuro. E in questo futuro il medico vuole essere protagonista.
Aldo Grasselli, Presidente Federazione Veterinari e Medici (FVM)
Il titolo del “componimento” di inizio anno è sempre inesorabile, e tristemente le tre priorità per le quali si attendono adeguate risposte sono sempre le stesse, da oltre un decennio.
Chi fa la sanità è il personale sanitario. Il personale sanitario è invecchiato senza ricambio e si stanno svuotando reparti e servizi. La prima necessità è, e resta, quella del reclutamento delle risorse necessarie. Una delle cose più vergognose del Ssn è che sia una sacca di precariato. Le regioni, le aziende sanitarie, assumono medici e sanitari senza pieni diritti contrattuali e previdenziali per assicurare il diritto fondamentale alla salute: una contraddizione mostruosa.
Le liste d’attesa - che sono il punto di scontro tra cittadini portatori di diritti e welfare inefficiente - si riducono solo con una maggiore disponibilità di operatori che assicurino le prestazioni di cui la popolazione ha bisogno, prestazioni prescritte con appropriatezza dai medici di famiglia il cui ruolo necessita di una rivisitazione.
Poi ci sarebbe il grande tema della prevenzione primaria, ma qui si sconfina nell’ulteriore contraddizione irrisolta tra privatizzazione dei profitti e socializzazione dei rischi e dei danni per la salute che hanno in Italsider, terra dei fuochi, morti e infortuni sul lavoro, inquinamento delle falde acquifere, la più plastica e cronica rappresentazione. In questo scenario il regionalismo certamente non aiuta, perché quanto meno offre sempre un esempio deteriore da additare per autoassolversi.
La seconda priorità riguarda la visione del governo nazionale per una riforma efficiente del percorso di specializzazione. Manca ancora il regolamento Miur-Salute previsto dal Dl Calabria, manca la strutturazione degli Ospedali di Insegnamento, mancano percorsi di specializzazione/lavoro per i sanitari dei servizi medici e veterinari extra ospedalieri, mancano le borse di studio per i veterinari, i farmacisti e i dirigenti sanitari. Borse di studio che devono anche risolvere il problema della valenza previdenziale (inps) dello studio/lavoro svolto in sanità pubblica. L’efficienza e il successo competitivo del Ssn rispetto alla sanità privata che beneficia della defiscalizzazione delle polizze sanitarie (lo stato favorisce la sanità privata che compete contro lo stato: altra contraddizione) dipende dalla capacità di innovarsi rapidamente, di assicurare performance di elevata qualità reale e percepita. Per questo sono indispensabili nuovi saperi che la formazione specialistica deve saper individuare e fornire tempestivamente al Ssn oltre che al mercato.
La terza questione riguarda le aggressioni cui sono sempre più esposti gli operatori sanitari. Occorre interrogarsi sulla genesi della mancanza di rispetto per i sanitari, si potrebbe scoprire che il disagio che queste aggressioni manifestano è in parte figlio delle liste d’attesa infinite, ma anche che gli italiani sono stati educati a disprezzare senza sfumature la pubblica amministrazione. Che se nel settore della prevenzione primaria l’imposizione di regole e controlli istituzionali per la tutela dei cittadini, dei lavoratori, dell’ambiente, della salute animale e della sicurezza alimentare, espongono medici, veterinari e tecnici della prevenzione a un rifiuto sempre più energico, ancora una volta il profitto privato domina la scena a scapito dell’interesse collettivo e dei diritti della collettività. Per difendere i sanitari che difendono la salute pubblica non bastano buone leggi come quella che si appresta a fare il Parlamento, occorre una nuova e concreta identità tra politica, istituzioni, aziende e operatori, identità che negli anni una sanità è stata travolta da una una fasulla logica aziendale, che spesso è addirittura diventata padronale. Mentre in politica è sotto gli occhi di tutti che hanno successo le proteste senza proposte, o le proposte velleitarie senza prospettiva.
Infine, che dire: anno nuovo, problemi vecchi! Che solo una classe politica nuova con una strategia viva e sostenuta da vaste alleanze potrà risolvere. Chi si candida?
A cura di Luciano Fassari
16 gennaio 2020
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